Il Bentegodi è uno stadio in cui la Juventus ha raccolto più delusioni che gioie. E a cui è legato un successo in uno dei giorni più tristi: quello della scomparsa di Gaetano Scirea, il 3 settembre 1989.
Verona-Juventus dà il via a un trittico decisivo, 3 sfide in 7 giorni per restare attaccati al treno Scudetto. Subito un match duro, su un campo – il Bentegodi – dove i bianconeri hanno sempre sofferto in passato. Anche in quello recente.
Quante sofferenze al Bentegodi
Quella tra Juventus e Verona è una delle sfide più indecifrabili. Con una discrepanza tra le sfide in Piemonte e in Veneto. A Torino è un monologo bianconero. In 30 match di Serie A, il segno 1 è uscito in 25 casi. Con gli scaligeri che non hanno mai vinto, sfiorando solo qualche impresa. Come nel confronto d’andata in cui il gruppo di Juric ha sfiorato il colpaccio.
Tutt’altra musica al Bentegodi. Stadio in cui la Juve ha raccolto parecchie delusioni, alcune cocenti. In 29 precedenti, il fattore campo è saltato solo 8 volte, contro i 10 pareggi e le 11 affermazioni veronesi. Oltre alla “quantità”, c’è la “qualità” di alcuni match. Cioè cosa hanno rappresentato. Come il ko subito nell’aprile 2000. Con un ragazzo del Combi, Fabrizio Cammarata, a trasformare una possibile passerella tricolore in una sconfitta. Che 2 settimane dopo, a Perugia, avrebbe lasciato segni evidenti.
O un paio di pareggi rocamboleschi. Rimontando (da 2-0 a 2-2 nel 2001 con gol nel finale di Trezeguet) o facendosi rimontare (stesso copione, nel 2014, con inutile doppietta iniziale di Tevez).
La vittoria più triste di sempre
Il destino vuole che anche le vittorie abbiano un sapore particolare. Una su tutte, in uno dei giorni più tristi della storia della Juventus: il 3 settembre 1989, ricordato per la tragica scomparsa di Gaetano Scirea. Proprio mentre l’ex capitano moriva in un incidente stradale in Polonia, la squadra – di cui lui era il vice dell’allenatore Dino Zoff – ottenne una delle affermazioni più nette al Bentegodi.
1989, crocevia della storia
Quella del 3 settembre è la classica domenica di fine estate. In attesa che le campanelle delle scuole tornino a suonare. E che gli ultimi cartelli “chiuso per ferie” vengano tolti dalle saracinesche. Ma ci sono altri eventi che stanno per arrivare. Uno è programmato da tempo e per il quale il conto alla rovescia sta giungendo a zero: i Mondiali di calcio di Italia ’90. In tutto il paese c’è fermento per la Coppa del Mondo che, nell’estate successiva, avrebbe di nuovo fatto capolino nel Bel Paese.
Quella 1989/90, per la Serie A è una stagione da cantieri aperti. In alcune città (Torino e Bari) si sta lavorando per costruire nuovi impianti. In altre (Roma) bisogna ricorrere al piano B, con il Flaminio a fare le veci di un Olimpico che si sta rifacendo il trucco. O altre ancora (Milano) in cui si gioca in stadi in pieno restauro.
L’altro evento, più ravvicinato, è invece meno atteso. O meglio, non previsto. Vero, qualche scricchiolio nel blocco sovietico si è già visto. Ma che il muro di Berlino possa cadere da lì a un paio di mesi, tutto un altro paio di maniche. Un pezzo di storia che chiuderà di fatto gli anni ’80, uno dei decenni ricordati ancora oggi con tanta nostalgia.
I ruggenti anni ’80 del Verona
Chi ricorda con tanta nostalgia gli anni ’80 sono i tifosi del Verona. L’Hellas vive il momento più scintillante della sua storia. Iniziato nel 1982 con la promozione in Serie A. Poi con la disputa di 2 finali di Coppa Italia (perse prima con la Juve nel 1983 e poi la Roma nel 1984). Ma soprattutto la conquista di uno Scudetto, quello del 1985, ancora oggi sinonimo di miracolo sportivo.
Ma raggiunto il punto più alto, inizia subito la discesa. A partire dall’annata successiva, con il doppio scontro in Coppa dei Campioni proprio contro la Juventus, gli scaligeri non riescono più a tenere il passo.
