di Alessandra Fabio
Intorno alle ore 13 di venerdì 17 maggio, è stato reso noto che “Massimiliano Allegri non siederà sulla panchina della Juventus nella prossima stagione 2019/2020”. La notizia è giunta alla fine di giorni (settimane) di attesa, ipotesi e timori che, in seguito all pubblicazione della Nota della società, hanno trovato libero sfogo tra le fila della tifoseria. Si è spaziato dai post di triviale e decisamente poco opportuno festeggiamento, ai doverosi ringraziamenti. Dal terrore di disfatta, al sollievo.
A circa ventiquattro ore dall’accaduto è giunto il momento di lasciar da parte le emozioni contrastanti e provare ad analizzare più lucidamente la realtà: il lavoro di Allegri durante questi anni ha raggiunto picchi di valore difficilmente immaginabili, scrivendo “History alone”. Arrivato tra i mugugni e lo scetticismo generale, ha dato vita a stagioni magistrali, capaci di ridare alla Juve quella dimensione europea che tanto stentava a raggiungere; è stato esempio di estrema intelligenza tattica, gestionale, dialettica. Infine, per una combinazione di fattori e contingenze, alla prova di forza dei primi anni non è corrisposto lo scarto decisivo che ci si aspettava da questo 2019.
Gli sforzi in sede di mercato, la determinazione nel costruire una rosa all’altezza, un organico capace di affrontare a viso aperto qualunque big europea non sono bastati, arrivando ad una paradossale involuzione.
Cosa è accaduto? Come andrebbero suddivise in questi casi le responsabilità? È una questione difficile, probabilmente neanche troppo importante. La realtà è che, semplicemente, i cicli finiscono e le strade si separano. Anche quando ti hanno portato due finali di Champions e cinque scudetti.
Emotivamente non è semplice accettare certi cambiamenti, tuttavia è ancor più dannoso ignorare il tangibile soltanto per rimanere in una apparente comfort zone; perchè la curva negativa della Juventus di quest’anno è purtroppo un’evidenza, come lo sono stati lo smarrimento tattico e anche tecnico dei suoi migliori calciatori, o quello dello stesso allenatore nel momento di maggiore crisi. Il punto di rottura sembrava essere definitivamente arrivato dopo la gara di ritorno con l’Ajax; non tanto per la brutta esclusione dalla Champions, quanto per l’abisso silenzioso che si frapponeva tra quel genere di prestazione e le parole tanto significative di Paratici alla vigilia dell’andata degli ottavi di finale contro l’Atlético.
Ad oggi, conoscendo l’epilogo dell’intera vicenda, l’unica cosa da fare è guardare con occhio critico a ciò che rimane, ovvero i calciatori. La rosa della Juventus ha un valore intrinseco tale da rendere futili un buon 70% delle fobie intertifoseria del momento. Qualunque sia la scelta riguardo la guida tecnica troverà uno spogliatoio con a capo Cristiano Ronaldo, troverà talenti vecchi e magari nuovi ma comunque perfettamente in grado di competere e affermarsi, troverà tanto di quel talento da poter lavorare da privilegiato.
Ciò che non autorizza il mondo juventino – che pure non smetterà mai di ringraziare Max per quanto ha donato a questa squadra – a cadere in episodi di grottesco disfattismo è, inoltre, la presenza di una società con delle spalle enormi, con un Presidente di raro spessore (perfetto nella conferenza stampa d’addio) che, ormai da quasi dieci anni, lavora in maniera impeccabile e per scalare ogni anno una cima in più.
È comprensibile il timore, ma questa comprensione non è legittimante. Il calcio è continua mutazione, la ricetta perfetta di due anni fa potrebbe non essere più quella giusta e l’allenatore di Cardiff potrebbe non essere più il bene della Juventus; che viene e verrà sempre prima di Del Piero, di Lippi, di Conte e – con tutto il rispetto e la riconoscenza del caso – di Allegri.
Questo articolo riflette le opinioni personali dell’autrice e non necessariamente quelle dell’intero staff.