di Elena Chiara Mitrani
L’adolescenza in un quartiere difficile, la gavetta, il Manchester, la Juventus. Le controversie, le critiche, il rapporto con la stampa francese, la leadership. Ritratto di Patrice Evra.
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]N[/mks_dropcap]ei racconti per ragazzi, fantasy o sci-fi, è un espediente letterario abbastanza comune la presenza di una porta di accesso a un’altra dimensione, da scoprire proprio accanto ai luoghi della quotidianità: un pozzo, un albero, un armadio. Una volta varcata la porta, i protagonisti possono proiettarsi in una realtà fantastica precedentemente insperata. A Les Ulis, comune di circa 25.000 anime situato nell’Essonne, banlieue parigina, deve esserci un varco simile nei pressi del campetto del club di calcio locale. Infatti, tre enfants terribles della recente storia del calcio francese hanno scaldato i tacchetti proprio al C.O. Les Ulis: Thierry Henry, Anthony Martial, e il protagonista di questa storia, Patrice Evra.
È una banlieue sensible Les Ulis, spuntata dalla terra negli anni ’70 sotto forma di condomini e passerelle di cemento. Gli agglomerati di case popolari che vi sorgono sono quelli che i francesi chiamano cité, termine usato per designare non solo i quartieri “un po’ così”, ma anche le bande di ragazzi di strada che li animano. I genitori di Patrice Evra, lui senegalese, lei di Capo Verde, si trasferiscono a Les Ulis da Dakar, nell’84, dopo un breve soggiorno a Bruxelles che la famiglia trascorre al seguito di Evra senior, all’epoca consigliere culturale all’ambasciata del Senegal. La résidence Hautes-Pleines diventa così la casa di Evra, che al momento del trasloco ha tre anni ed è il piccolo di casa. Crescere in un quartiere difficile segna profondamente il Patrice ragazzino, che trova però una valvola di sfogo nel calcio. Nonostante la sua statura rappresenti un limite, gli amici lo convocano sempre per i match contro i ragazzi delle cité vicine, allo stesso tempo compagni di gioco e primi rivali. Quando non gioca per strada, Patrice si allena nel campo sintetico della scuola, e viene accolto fin da piccolissimo al C.O. Les Ulis, il suo primo vero club, verso cui tutt’ora il giocatore transalpino mostra grande riconoscenza, visto che è proprio mentre gioca nella squadra del quartiere che inizia a forgiarsi il suo carattere. La sua carriera muove così i primissimi passi.
Mahamadou Niakité, attuale direttore sportivo del C.O. Les Ulis e amico d’infanzia del giocatore, ricorda la famiglia di Evra come un piccolo clan, generoso e capace di “aprire sempre la porta a tutti”. La famiglia è numerosa (in totale Evra ha ben 24 tra fratelli e fratellastri. Come lui stesso ha dichiarato: «Mio padre, sapete, non amava molto guardare la televisione…»), e i mezzi sono modesti: il padre in Francia è impiegato in un’azienda di prodotti chimici e la madre è commessa presso un negozio di abbigliamento low cost a Barbès, quartiere multietnico nel XIX arrondissement di Parigi. Patrice, influenzato dagli altri giovani del quartiere, rischia di compromettere fin da subito la propria esistenza a furia di furtarelli e risse, e si ritrova a volte persino a chiedere l’elemosina fuori dalle panetterie. La famiglia pensa che sia meglio farlo rientrare in Senegal dagli zii, mentre il quartiere viene etichettato come zona rossa. «Ogni estate – ha raccontato Evra in un’intervista rilasciata nel 2004 – c’era un assassinio. Un giorno ho detto che il calcio mi aveva salvato dalla delinquenza. In ogni caso non avrei mai potuto tirare troppo la corda, fare il pusher o diventare un ladro a tutti gli effetti. Ma con gli amici, ci capitava di compiere dei piccoli furti al supermercato».
