Internet, dopo la sconfitta di ieri, la seconda in tre gare, la terza in trasferta in Campionato, ha già individuato il responsabile: Maurizio Sarri. L’ha fatto nella maggior parte dei casi con un giudizio inappellabile: non sa allenare (“come Allegri/Conte/Inzaghi”).
Per tanti, dopo ieri, c’è stato il classico sfogo liberatorio, quasi terapeutico: “l’avevo detto, avevo ragione, io non c’entro, mi sono dissociato per tempo, è la Juve che perde non io che l’avevo detto”.
E non ho nulla in contrario: è effettivamente vero che una buona fetta di tifosi “l’aveva detto”. Nel nostro AterAlbus ad esempio, quando rispondemmo al “Sarri sì o Sarri no?”, le nostre risposte furono: no boh, sì, sì però, no, sì ma boh, sì, no, assolutamente no, sì, no, no mah, sì mah. Sì incondizionati 3 su 12, contrari la metà. Lo scrivo perché poi si fa presto ad essere “etichettati” come Sarriani e talebani, in alcuni giudizi pittoreschi addirittura “responsabili”.
Dirà qualcuno di voi: vi state già svincolando? State abbandonando il carro? Volete salvarvi la faccia dopo aver detto che per voi Allegri non dovesse essere rinnovato altri 3 anni perché a fine ciclo?
Suvvia, queste sono battute da internet.
Vi ho citato quell’articolo perché è secondo me il modo migliore per confrontare le mie aspettative con la realtà attuale e poter tracciare un PRIMO bilancio (vi ricordo che comunque siamo primi, qualificati in Coppa Italia e agli ottavi di Champions con buone possibilità di arrivare ai quarti, come l’anno scorso) sulla “rivoluzione” sarriana.
Il 5 giugno, scrissi a proposito di Sarri “sì, però”.
Avevo individuato infatti, come problema della passata stagione, non certo la “scarsezza” di Allegri, ma semmai l’esatto contrario, ovvero il fatto che la Juventus avesse raggiunto un livello di perfezione nel giocare nella sua comfort zone (difesa posizionale bassa, ritmi compassati, folate all’interno di un match, difesa del risultato acquisito, crossing game, cambio ritmo nella ripresa spesso dopo aver tenuto botta nel primo tempo, l’inserimento di alcune “frecce” tenute volontariamente in panchina e pronte a colpire al calare fisico degli avversari) tale, che la Serie A ormai non fosse più “allenante”. Ricordate questo termine? (se ne parlò molto, l’anno scorso).
So già cosa dirà ora qualcuno di voi: come fa ad essere un problema l’aver raggiunto un livello di perfezione nell’esecuzione del disegno tattico dell’allenatore?
La risposta, anche qui, è in quell’articolo e in tanti podcast ai quali ho partecipato: il fatto che “bastasse” giocare ad alta intensità 15-20’ a partita, per me era un problema poiché si abbassava inevitabilmente e di tanto anche “l’intensitometro” e ciò non permetteva di allenarsi anche mentalmente a dover tenere certi ritmi, non solo atletici, che sarebbero serviti poi contro squadre di un livello superiore a quelle della (scarsa) Serie A dell’anno scorso. Quando abbiamo affrontato l’Atalanta, ad un certo punto, ci ha asfaltati proprio a livello di intensità; quando abbiamo affrontato l’Atletico, eravamo spenti quasi impauriti dinanzi ad un avversario contro il quale 20’ di qualità non bastavano (poi c’è stato il miracolo del ritorno); quando abbiamo affrontato l’Ajax, li abbiamo visti sbucare da ogni dove, senza capirci oggettivamente granché (e capisco sia liberatorio pensare che sia tutta colpa di Cancelo, ma non è così).
Di cosa avrebbe avuto bisogno la Juventus?
Di intensità.
Questa era la mia analisi, e resto sulla mia idea, anche perché questa è la direzione che sta prendendo non solo l’Europa, ma perfino la Serie A (Atalanta, Verona e Bologna sono gli esempi più eclatanti).
Via il corto muso, che ci ha fatto vincere tantissimo ma che era diventato anche un po’ un limite mentale, avendolo perfezionato al massimo livello possibile e di fatto senza più margini di miglioramento, e dentro qualcosa di diverso, che desse nuovi stimoli, che introducesse nuove difficoltà, un nuovo modo di pensare, di rimettersi in gioco, di provare qualcosa di diverso.
Ne sono convinto anche perché ci provò lo stesso Allegri, l’anno scorso. Secondo me esattamente per questo motivo. Gli stimoli, ne riparliamo dopo, sono quasi tutto nel calcio e il Max nazionale lo aveva capito, a differenza di molti suoi estimatori. Aveva anche capito però, dopo averci provato, come quella fosse una strada lunga, come i giocatori non fossero tutti mentalmente pronti, come per attuare quel cambiamento servisse un cambiamento non solo “tattico”, ma anche umano. Insomma, la classica lista della spesa che presentò a fine stagione dicendo: “So come fare per continuare a vincere, ma mi dovete prendere questi e cedere questi!”.
La Juventus ha ceduto lui.
