di Francesco Andrianopoli
Dopo una strana estate, Simone Inzaghi è stato confermato sulla panchina della Lazio. La partita con l’Atalanta è stata una dimostrazione della filosofia di gioco dell’allenatore.
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]N[/mks_dropcap]ella scorsa stagione, al suo esordio in serie A, Simone Inzaghi ha utilizzato una strategia particolare: partendo da un 4-3-3 scolastico, concedeva interamente il pallino del gioco all’avversario, rinunciando al fraseggio e al possesso palla, ma non si difendeva con tutti gli effettivi, lasciando gli esterni offensivi molto alti e larghi, in modo che possano essere raggiunti da immediati passaggi diagonali del giocatore che recuperava il pallone: il risultato è stato uno strano paradosso, una squadra che si trovava spesso in fase difensiva ma la eseguiva generalmente male, e per converso si trovava raramente a superare la metà campo, ma quando lo faceva creava quasi sempre una situazione di uno contro uno per i suoi funamboli sugli esterni.
Il netto e rotondo tre a zero con il quale la Juventus regolò la Lazio d’Inzaghi lo scorso aprile.
La prima partita con l’Atalanta non ha mostrato un ripensamento rispetto a questi principi, che anzi appaiono essere stati ulteriormente esacerbati: nella scorsa stagione, Inzaghi tendeva a bilanciare le sue coppie mezzala-esterno, ad esempio utilizzando Milinkovic-Savic come mezzala dal lato presidiato da un giocatore tatticamente attento come Candreva, affiancando invece le mezzali di contenimento Parolo o Cataldi agli esterni più indisciplinati (Kishna, Felipe Anderson, Keita); nella prima partita, invece, ha scelto una catena di destra esclusivamente offensiva e “garibaldina” (Lukaku-Milinkovic-Kishna) e una catena di destra molto più prudente (Basta-Parolo-Lombardi).
La Lazio ha lasciato interamente il gioco ai padroni di casa, che hanno avuto più del 60% di possesso palla a proprio favore (e non stiamo parlando di una squadra di palleggiatori), e si è concentrata sulle giocate in verticale (a fine gara, l’Atalanta fa segnare 55 passaggi lunghi e 623 corti, mentre la Lazio ne fa segnare ben 72 lunghi a fronte di soli 215 passaggi “normali”).
Un gioco agevolato dal fatto di avere di fronte una squadra che lotterà per la salvezza, per di più costretta quasi subito a lanciarsi in avanti per recuperare lo svantaggio iniziale, ma che comunque ha rischiato di veder capitolare i biancazzurri, in una partita in cui, nonostante il vantaggio multiplo, non sono mai stati al sicuro: sarà interessante verificare se Inzaghi vorrà prendersi questi rischi anche contro una squadra come la Juve.
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di Francesco Federico Pagani
Tra vecchie certezze e nuovi volti. La Lazio riparte da un collettivo in cui spiccano individualità e scommesse.
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]A[/mks_dropcap] livello di prestazioni dei singoli è stato soprattutto uno il giocatore che più ha tradito le attese laziali nel match contro l’Atalanta: Federico Marchetti, portiere capace di alternare parate straordinarie con passaggi a vuoto pazzeschi. Come in occasione del primo goal firmato Kessie, con un diagonale infilatosi sul primo palo. Un errore grave anche in Prima Categoria. Così come certo rivedibile l’ex cagliaritano lo è stato anche sul diagonale, questa volta ad incrociare sul secondo palo, di Petagna. Vero che il calcio è arrivato da posizione piuttosto ravvicinata, ma credo che lo specchio di porta lo si sarebbe potuto coprire meglio.
Nel complesso però Marchetti, se in giornata, resta uno dei punti di forza della formazione di Simone Inzaghi. Sia per quanto concerne l’esperienza a questo livello (33 anni e più di 200 presenze in Serie A) che per quanto riguarda la qualità, con particolare riferimento alla reattività ed al tuffo. Inoltre Marchetti mi è sempre parso un portiere capace di galvanizzarsi con l’aumentare della pressione, facendo paradossalmente meglio nei match importanti che non in partite di minor retaggio.
Sono principalmente tre i punti deboli di questa Lazio: gli esterni offensivi, il terzino sinistro e la panchina corta.
Il primo punto può sembrare paradossale. Solo un annetto fa Felipe Anderson era uno pseudo fenomeno sulla bocca di tutti, Keita un talento da valorizzare, Kishna il nuovo arrivo da lanciare e Candreva la certezza. Oggi il nazionale italiano è partito in direzione della Milano nerazzurra, il senegalese dai natali spagnoli ha rotto con la società, mentre il brasiliano è comunque reduce da una stagione travagliata e ha da poco vinto il primo storico oro del Brasile e andrà capito in che condizioni tornerà a disposizione.
Poi c’è Lombardi, enfant prodige che viene da due anni di prestito tra Trapani ed Ancona. Pareva destinato a ripartire, con la stessa formula, verso San Benedetto del Tronto o Reggio Calabria (quindi addirittura Lega Pro o Serie D, nemmeno cadetteria). Inzaghi però si sente corto sugli esterni, a maggior ragione non potendo ancora contare su Anderson. E ne blocca la partenza. Un goal ed una prestazione discreta però non ne fanno un calciatore fatto e finito. Contro la Juve dovrebbe accomodarsi in panchina, se è vero che il nazionale olimpico verdeoro si dice pronto.