Per fortuna c’è il calcio: fin da bambino Patrice è convinto che sarebbe diventato un calciatore e sul campo mostra un’evidente superiorità tecnica rispetto ai compagni e viene pertanto schierato come numero 10 o da attaccante, per poter fare la differenza giocando più vicino alla porta avversaria. Notato prima dal RC Lens e poi dal PSG mentre disputa tornei giovanili, Evra ha l’occasione di cimentarsi con i primi provini, purtroppo con risultati deludenti. Ma il giovanissimo calciatore ha le idee chiare e l’incrollabile convinzione di potercela fare lo sostiene e lo accompagna al primo cambio di maglia, che avviene all’età di 13 anni con il passaggio dal C.O. Les Ulis al Brétigny, club della regione parigina che negli anni si è fatto una buona nomea come incubatore di talenti. L’amico Tshimen Buhanga, che lo presenta al suo nuovo club, sceglie di paragonarlo a Romario «perché era il giocatore preferito di Patrice all’epoca, e perché Patrice copiava un po’ le sue movenze».
A Brétigny, comune a pochi chilometri da Les Ulis e immerso nel verde, Evra gioca ancora principalmente come attaccante, adattandosi saltuariamente al ruolo di laterale sinistro. Didier Brillant, suo coach U15, ricorda un episodio particolare relativo a un’amichevole organizzata tra il Brétigny U15 e la selezione femminile senior dello stesso club. Durante il match, il futuro nazionale transalpino si era dimostrato particolarmente determinato, non rinunciando a una marcatura serrata e a entrate dure, al punto da far sbottare la sua avversaria. Secondo Brillant, questo comportamento faceva però onore a Patrice, che mostrava un pieno rispetto dell’impegno e dell’avversaria. Lo staff di Brétigny, cosciente di aver tra le mani un giovane molto promettente, organizza quattro provini con il Rennes, ma il club bretone finisce per rifiutare il giocatore, adducendo come principale motivo la sua bassa statura.
Ogni anno mi dicevano: “Vedremo sotto Natale”. Dovevano richiamarmi, ma sto ancora aspettando. Non ero abbastanza grande e grosso, pare…
La svolta arriva quando entra in gioco l’Italia. Durante un torneo di futsal a Jusivy-sur-Orge, un ristoratore italiano amico di Evra lo mette in contatto con uno scout del Torino, Onofrio Giammaresi, che, incuriosito, noleggia una palestra della vicina Sainte-Geneviève-des-Bois e organizza un match per vederlo giocare. Convinto dall’esibizione, Giammaresi dà 450 franchi ad Evra affinché il giocatore possa acquistare la propria licenza dal Brétigny e proporsi ad una squadra italiana. Nella fattispecie, il Toro.
Il primo viaggio di Patrice Evra verso Torino è dunque un’esperienza agli antipodi di ciò che il giocatore sta vivendo in questi anni con la maglia bianconera. Il provino con i granata, sotto la supervisione del direttore sportivo Giuseppe Accordi, va bene ma fino a un certo punto, perché il ragazzo viene elogiato ma non preso, dal momento che l’organico era già al completo. Giammaresi, deluso, non si arrende e riesce a portare comunque Patrice in Italia, sebbene in serie C1, al Marsala. Il talent scout italiano, in un’intervista rilasciata a L’Équipe nel 2016 per la realizzazione di uno speciale su Evra, racconta dell’incontro con la madre del giocatore e dei dubbi della donna, che, ormai separata dal marito, alla partenza del figlio minore sarebbe rimasta sola in casa. Ma il corso del destino va abbracciato ed il desiderio di Patrice di diventare un calciatore sarebbe riuscito a smuovere anche una montagna. Così, nel luglio 1998, mentre la Francia celebra la nazionale stellare e multietnica fresca vincitrice del Mondiale giocato in casa, il diciassettenne Evra si trasferisce in Italia e, saltando a piè pari il capitolo football academy, si appresta ad affrontare la prima parte della sua carriera da professionista. In salita.