E pezzo dopo pezzo, il puzzle costruito da Osvaldo Bagnoli viene disgregato. Quando si arriva al 1989, il Mago della Bovisa è ancora sulla panchina, ma dei ragazzi dello Scudetto non c’è praticamente più nessuno. E le ambizioni non sono certo quelle di un campionato d’alta quota. Di sicuro in pochi prevedono la retrocessione che maturerà pochi mesi dopo, a neppure un lustro dal momento più bello di sempre.
Fine di un’era a Torino
In minima parte, il destino del Verona accomuna la Juventus. Anche i bianconeri hanno vissuto un finale di anni ’80 in calo e per gli stessi motivi. La corazzata degli Scudetti e delle coppe internazionali si è dissolta. Da Causio a Furino, da Zoff a Gentile, da Bettega a Tardelli, passando per Rossi, Boniek, Platini e Scirea hanno salutato, oltre a Giovanni Trapattoni. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato Antonio Cabrini. E presto, storia della primavera del 1990, toccherà anche a chi quel capolavoro lo aveva messo insieme: il presidente Giampiero Boniperti.
Qualcuno è tornato. Zoff e Scirea hanno preso nell’88 la guida di una squadra che non riesce più a competere ad armi pari con le rivali. Oltre a Milan e Inter, anche il Napoli ha fatto il definitivo salto di qualità con l’ingaggio di Diego Armando Maradona.
Finita così così la prima stagione, per quella 1989/90 c’è voglia di provare a stupire, sapendo che il gap è ancora da recuperare. Oltre al Bell’Antonio, hanno lasciato anche Laudrup e Altobelli. Dal mercato sono arrivati 2 ragazzi che hanno fatto benissimo in Serie B: Totò Schillaci e Pierluigi Casiraghi. In più è giunto un altro sovietico, Alejnikov, a dare manforte al connazionale Zavarov che nel primo anno sotto la Mole ha deluso le aspettative.
L’avvio di annata è in chiaro scuro. Alla prima di campionato, i bianconeri vengono fermati sul pari al Comunale. A imporre l’1-1 è il Bologna degli ex Cabrini, Bonini e Ivano Bonetti (che vive il duello con il fratello Dario), ma soprattutto dei futuri juventini Luppi, De Marchi e Gigi Maifredi. Singolare che a segnare il gol di Madama sia un bolognese doc quale Giancarlo Marocchi. Ma non basta.
Va un po’ meglio in Coppa Italia. La squadra di Zoff fatica ma supera i primi 2 turni, contro il Cagliari di Ranieri in trasferta e con il Taranto in casa. Incoraggiante il fatto che in entrambi i tabellini ci sia la firma di Zavarov, un po’ meno versione oggetto misterioso. Un doppio successo che porterà i suoi frutti qualche mese dopo quando, nel cantiere di San Siro, capitan Tacconi alzerà il trofeo.
Quando inizia il mese di settembre, c’è quindi curiosità di capire quale ruolo potrà ricoprire la Juve. E il test di Verona sarà quanto mai attendibile.
Una domenica di gol e lacrime
Il futuro ha già iniziato a bussare, anche nel calcio. Ma la stagione 1989/90 è ancora di quelle tradizionali. No pay tv, no posticipi, tutte le gare in contemporanea. Con orari variabili a seconda del periodo.
A inizio settembre, con molti italiani ancora a rinfrescarsi sulle spiagge, si gioca alle 16.30. Quando i bianconeri salgono la scaletta che porta sul terreno del Bentegodi non sono a conoscenza di quello che è accaduto una manciata di ore prima, un migliaio di chilometri più a nord. Gaetano Scirea non è con il gruppo. È in missione in Polonia, per relazionare l’amico Dino sul Gornik Zabrze, avversaria nel primo turno di Coppa Uefa. Visto il match il giorno prima, Gai è sulla strada verso l’aeroporto per fare ritorno a casa. Quando l’auto su cui viaggia viene coinvolta in un incidente stradale. Da cui lui e altri 2 passeggeri (l’autista e la traduttrice) non escono vivi.
È l’ora di pranzo quando la tragedia si consuma. Nel 1989 non ci sono social e internet, tantomeno i telefonini. La notizia arriverà in Italia solo nella tarda serata. Quando i bianconeri saranno sulla via di ritorno verso Torino.
La domenica di Totò
Come nella domenica precedente col Bologna, la Juve si trova di fronte una squadra piena di ex. Nel Verona giocano Luciano Favero, Pietro Fanna e Marino Magrin. E i tra i pali c’è un ragazzino non ancora 20enne, sbocciato a Roma: Angelo Peruzzi.
