di Andrea Lapegna
La Juventus mette un piede nei quarti di Champions dopo la notte di Oporto. La frenesia dei portoghesi e la superiorità tecnica dei bianconeri hanno indirizzato la partita.
Grazie a Davide Terruzzi per i contributi video
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]D[/mks_dropcap]a quando abbiamo commentato insieme il sorteggio di Nyon sono passati 2 mesi. Lunghi, lunghissimi, perché considerata la competizione del campionato italiano, è su questa coppa che i giocatori riverseranno le proprie energie e i tifosi le proprie speranze. Al di là dell’esclusione di Bonucci, di cui si è parlato sin troppo, la formazione della Juventus è quella annunciata. Lichtsteiner e Alex Sandro riprendono possesso delle rispettive fasce, Barzagli e Chiellini formano la coppia centrale. In mezzo ci sono Pjanić e Khedira, e più avanti spazio ai fantastici 4. Nuño Espirito Santo invece sorprende con la mossa di spostare il nostro osservato speciale Rúben Neves nel terzetto dietro le due punte. Accanto a André Silva c’è Tiquinho.
Nei primi minuti di partita, il Porto ha messo in mostra una discreta pressione. I lusitani sembravano accettare la parità numerica nel proprio terzo di campo, in favore di un pressing costante sulla difesa bianconera. Con il passare dei primi istanti, la pressione del Porto però si sostanziava in un pressing orientato all’uomo soltanto in zone centrali del campo: la costruzione bassa della Juventus era lasciata libera, badando piuttosto all’occupazione degli spazi che all’arrembaggio sull’uomo. Questo atteggiamento, a tratti conservativo, ha permesso di scoprire le carte in tavola e declinare il 4-1-3-2 delle grafiche di partenza in un ben più realistico 4-4-2 (come anche la disposizione in campo del primo quarto d’ora ci conferma). In questo contesto infatti, Neves agiva spesso alla destra di Danilo Pereira – su Khedira per intenderci – e non davanti al compagno come ci si poteva ragionevolmente aspettare all’inizio.
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Questo canovaccio ha permesso al Porto di creare qualche grattacapo alla retroguardia della Juventus, che non ha saputo risolvere a proprio favore il possesso palla, ed ha anzi perso qualche pallone di troppo in uscita. La tattica iniziale dei Dragões ha portato ad una punizione dal limite di Brahimi (uno dei migliori dei suoi) e ad un tiro dalla media distanza di Neves.
La Juventus allora ha risposto abbassando Pjanić (più raramente Khedira) tra i due centrali: in questo modo finalmente la salida lavolpiana è stata tesa alla ricerca un vantaggio posizionale, piuttosto che ad una semplice uscita pulita del pallone. Il triangolo di centrocampo si andava a ricomporre, invertito, con l’aiuto di Dybala, e la situazione si risolveva in un vantaggio sia numerico che posizionale per la Juventus nel centro del campo. La conseguenza naturale è stata spingere il Porto a cercare di difendere in spazi più stretti e quindi arretrando il proprio baricentro.
Con pazienza, superate dunque le prime folate di pressione avversaria, la Juve è riuscita a tenere il pallone e a palleggiarlo per una manovra più pulita, fluida e ragionata. Il 4-4-2 difensivo dei lusitani ha come detto cercato la densità in mezzo al campo per indirizzare la manovra avversaria sugli esterni. A maggior ragione dopo gli accorgimenti da parte di Allegri di cui sopra, il Porto ha cominciato ad abbassarsi, permettendo a Chiellini e Barzagli di manovrare serenamente a ridosso del cerchio di centrocampo.
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La disposizione della Juve in fase di possesso consolidato: i terzini sono talmente alti da spingere le rispettive ali sulla stessa linea del centravanti, disegnando una sorta di 2-4-1-3
Come un Crotone qualsiasi, i Dragões hanno tentato di mettere la museruola al possesso bianconero, che si è risolto in una circolazione di palla spesso perimetrale. I raddoppi più che puntuali in fascia hanno permesso di creare una serie di cul-de-sac in cui gli esterni bianconeri finivano per perdersi: Cuadrado ad esempio, meno brioso del solito, ha tentato (e concluso con successo) un solo dribbling in tutta la sua partita, quasi per disperazione. La Juventus ha occupato stabilmente la fascia centrale del campo, senza però trovare sbocchi in verticale. La soluzione del rebus in favore della Juventus deve passare necessariamente per le giocate tra le linee.
Nell’attuazione della propria strategia i giocatori del Porto hanno mostrato una notevole frenesia, soprattutto quando chiamati in uscita sulla ricezione. Tale smania ha portato i portoghesi a cercare la riconquista aggressiva del pallone anche in zone non particolarmente avanzate, in cui sicuramente il proprio tecnico avrebbe voluto che temporeggiassero e portassero l’avversario a passare all’indietro, prima ancora che aggredire il pallone. La partita si è frammentata in seguito ai molti fischi dell’arbitro, e due interventi scriteriati dell’ex-interista Telles nel giro di una manciata di secondi hanno lasciato inesorabilmente il Porto in 10 uomini.