Evra arriva al Marsala con alle spalle un curriculum da attaccante e da esterno offensivo. L’arrivo è rocambolesco: giunto a Milano, deve prendere il treno per una città montana del Nord Italia in cui il Marsala si trova in ritiro, ma non riesce a raccapezzarsi con le informazioni che scorrono sui pannelli della stazione. Chiama così la madre e, in lacrime, confessa di voler già tornare a casa. Il suo treno, in realtà, è già partito. Un senegalese di passaggio, resosi conto della situazione, gli va però incontro per aiutarlo e lo ospita per una notte prima di riaccompagnarlo in stazione il giorno successivo. «Con un enorme peso sullo stomaco – ha raccontato il giocatore diversi anni dopo – mi sono ritrovato in una minuscola stanza, a mangiare pollo yassa (una tipica ricetta africana, ndr) con otto persone. Dio mi ha teso la mano attraverso l’aiuto di questo signore senegalese che mi piacerebbe molto poter ringraziare». Durante il viaggio in treno il giorno successivo, secondo il racconto fatto dal giocatore al Guardian nel 2006, Evra è seduto davanti a un gruppo di suore, alle quali chiede ogni cinque minuti quanto manca per la sua destinazione. Superate le prime difficoltà e finalmente raggiunti i compagni in ritiro, l’avventura può iniziare. Evra gioca per un anno con il club siciliano, i cui tifosi lo ribattezzano “il Cioccolatino” o “la gazzella nera”. Questi soprannomi avrebbero voluto essere affettuosi, ma purtroppo i continui accenni al colore della sua pelle rappresentano per Evra un problema, senza contare che negli stadi riceve spesso accoglienze aggressive: per la prima volta il giocatore è confrontato con il problema del razzismo nel calcio italiano.
Nei primi tempi, i miei compagni di squadra volevano soprannominarmi “nero”. Ho dovuto minacciarli e dir loro che li avrei chiamati “bianco di merda”, per far capire che i miei genitori mi avevano dato un nome e cognome, e che è così che avrebbero dovuto chiamarmi.
Alla sua prima esperienza lontano da casa, Evra vive da solo e conduce una vita spartana e solitaria fuori dal campo, ma per integrarsi con i compagni cerca di imparare in fretta l’italiano e si dimostra capace di inserirsi nello spogliatoio facendosi notare per la sua intelligenza e per il suo senso dell’humor. Marsala, per Patrice, rappresenta soprattutto il salto definitivo al professionismo. È questo il più grande ricordo di gioventù che il francese lega alla sua esperienza nel club siciliano. La città di Marsala, dal canto suo, vista la straordinaria carriera internazionale del giocatore, nel 2014 ha deciso di omaggiarlo attribuendogli la cittadinanza onoraria. Tra le mille difficoltà della C1, Evra esce dall’esperienza arricchito, imparando tanto a livello di mentalità e cultura del lavoro.
L’esperienza a Marsala si conclude per Evra dopo solo un anno: durante l’estate 1999, al prezzo di 250.000 euro lo acquista infatti il Monza, che all’epoca giocava in serie B. Le premesse sembrano interessanti, ma l’esperienza in Brianza si rivela un fiasco, con il giocatore che, a fine stagione, avrà disputato soltanto tre partite in biancorosso, poco valorizzato dall’allenatore.
