di Michele Tossani.
L’eliminazione della Juventus dalla Champions League lascia sul tavolo molte domande in merito al progetto tecnico bianconero. A finire nel mirino della critica è stata soprattutto la posizione di Ronaldo, il cui futuro nella Juve viene ora da più parti visto come incerto.
Al di là degli aspetti economici, dal punto di vista tecnico l’arrivo del portoghese non ha pagato in Europa, con la Juventus eliminata prematuramente dalla Coppa campioni prima dall’Ajax (2018/19) poi dal Lione (lo scorso anno) e infine dal Porto (in questa edizione). Come dichiarato da Arrigo Sacchi in una intervista alla Gazzetta dello sport, ‹‹se ti affidi così tanto a un singolo e lui fallisce la partita, sono guai››. E in effetti l’idea è quella di un club che è sembrato affidarsi quasi totalmente all’arrivo del fenomeno portoghese per lanciare una vittoriosa campagna verso il massimo trofeo continentale che manca dal 1996 nella bacheca della società torinese.
In pratica, al netto di altre difficoltà (come quella di una identità tattica per forza di cose ancora non ben definita), la compagine bianconera ha voluto inserire il lusitano in un sistema non ancora in grado di sostenerlo. A questo si aggiunge il fatto che Cristiano non è giocatore da collettivo (per così dire) quanto piuttosto un eccezionale solista che, invece che inserirsi nel contesto, finisce per dettarlo e sfruttarlo.
In questo senso diventa comprensibile il paragone col Messi della nazionale argentina, più che con la sua versione ammirata in blaugrana. Più volte infatti l’Albiceleste ha dato l’impressione, negli appuntamenti importanti, di essere una squadra di 10 giocatori più uno (Messi) al quale fare ricorso come unica risorsa per risolvere le situazioni di campo più complicate.
Ronaldo è un grande finalizzatore (il numero dei suoi gol, 27 in 32 partite stagionali, sta a testimoniarlo), i cui movimenti devono essere assecondati dai compagni più che coordinati insieme. Il 36enne di Funchal è quindi un accentratore, il catalizzatore di una fase offensiva juventina la cui ronaldocentricità si evince anche dal fatto che è lui che si incarica di battere le punizioni dirette, con esiti quasi sempre negativi nel rapporto fra tiri presi e gol realizzati.
In fase difensiva poi il suo contributo è praticamente nullo, e questo forse cozza con le idee degli allenatori, quantomeno negli ultimi due anni.
All’apporto incerto fornito durante questa edizione della Champions ha contribuito anche l’iper-utilizzo che è stato fatto del portoghese. L’ultimo Ronaldo madrileno aveva infatti trovato con Zidane un modus vivendi funzionale a lui e alla squadra, col tecnico francese che ne centellinava l’utilizzo per averlo fresco nelle sfide importanti in Europa.
Quest’anno invece Ronaldo è il secondo giocatore della Juve per minuti giocati in campionato (1833, dietro solo ai 2030 di Danilo). È quindi ragionevole ritenere che CR7 sia arrivato un po’ spompato alla sfida con il Porto.
Tutte queste considerazioni sembrano confermare il pensiero che in queste tre stagioni bianconere Ronaldo abbia rappresentato una grande risorsa ma non è peregrino dire che sia stato anche (non solo per ‘colpa’ sua) un grande problema per la Juve.