di Michele Tossani
L’attuale formula a 20 squadre pare sempre più distante dalle reali esigenze della Serie A. Quale potrebbe essere un numero giusto di squadre? E perché?
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]I[/mks_dropcap]n un articolo apparso qualche giorno fa sulla GdS, a firma Luigi Saporito, si faceva notare come il Crotone, una delle squadre fortemente candidate a scendere in Serie B al termine di questo campionato, non abbia affatto sfigurato fin qui, al contrario di quanto sembrerebbe invece indicare la classifica (appena 9 punti conquistati nel girone d’andata). A sostegno di questa tesi viene correttamente riportato come i calabresi non abbiano quasi mai (se si eccettuano poche partite) subito delle vere e proprie “imbarcate” e come anzi siano spesso stati in partita fino agli ultimi minuti riportando molte volte sconfitte di misura. Lo 0-1 casalingo subito ad opera del Bologna o il 2-1 maturato nei minuti finali contro il Milan sono alcuni degli esempi citati.
Questo articolo quindi sembra far da contraltare a tutte quelle voci che si sono levate negli ultimi mesi fra gli addetti ai lavori per chiedere un cambiamento del format del campionato di Serie A a favore di un ritorno a quello a 18 squadre, interrotto per passare alle 20 del formato attuale a partire dalla stagione 2004-05, prima volta dopo 52 anni dall’ultimo campionato con venti società al via.
Questa formula ha mostrato, in questa stagione forse ancor più che nelle precedenti, i propri limiti, da individuare in un calo del livello tecnico e nel fatto che già a partire dall’inizio del girone di ritorno (o giù di lì) alcuni verdetti siano già stati praticamente scritti. Anche in questa stagione 2016-17, infatti, dopo poco dall’inizio del girone di ritorno alcuni club già conoscono il proprio destino. E se la lotta per lo scudetto e per i piazzamenti in Champions e Europa League potrebbe tenerci col fiato sospeso fino alle ultimissime battute del campionato, non così possiamo dire per quello che succede nelle retrovie. Ad oggi infatti non soltanto sembrano scontate le squadre destinate a retrocedere in Serie B (con Palermo, Pescara e Crotone staccatissime dal quart’ultimo posto, ultimo utile per centrare la permanenza nella massima serie) ma ci sono tutto un novero di altri team (praticamente da Torino e Fiorentina fino al Sassuolo…) che già a febbraio non hanno più nulla per cui giocare essendo (salvo sorprese impreviste) ormai fuori dai giochi sia per quanto riguarda il discorso europeo sia per quello concernente la permanenza in Serie A.
Tornando all’articolo citato precedentemente, se è pur vero che il Crotone (ma lo stesso discorso può valere per Palermo e Pescara) ha lottato fino all’ultimo in molte partite decisesi poi soltanto nel finale, è altrettanto evidente come tutte queste partite si siano risolte in sconfitte per i Rossoblu. Il ripetersi di una serie di risultati negativi, anche se con scarti minimi o ridotti, sta semplicemente a significare che la squadra in questione non è tecnicamente in grado di invertire la rotta, ergo non è all’altezza della categoria in cui sta giocando.
Tutto questo per avvalorare la tesi di chi sostiene la necessità di ridurre il numero delle partecipanti al campionato. Tuttavia, mentre nella maggior parte dei casi si invoca al ritorno ad una Serie A a 18 squadre, ritengo che sarebbe più appropriato ridurre ulteriormente il numero delle partecipanti riportandolo a 16 come era stato nella stagione 1987-88, l’ultima a disputarsi con questo formato. Quali le ragioni alla base di questa considerazione? Eccone di seguito alcune.
1 – anche nei campionati a 18 squadre c’era meno competitività
È vero che, di squadre materasso, la Serie A ne ha viste tante anche nei campionati a 16 squadre (due su tutte la Pistoiese 1980-81 e il Catania 1983-84) ma queste di solito erano una a stagione. Nei campionati a 18 squadre invece è spesso accaduto che le ultime due della classe fossero già staccate in fondo alla classifica da metà campionato. Basti ricordare come esempi Torino e Como (2002-03), Lecce, Fiorentina e Venezia (2001-02) o Venezia, Cagliari e Piacenza (1999-00). Praticamente, dalla stagione 2000-01 ad oggi, soltanto nei campionati 2000-01 (Bari) e 2003-04 (Ancona) soltanto una squadra era troppo lontana dalla quota salvezza molto prima delle ultime giornate della stagione. A questo si aggiunga tutto il numero di squadre che praticamente già dopo febbraio erano fuori da qualsiasi discorso riguardante i piani alti e le retrovie, giocando in pratica per nulla e rischiando così di falsare il resto del campionato.