Quello che poteva rappresentare un passo avanti, un trampolino, si rivela dunque un passo indietro. Da Monza, Evra ritorna quindi in Francia, in seconda divisione, più precisamente al Nizza. Il suo storico agente Federico Pastorello ha recentemente dichiarato in un’intervista a So Foot che solo a Nizza Patrice ha iniziato a mettere la testa a posto, imparando a tenere a bada un ego piuttosto ingombrante. All’arrivo di Evra, nel 2000, l’allenatore degli Aiglons è l’italiano Sandro Salvioni, con il quale inizialmente c’è qualche incomprensione. Al primo incontro con il nuovo coach, Evra viene subito rimproverato per non essersi tolto il cappello e, durante la prima stagione del giocatore in Costa Azzurra, hanno luogo diverse diatribe tra lui e l’allenatore, principalmente riguardanti la sua posizione in campo: Patrice si vede attaccante, un ruolo che lo entusiasma perché, a suo parere, gli permette di incidere maggiormente sul match. Salvioni invece vorrebbe confermarlo come esterno sinistro e consolidare il suo apporto in fase difensiva. Le divergenze non si appianano e arriva un altro passo indietro: Evra subisce un downgrade di categoria e viene mandato ad allenarsi col CFA (la squadra B, in pratica, che militava allora in quarta divisione).
Quando si è al liceo capita, di anno in anno, di vedere i compagni trasformarsi quasi completamente durante l’estate. Un tempo, il cambiamento era reso ancora più evidente perché i social network non esistevano, e tra un anno scolastico e l’altro si stava quasi tre mesi interi senza vedere i propri compagni di classe o avere loro notizie. A settembre, vedendo che questo o quel compagno aveva cambiato radicalmente aspetto fisico, voce, stile nel vestire o taglio di capelli, si restava sorpresi e affascinati nell’osservare come il cambiamento esteriore portasse in dote quasi sempre, in un’età di trasformazioni come l’adolescenza, anche un cambiamento caratteriale, autentico o recitato.
Questa sensazione di straniamento e meraviglia è forse stata la stessa provata da Salvioni e dal suo staff al rientro di Evra a Nizza dopo l’estate 2001. Il giocatore, per parola dello stesso tecnico, sembrava un’altra persona, pronto a sacrificarsi, ad ascoltare e a cedere finalmente alla richiesta dell’allenatore di adattarsi a giocare sulla fascia sinistra come difensore, viste le assenze contemporanee di Cobos e Cirilli, gli uomini normalmente a disposizione per quel ruolo. Solo al rientro di Cobos, ad Evra viene concesso di giocare qualche partita come ala sinistra. La seconda stagione con la squadra di Salvioni si conclude con successo, con gli Aiglons promossi nella massima serie, ed Evra in gol nella partita decisiva per la promozione e selezionato nel Top Team della stagione per la Division 2. Nel ruolo di terzino sinistro.
In seguito alle ottime prestazioni con il Nizza, durante l’estate 2002 Evra passa al Monaco, che in quel momento è allenato da Didier Deschamps ed è una grande squadra, con ambizioni europee. Ci giocano Gallardo, Giuly, Adebayor, Morientes, ma Evra arriva senza lasciarsi mettere in soggezione da nessuno, certo di avere un posto da titolare, in difesa, a sinistra, con il numero tre sulle spalle. Durante la conferenza stampa di presentazione, afferma di voler vincere la Ligue 1 ed essere eletto miglior laterale sinistro del campionato. Nella stagione 2002-03, il Monaco arriva secondo e vince la Coupe de La Ligue, e a Evra basta un nulla per imporsi come titolare assoluto sulla fascia sinistra, forte del cambio di ruolo che gli ha proposto Salvioni e della tecnica in fase d’attacco affinata durante la prima parte della propria carriera. Deschamps si rivela per Evra un vero mentore, e l’esterno sinistro ripaga offrendo prestazioni di alta qualità, mostrando una mentalità da leader, nonostante la giovane età. L’annata 2003/04 è particolarmente propizia al Monaco, che arriva a giocare, contro ogni previsione, la finale di Champions League, poi persa contro il Porto di Mourinho. Nel corso di quella competizione, e più precisamente durante la semifinale contro il Chelsea a Stamford Bridge, Evra esce molto malandato da uno scontro con Hasselbaink. Il compagno di squadra Édouard Cissé ha raccontato a So Foot:
«Gli aveva dilaniato la gamba, si vedeva la carne, persino l’osso. Durante l’intervallo, il dottore gli disse che avrebbero dovuto cucirlo, e che non avrebbe potuto continuare il match. Evra gli chiese di ricucirlo e di non dire niente all’allenatore, perché lui sarebbe sceso di nuovo in campo. Quando gli ho chiesto perché non avesse voluto lasciare il campo, Patrice mi rispose che di pane nero ne aveva già mangiato in abbondanza».
