di Michele Tossani
Chi ci ricorda Sarri?.
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a quando l’alieno Maurizio Sarri è atterrato sul pianeta serie A, sono partite lodi sperticate nei suoi confronti. Quando poi, dopo l’annata 2014/15, l’allenatore toscano è approdato al Napoli, queste lodi si sono trasformate in vera e propria adorazione calcistica nei confronti dell’ex-allenatore dell’Empoli. Mostrando un gioco spettacolare e a tratti irresistibile, Sarri ha legittimamente conquistato uno stuolo di ammiratori fra tifosi, media e addetti ai lavori col risultato di accrescerne la fama e la stima anche a livello internazionale.
I successi raggiunti nel golfo di Napoli dove Sarri, pur non avendo ancora conquistato trofei, ha trasformato i Partenopei in perenni pretenders al titolo di campione d’Italia, sono stati accompagnati, come detto, da un gioco scintillante, fatto di possesso palla e verticalizzazioni, controllo della partita, del tempo e dello spazio di gioco. Seguendo questo canovaccio Sarri ha fatto del suo Napoli la squadra più offensiva d’Italia tanto è vero che, prima della settima giornata di campionato, gli azzurri avevano registrato la maggior media percentuale fra le squadre della massima serie in termini di possesso palla (60) e di passaggi riusciti (88.86) ed il maggior numero di tiri totali (114) e di tiri in porta (60). Numeri che testimoniano come il possesso palla predicato da Sarri non si risolva in uno sterile tiki-taka ma abbia invece il suo fine ultimo nella creazione di azioni da rete.
Tutto questo ha portato i critici a domandarsi (pur nella difficoltà di cimentarsi in un esercizio puramente accademico che metta a confronto tecnici e squadre di epoche diverse) a quale altro grande allenatore del passato o del presente sia possibile accostare Sarri e a quale tipologia di calcio assomigli quello predicato dalla sua squadra. Il paragone più gettonato è quello che vede Sarri come allievo diretto di Arrigo Sacchi , termine di confronto rafforzato anche dagli attestati di stima lanciati a più riprese dal vate di Fusignano verso l’allenatore del Napoli e dalla stima reciproca fra i due. In realtà, prescindendo dall’organizzazione di gioco e dalla cura maniacale del particolare, quel Milan sacchiano era molto più accorto tatticamente, più feroce nel pressing e più risoluto nella ricerca del fuorigioco come arma tattica (favorito in questo da un periodo storico nel quale il ricorso all’offside come arma proattiva non era in uso).
Piuttosto, il gioco del Napoli somiglia maggiormente a quello di Zdenek Zeman. In particolare, per certi versi i Partenopei hanno ricordato il Foggia del tecnico boemo. Certo, ci sono delle differenze: Sarri cerca maggiormente di occupare gli half-spaces, anche con due giocatori, mentre Zeman si preoccupa(va) di conquistare le fasce laterali così come il regista del boemo cercava maggiormente il lancio lungo rispetto a quando facciano Diawara (lunghezza media dei passaggi 14 metri) o Jorginho (sempre 14 metri) nel Napoli attuale. E anche la ricerca della profondità è leggermente diversa in quanto la squadra di Sarri la fa seguire ad una uscita ragionata della palla da dietro e ad un possesso palla sulla mediana mentre in quel Foggia la verticalizzazione era utilizzata in modo più esasperato e continuo.
Tuttavia, fatte notare queste differenze e premettendo sempre la differenza di epoche, non si può fare a meno di notare alcune similitudini fra le due compagini come, ad esempio, l’utilizzo dei triangoli formati sulle catene esterne per avanzare il pallone e muovere il sistema difensivo avversario. Anche l’attacco sul lato debole, particolarmente efficace nel Napoli con Callejón, non è così diverso da quello che effettuava Giuseppe Signori con i rossoneri pugliesi. Sempre su un piano puramente teorico, anche il difendere in avanti tramite gegenpressing una volta persa palla è qualcosa che si notava già nel Foggia di quell’inizio di anni 90.
Così come l’atteggiamento difensivo, con la linea particolarmente alta, non è dissimile fra le due squadre pur essendo cambiate le regole sul fuorigioco e pur essendo la difesa del Napoli più attenta alle situazioni di palla coperta/scoperta mentre il quartetto foggiano composto da Dan Petrescu, Pasquale Padalino, Salvatore Matrecano e Maurizio Codispoti era più attivo difensivamente con la retroguardia rossonera che si alzava più spesso e con la conseguente trasformazione del compianto Francesco Mancini in uno dei primi esempi di moderno sweeper-keeper.
Persino l’evoluzione successiva del gioco del boemo ha parvenze che ricordano quella cui stiamo assistendo nel Napoli versione 2017/18.Il Napoli infatti, in questa stagione, è squadra molto meno frenetica rispetto alle prime versioni sarriane, avendo finora mostrato una maggior capacità di alternare fasi ad intensità massima con altre a ritmo più controllato. Anche l’attenzione alla difesa della profondità è aumentata, tanto è vero che i Partenopei hanno per ora provocato una media di 1.7 fuorigioco a partita contro i 2.2 della scorsa stagione.
Ma anche il gioco di Zeman ha subito dei cambiamenti, se non delle evoluzioni, nel corso delle ultime annate con un inizio della differenziazione fra il primo e il secondo boemo (per così dire) databile alla sua prima esperienza col Lecce nella stagione 2004/05.Pur restando il 4-3-3 il suo credo di gioco e pur restando il pallone come punto di riferimento primario nella fase difensiva (come per Sarri), anche il gioco del boemo si è fatto più prudente con una ricerca meno esasperata del fuorigioco. Le ultime esperienze italiane, poco fortunate, con Roma e Cagliari vanno lette in questa direzione nonostante le solite lacune di difese che spesso hanno continuato a rimanere un po’ naïf.
Anche il Pescara di quest’anno appare muoversi in questa direzione nonostante si sia ancora all’inizio della stagione e che una certa identità di squadra debba ancora essere trovata (e con Zeman che si è già lamentato della troppa passività dei suoi difensori ). Per certi versi quindi la mentalità e la fase offensiva e difensiva di Sarri ricorda in qualcosa quella di Zeman. Anche il tipo di marcatura sui calci piazzati avversari (a zona) è simile. Ed anche la capacità di Sarri di esaltare i propri giocatori all’interno di un contesto tattico codificato non è poi così diversa da quella di Zeman. Resta da vedere se anche le difficoltà incontrate da alcuni dei protagonisti delle squadre allenate da Zeman una volta lasciato il sistema di gioco di riferimento saranno le stesse per i giocatori di Sarri. Per ora abbiamo soltanto qualche indizio, come i problemi riscontrati in nazionale da Lorenzo Insigne e Dries Mertens una volta abbandonata la coperta di Linus rappresentata dal 4-3-3 dei Partenopei. È vero che i vari Signori, Roberto Rambaudi, Francesco Baiano e Luigi Di Biagio hanno beneficiato delle cure di Zeman anche dopo essere partiti dalla Capitanata, ma per ognuno di loro c’è stato un Fabio Vignaroli (20 gol in serie B nella Salernitana allenata dall’uomo di Praga e mai più ripetutosi su quei livelli).
E resta anche da capire se questo Napoli, più qualitativo di quei Foggia, riuscirà a riempire la bacheca di qualche titolo.