Andiamo oltre, perché passare mesi a rimuginare e a farsi la guerra su una decisione ormai presa non è utile. Cerchiamo di capire, fatte queste premesse, se Sarri sia riuscito a dare lo shock giusto alla Juventus e a darle nuovi stimoli e più intensità e se il suo percorso sia frenato da “incompentenza” (sentenza social) o da difficoltà oggettive, o magari da un mix delle due cose.
Il primo vero shock, va detto, è stato di altro tipo. Diciamo che la fase di transizione è stata gestita così così dalla società: addio ad Allegri arrivato solo a metà maggio dopo conferma e tira e molla snervante, con Max che andava in tv a dire che sarebbe rimasto; voci su Guardiola che non si è riusciti a spegnere mai definitivamente; trattativa con il Chelsea per liberare Sarri che è andata troppo per le lunghe fino a metà giugno, con un mese intero in cui siamo rimasti senza allenatore: tutto ciò ha generato un senso di insicurezza nella tifoseria, persino in noi di AterAlbus di solito poco emotivi. Non la migliore premessa.
Oltre ad essere stato presentato male, soprattutto, Sarri non è stato aiutato minimamente a livello concreto, ossia col mercato. Non è stato acquistato un singolo giocatore con caratteristiche adatte al suo modo di giocare (e ancora ieri Sarri se ne è lamentato, sempre indirettamente e sempre senza polemizzare direttamente poiché ovviamente, a 61 anni e con l’occasione della vita da giocarsi, non è stupido e fa l’aziendalista).
È vero che anche ad Allegri non è che abbiano mai fatto il mercato su misura, bisogna riconoscerlo. Ma Allegri non era chiamato a rivoluzionare la Juve e a buttare a mare il lavoro di Conte per fare qualcosa di diverso: Allegri il lavoro di Conte lo ha sfruttato per tre quarti della prima stagione, e alcuni principi della difesa posizionale li ha fatti suoi e perfezionati, dando più che altro continuità al triennio precedente per poi introdurre piccole novità e personalizzazioni, senza traumi.
La difficoltà di Sarri, oggettivamente, era più elevata e il rischio che la grande rivoluzione si rivelasse un flop con tanto di ripiego e mediazioni era concreto e da preventivare.
Non è stato fatto e oggi, probabilmente, ne paghiamo le spese. La Juve di Sarri, questa Juve di Sarri, è un manifesto del “vorrei ma non posso”. Non è né carne, né pesce. È una rivoluzione a metà. Non è lotta, ma Governo.
Sarri, quello che doveva fare in allenamento, lo ha fatto. Vi assicuro che non ha mai allenato la squadra per giocare così lunga come era disposta contro il Verona la squadra. È l’esatto contrario dei suoi principi di gioco.
Che succede, allora? Per l’allenatore, il problema è che la testa dei giocatori è dura da cambiare. “Spero qualcuno mi aiuti”, ha detto ieri nel dopo-partita, frase potentissima (il riferimento era ai veterani del gruppo) che fa capire in maniera cristallina come i veri cambiamenti non riguardino solo la lavagna tattica, ma anche e soprattutto la voglia e la capacità da parte di persone reduci da tanti Scudetti vinti di rimettersi in discussione e abbandonare un certo modo di giocare per abbracciarne un altro.
Che ci volesse tempo l’avevamo detto tutti, specie noi. Non esiste la bacchetta magica è l’unico modo per accelerare la transizione sarebbe stato facendo un mercato diverso e cambiando gli uomini, alla Allegri.
La strada scelta è stata un’altra, molto più conservativa, e il risultato è che molti della rosa non hanno le caratteristiche giuste (abbiamo molti giocatori “potenti”, poco “brillanti” e rapidi, pochi palleggiatori, pochi corridori), e questo è un problema tattico. L’impressione, però, anche stando alle parole di Buffon post-Napoli, è che abbiano (ancora? cambierà?) anche un problema a livello di ferocia mancante e voglia necessaria per cambiare davvero.
Il primo bilancio per me è questo, quindi: è una Juve che non spicca il volo “per le idee di Sarri”, solo accennate e mai davvero messe alla prova (tanto che il nostro Davide Terruzzi, in un suo recente editoriale, chiedeva all’allenatore di fare qualcosa di più Sarriano!), ma per l’incapacità atletica, tecnica e mentale di seguire come dovrebbe l’allenatore.
Cosa fare, dunque? Ne abbiamo discusso in un recente podcast e sono completamente d’accordo a metà con le due strade emerse: prendendo decisioni più drastiche e imponendo al gruppo le proprie idee, anche a costo di perdere qualche senatore e qualche punto per strada, oppure al contrario continuando a gestire, a mediare, a pensare solamente a portare a casa i trofei senza preoccuparsi, almeno per quest’anno e in queste condizioni, di completare alcuna rivoluzione.
La scelta sarà di Sarri. Da questa scelta, passerà probabilmente il successo o il fallimento di questa stagione. Siamo in una situazione antipatica, nel bel mezzo di un cambiamento che non è vero cambiamento. L’obiettivo da qui a giugno, però, e su questo non si può discutere, sarà comunque quello di arrivare a nove consecutivi, e sarà al solito questo, il buon vecchio “risultatismo”, che dovrà quindi guidarci nei giudizi dei prossimi mesi, soprattutto viste tutte le oggettive difficoltà non tutte colpa dell’allenatore.
La porti a casa: poi, a giugno, rifletteremo meglio.