2 – meno squadre, maggior livello tecnico
Il livello tecnico medio del campionato di Serie A è, a detta di tutti, scemato notevolmente negli ultimi dieci anni. Anche se altri fattori possono essere chiamati in causa (es. lavoro nei settori giovanili…) è indubbio come ad un allargamento degli aventi diritto a partecipare al campionato di massima serie corrisponda un livellamento verso il basso perché i migliori giocatori vengono redistribuiti su più squadre col rischio di impoverire il movimento. Questo è un fenomeno che anche i più attenti osservatori di altri sport possono notare. Si cita spesso lo sport professionistico americano come esempio da prendere in tutta una serie di fattori. Ebbene, proprio campionati come NBA o NFL hanno subito un notevole abbassamento del livello tecnico in concomitanza con l’allargamento del numero di franchigie impegnate. Lo stesso fenomeno si è verificato in Italia.
3 – meno partite, maggior qualità
Anche se non è matematica l’equazione meno partite uguale maggior spettacolo, è però altrettanto evidente come la diminuzione del numero degli incontri da disputare, con una Serie A che passerebbe dalle attuali 38 giornate a stagione alle 30 degli anni ottanta, renderebbe più probabile un innalzamento dello spettacolo medio cui potremmo assistere nei week-end di campionato. Come? Innanzitutto, attraverso quella redistribuzione del talento di cui sopra che finirebbe per rafforzare un po’ tutte le squadre rendendo i singoli incontri più competitivi. Inoltre, giocare meno significherebbe anche aver più tempo per allenarsi con una conseguente ricaduta positiva sia per quanto riguarda la capacità delle squadre di prepararsi per esprimersi ad alti livelli tecnico-tattici sia per quanto riguarda gli infortuni che diminuirebbero sensibilmente.
Qualcuno potrebbe obiettare che il campionato inglese, definito “il più bello del mondo”, si gioca con un format a 20 compagini. Ma, sinceramente, quanti sopravvivono indenni alla visione di Crystal Palace – Stoke City o WBA – Sunderland?
4 – ripercussioni positive in Europa
Quante volte, parlando della Juventus e della Champions League nelle ultime stagioni, ci siamo ripetuti quanto il campionato italiano sia poco allenante per la massima competizione europea per club? Aumentando la qualità media delle singole squadre attraverso una diminuzione del numero delle partecipanti ecco che la Serie A tornerebbe a presentare partite su quasi tutti i campi ogni week-end e non, come invece accade ora, un numero elevato di partite dall’esito scontato già in partenza. Di questo ne gioverebbero tutti i club impegnati nelle competizioni europee che troverebbero nelle partite della domenica un valido test in vista degli impegni internazionali.
5- maggior presenza di pubblico
In un calcio mediaticamente sovraesposto come il nostro chi è che è disposto a pagare molti euro per comprare i biglietti per assistere a partite come Roma – Crotone o Inter – Pescara? Certamente, la questione stadi (vecchi e fatiscenti) ha il suo peso ma non dobbiamo far passare in secondo piano anche il poco appeal che hanno certe partite per il pubblico, soprattutto in certe piazze. Con un’attenta politica delle infrastrutture e con la riduzione del numero delle partite a disposizione da poter vedere dal vivo (e con un innalzamento del loro livello qualitativo) ecco che la presenza media alle singole partite potrebbe innalzarsi, facendo registrare alle squadre nuovamente buoni incassi e compensando così il minor numero di partite (4) da giocare in casa rispetto ad un campionato a 20 squadre.
Questa è la proposta che faccio. Chiaramente non è la panacea di tutti i mali del calcio italiano. Ma ritengo rappresenti un buon punto di partenza. Ovviamente accanto a questa soluzione andrebbero poi conseguentemente prese altre decisioni che fungano da corollari. Per prima cosa, ridurre il numero delle retrocessioni. Un turnover limitato a sole due squadre garantirebbe alle 16 elette maggior sicurezza in termini di bilancio, tutelando quindi maggiormente l’investimento fatto per affrontare la Serie A. Inoltre, ad una riduzione del numero delle squadre partecipanti alla massima serie dovrebbe a mio avviso corrispondere una riduzione anche del numero di squadre partecipanti alla serie B. L’eccessivo allargamento della serie cadetta, con l’attuale format a 22 squadre, ha avuto lo stesso effetto di diminuzione del livello tecnico registrato nella serie maggiore. Le conseguenze sono state un livellamento verso il basso che ha di fatto trasformato l’attuale serie B nella vecchia serie C1 (con le ultime della serie A che giocano una specie di A2 o B al piano di sopra) con l’aggravante di veder promosse in serie A squadre non all’altezza per affrontarla. In questo senso, una riduzione anche della serie B (magari a 18 squadre) con la limitazione delle promozioni a due soltanto potrebbe favorire la salita nella serie maggiore di compagini meglio attrezzate, oltre che andare incontro alla riduzione totale del numero di club professionistici in Italia, da più parti auspicata ma ancora non attuata.