In generale la pattuglia di esterni offensivi mostra più di qualche cigolio. Ma attenzione: trattasi di giocatori veloci e ficcanti. Sarà compito di fluidificanti e difensori laterali non dare loro troppe opportunità di lanciarsi palla al piede negli spazi. Come visto proprio in occasione del goal del ragazzino di Viterbo, con quel passo in contropiede possono rendersi molto pericolosi. Venendo al terzino di sinistra, il fratellino di Lukaku mi sembra abbia bisogno di un certo “training” prima di potersi esprimere a certi livelli in Italia.
Inutile raccontarcela: il lavoro tattico richiesto nel nostro paese, in particolar modo ai difensori, è unico ed infinitamente più importante rispetto a quanto non succeda all’estero.
Jordan contro l’Atalanta mi è parso cercasse, a fatica, di fare il compitino. Non venendo per altro aiutato moltissimo da Hoedt: proprio tra i due, infatti, si verificava spesso una scollatura in cui gli esterni di Gasperini potevano infilarsi ed andare a nozze. Nel secondo tempo, soprattutto, ha sofferto tantissimo gli assalti all’arma bianca di D’Alessandro. Ed è stato comunque il fluidificante di destra, Conti, a firmare due degli assist che hanno portato prima Kessie e poi Petagna al goal. Insomma, è parso un frutto ancora acerbo. E se non dovesse recuperare Radu potrebbe sicuramente essere uno degli anelli deboli dei biancocelesti.
Infine, la panchina corta. Non tanto per il numero dei giocatori che saranno presenti, ovviamente, quanto per la qualità degli stessi. Rispetto al match di Bergamo potrebbero essere recuperati Anderson, Lulic e Radu. Così non fosse la situazione rimarrebbe molto mesta.
I biancocelesti, però, non hanno certo solo punti deboli. Detto di un Marchetti che se in giornata resta uno dei portieri più interessanti del campionato, i principali punti di forza della Lazio che scenderà in campo contro la Juventus dovrebbero essere De Vrij, la coppia Parolo-Biglia e l’ex Primavera bianconero Immobile.
Partiamo dalla difesa: il centrale oranje viene da una stagione travagliatissima, di fatto azzerata da un infortunio patito lo scorso 6 settembre durante un match disputato con la sua nazionale contro la Turchia. Operato al ginocchio ad inizio novembre, il difensore biancoceleste ha chiuso la stagione con cinque soli match disputati, rimanendo in panciolle davanti alla tv sino a fine campionato. La sua condizione oggi non può quindi essere ancora quella dei giorni migliori, ma resta la miglior freccia nell’arco di Inzaghi, per quanto riguarda il reparto arretrato. Difensore moderno, è abile in marcatura, sa difendere la profondità e da buon centrale di scuola olandese gestire il possesso della sfera. Non essendo però ancora al top della forma, resta un punto di forza solo a metà.
Le certezze maggiori (nonostante la probabile assenza di un Lulic utilizzato spesso come mezzala di sinistra) vengono quindi dal centrocampo. Dove Biglia è uno dei migliori meneur de jeu presenti oggi sul palcoscenico mondiale (certo, giocatori come Pirlo erano di ben altra pasta) e dove Parolo, anche nel corso dell’ultimo Europeo (epica la sua prestazione in marcatura su Iniesta), ha dimostrato di essere un buonissimo portaborracce anche ad alto livello. Per altro, capace anche di rendersi pericoloso con qualche inserimento offensivo, dotato com’è di un ottimo timing. Sia da un punto di vista tecnico che di affidabilità questi due rappresentano quindi una delle ancore cui l’intera Lazio dovrà aggrapparsi. Per quanto la Juve, con giocatori come il ritrovato Asamoah, il talentuoso Pjanic e l’ottimo Khedira, parte comunque in vantaggio anche nel reparto nevralgico del campo.
Infine Ciro Immobile. Un calciatore cresciuto proprio in bianconero, capace di vincere un titolo da capocannoniere sia in B che in A, prima di perdersi in un paio di esperienze all’estero molto poco fruttuose. Giocatore discretamente esplosivo e molto dinamico, ha buona capacità di ritmizzazione e soprattutto sente la porta. Pur senza essere dotato di un grande bagaglio tecnico di base, legge discretamente le situazioni e sa liberarsi in appoggio ed in profondità. Quest’anno ha iniziato timbrando un goal contro l’Atalanta, ma il compito che dovrà affrontare sarà molto più complesso: si troverà a dover giocare contro la miglior difesa del mondo. Gli spazi saranno risicati (la coppia Raimondi-Toloi se lo è completamente perso in occasione del goal di domenica) e non sarà per nulla facile giocare contro la squadra italiana che concede meno tiri agli avversari. La chiave di volta della sua prestazione potrebbe quindi essere il contropiede. Anche lui, come gli esterni offensivi in forza alla Lazio, ha buona capacità di corsa negli spazi aperti. Per tornare l’Immobile che seppe laurearsi miglior cannoniere del campionato sulla sponda granata di Torino, comunque, credo che la Lazio debba cercare di farlo giocare più vicino alla porta, rispetto a quanto successo contro l’Atalanta. Dove pure con il suo movimento d’incontro a liberare spazio alle sue spalle ha saputo creare l’occasione che ha portato all’affondo di Basta (servito proprio da lui) ed al conseguente goal di Cataldi.