Il futuro numero uno juventino non vive però una domenica da protagonista. La presenza di Dino Zoff a bordo campo è uno stimolo per ogni giovane portiere. Ma per sua sfortuna si trova di fronte un’avversaria in giornata. Anzi, un attaccante con una fame di gol impressionante.
A inizio settembre nessuno può immaginare cosa sarà capace di fare nell’estate successiva, ma in quel pomeriggio veronese tutti scoprono Totò Schillaci. Il ragazzo siciliano ha l’occasione della vita dopo anni nelle serie minori. Si è già sbloccato in Coppa Italia, su punizione, ed è ora di farlo anche in campionato.
E gli bastano 4 minuti, il tempo di mettere tutta la sua rabbia sportiva in una botta da fermo da 30 metri che si infila sotto la traversa di Peruzzi. Come primo gol in Serie A, Totò non poteva lasciare segno più netto. Per la prima doppietta bisogna aspettare poco: tocco intelligente di Rui Barros e deviazione sotto misura, tanto per dimostrare che anche l’area di rigore è suo territorio di caccia.
Non potrebbe esserci avvio migliore. Il Verona di Bagnoli reagisce ma in pochi minuti prende altri 2 colpi al mento. Prima Alejnikov salva a Tacconi battuto su un tiro di Iorio, poi Gaudenzi prende il secondo cartellino giallo. Al 25’ padroni di casa sotto di 2 gol e di un uomo. Nella ripresa, i bianconeri colpiscono quasi negli stessi minuti: Daniele Fortunato al 4’ e ancora Marocchi all’11’. Il poker è servito e la rete finale di Iorio non cambia la sostanza. La Juve vince nell’ostico Bentegodi e prova a lanciare un segnale al campionato.
Un ritorno da incubo
Un altro segno dei tempi. A differenza di oggi, la trasferta a Verona nel 1989 è sinonimo di viaggio in bus. Considerata anche l’ora della gara e tutto il post partita, la comitiva bianconera si mette in viaggio quando è già sera. Con tanto di sosta in autogrill per la cena, come si saprà dopo.
Quando il pullman è quasi a destinazione, la più tragica delle notizie viene comunicata. È un casellante dell’autostrada a informare l’autista di quello che la tv ha appena annunciato. Lo ha fatto la voce roca di Sandro Ciotti durante la Domenica Sportiva: è morto Gaetano Scirea. Le immagini del programma e le lacrime di Marco Tardelli, in studio quella sera, si possono vedere su YouTube. A testimonianza del fulmine a ciel sereno che si abbatte su tutta l’Italia che in quel momento è collegata sulla Rai.
Quando la squadra entro al Comunale ci sono giornalisti e tifosi, molti dei quali in lacrime. Le stesse versate da Dino Zoff, da tutti i bianconeri e da Giampiero Boniperti. La Juve e il calcio italiano hanno appena perso un pezzo della loro storia. L’Italia e il mondo una persona per bene. Che manca a tutti ancora oggi, a oltre 30 anni di distanza.
In onore di Gai
La morte di Gaetano Scirea è una mazzata per tutti. Ma soprattutto per la squadra che non perde solo un vice allenatore, ma un punto di riferimento. Il gruppo si stringe, animato da un motivo in più per disputare una grande stagione. Ripetere anche nelle altre gare quanto di buono visto a Verona. Un intento che riuscirà in Europa, dove i ragazzi di Zoff conquisteranno la Coppa Uefa nella doppia finale contro la Fiorentina. E in Coppa Italia, vinta a spese del Milan di Arrigo Sacchi, Campione d’Europa in carica e lanciato verso il bis.
Non altrettanto in campionato, con la vetta rimasta sempre fuori portata. Nonostante la rimonta finale, condotta da un gruppo che fino all’ultimo lotta per Scirea, ma anche per Dino Zoff. Il cui esonero a fine stagione pare assodato. In nome di quella rivoluzione che porterà a Torino Luca Cordero di Montezemolo e Gigi Maifredi.
Torino piange 2 volte
Domenica 3 settembre è una giornata tragica per Torino. Gaetano Scirea era un suo figlio adottivo, giunto giovanissimo sotto la Mole a metà anni ’70 e mai più andato via. La città dove è diventato fuoriclasse con la Juve. Ma anche dove ha messo su famiglia con Mariella e ha visto nascere il figlio Riccardo.
Ma c’è un’altra tragedia che fa notizia. Anche questa proveniente dall’estero. Da Cuba, per la precisione, dove precipita un aereo occupato da turisti italiani. Molte delle 113 vittime provenivano proprio dal capoluogo subalpino. Che ha un motivo in più per piangere lacrime amare in una domenica di fine estate.