Se non altro, l’espulsione di Telles ha avuto il merito di spingere Nuño Espirito Santo a palesare ancor di più il proprio piano gara: la sua squadra aveva impostato una partita prettamente reattiva, e lui ha avuto la scusa perfetta per esacerbare questo atteggiamento in ragione dell’inferiorità numerica. La sostituzione di André Silva, l’uomo designato come pericolo pubblico numero uno, è un manifesto d’intenti in questo senso. Scevra anche dai timidi tentativi di recupero palla dei primi minuti, la sua squadra si è arroccata a difesa della propria area con un 4-4-1 molto serrato.
A questo punto, il copione dell’incontro si è appiattito con decisione verso scene monocorde. La Juventus è stata chiamata a fare la partita; i lusitani dal canto loro hanno mosso ordinatamente il proprio blocco per impedire agli avanti bianconeri combinazioni pericolose al limite dell’area. Le uscite in pressing sono sempre più sporadiche, a singhiozzo, e frutto d’iniziative personali alle quali il piano gara ha delegato il minimo sindacabile della combattività.
Prima del gol di Pjaca che ha di fatto chiuso l’incontro e molto probabilmente la qualificazione, la Juventus ha sbattuto più volte contro il muro eretto dal Porto. In un contesto tattico dominato dalla staticità in effetti, ci si aspetterebbe di vedere la squadra cui spetta l’iniziativa muovere velocemente il pallone in orizzontale per cercare di scombinare la struttura posizionale avversaria e liberare un terzo uomo tra le linee. Il giro palla della Juventus invece è lento e paziente, passando il pallone da un lato all’altro del campo con pigrizia sufficiente affinché le linee del Porto potessero scalare ordinatamente. In questa situazione è stato difficile coinvolgere gli attaccanti nella rete di passaggi, castrando di fatto la manovra e privandola del suo sbocco naturale.
La solitudine del numero 9
Così, si cercava di raggiungere Higuaín con cross anche dalla trequarti, provando a inserire duelli individuali nel contesto estremamente fisico dell’area avversaria. Ogni qualvolta la Juventus ha cercato il centro dell’area con palle alte, Mandžukić stringeva la propria posizione, comunque mai larga, e si portava accanto all’argentino. Questo avveniva in maniera sistematica, sia che il cross provenisse da destra (Cuadrado e/o Lichsteiner) che da sinistra (con il solo generosissimo Alex Sandro).
Vista la scarsa produttività di questo strumento, era inevitabile che le azioni pericolose della Juventus – comunque numericamente notevoli – nascessero apparentemente dal nulla. Ogni accelerazione era provocata a monte da un uomo, spesso Dybala, che si liberava tra le linee proponendosi come acceletarore del ritmo di gioco e portando con sé un effetto domino sugli avversari. Prevedibilmente, la partita è stata indirizzata da quei frangenti in cui la Juventus è riuscita a cercare l’uomo tra le linee strettissime del Porto. Nell’azione del gol di Pjaca, al netto del rimpallo su Layún che consegna al croato la palla del vantaggio, i bianconeri hanno dato sfoggio di un ottimo fraseggio nello stretto, appoggiandosi a un Dybala che ha approfittato dell’unica occasione in cui Danilo Pereira ha lasciato un mezzo spazio dietro di sé.
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I due gol alla fine del video
Come molti tifosi chiedevano a gran voce, la Juventus non si è assopita in seguito al doppio vantaggio, ma ha anzi continuato a spingere sull’acceleratore sfiorando a più riprese la terza rete. Il Porto è sembrato consapevole della necessità di un gol, ma non è stato capace di trovare altra strada se non i lanci lunghi e le iniziative personali di pur ottimo Brahimi. Il timido – timidissimo – attacco portoghese è stato anestetizzato dalla difesa Juventina, con Chiellini a giganteggiare sui palloni alti (5 duelli aerei vinti su 5), che alla fine non avevano più le testa di André Silva come riferimento. L’impietoso computo delle conclusioni segnerà un inappellabile zero alla voce “tiri nello specchio”.
Pjanić, al termine della gara, ha raccontato di un Allegri particolarmente calmo all’intervallo, ha detto loro di non farsi prendere dalla frenesia, che prima o poi avrebbero trovato il pertugio giusto, e che la vittoria sarebbe presto o tardi arrivata. La fiducia nelle capacità dei propri giocatori è stata determinante, così come lo sono state le sostituzioni e l’aver ricercato il dialogo nello stretto con il terzo uomo libero. Il Porto è stato ordinato ed ha fatto la partita che ci si poteva attendere, ma altrettanto ha fatto la Juventus. E quando due squadre fanno il proprio dovere, la differenza la fa la qualità complessiva, rendendo più pesante il piatto della bilancia in favore della compagine migliore.