Questo aneddoto la dice tutta sul carattere del personaggio, che sotto i colori del Monaco ottiene la sua prima convocazione in Nazionale, nel 2004.
Monaco rappresenta moltissimo per me. La bella amicizia che ho con il principe, e tutto il resto… è come tornare a casa, e questo non mi piace, perché quando gioco contro una squadra, ho questa voglia di “uccidere” il mio avversario, nel senso buono del termine. Questa forza agonistica mi mancherà durante la partita, avrò quindi bisogno di concentrarmi molto.
Purtroppo il vento cambia per il Monaco, che nell’estate 2004 perde Morientes, Giuly e altri grandi nomi, e si ridimensiona definitivamente dopo le dimissioni di Deschamps, nel settembre 2005, in seguito all’eliminazione al turno preliminare di Champions League. L’addio dell’allenatore pesa molto sull’avventura monegasca di Evra, che desidera partire e finisce per entrare in conflitto con il vicepresidente Brianti, reo di voler negare il suo trasferimento al Manchester United durante il mercato invernale del gennaio 2006. Il passaggio allo United infine si fa, per 7,5 milioni. Evra a venticinque anni arriva alla corte di Alex Ferguson e si prepara a toccare l’apice della propria carriera, giocando per quella che era all’epoca l’eterna favorita in Premier League ed un top team mondiale.
Per quanto riguarda l’esperienza di Evra a Manchester, parlano i numeri: sette anni e mezzo con la maglia dei Red Devils, 379 presenze, cinque Premier League, una Champions League (e altre due finali perse, entrambe contro il Barcellona), capitano a più riprese e alfiere di Sir Ferguson. Nel 2009, Patrice viene anche incoronato miglior laterale sinistro del mondo nel Top 11 della FIFA. Per tre volte (2007, 2009, 2010), è anche nel Top 11 della Premier. Eppure, gli inizi non erano stati semplici: durante il primo derby contro il City, nel 2006, Evra appare spaesato, e viene sostituito. Diversi anni dopo, il giocatore ha dichiarato a Sky Italia: «A Manchester, ho avuto la sensazione di iniziare un nuovo lavoro. Mi sembrava di essere un bambino che doveva imparare tutto da zero».
Gol segnato da Evra contro il Bayern, nel quarto di finale UCL di aprile 2014. Probabilmente il suo gol più bello in carriera, purtroppo inutile.
Mentre Evra è al Manchester, hanno luogo due episodi abbastanza significativi della sua carriera extra-campo, che lo hanno fatto finire in prima pagina per motivi non troppo piacevoli.
Il primo è lo sciopero dei giocatori della nazionale francese, avvenuto nel ritiro di Knysna, durante i mondiali in Sud Africa del 2010. Dopo la sconfitta contro il Messico, che compromette in maniera quasi irrimediabile le possibilità di passare il girone, la squadra decide di non allenarsi in segno di solidarietà verso Anelka, escluso dall’allenatore Domenech durante il match e attaccato dalla stampa per gli improperi rivolti all’allenatore negli spogliatoi. Evra, in quel momento, è capitano dei Bleus e, mentre è già ritenuto largamente responsabile per lo sciopero in allenamento, si presenta in sala stampa assolvendo il compagno di squadra e parlando invece di un “traditore” che avrebbe rivelato ai giornali i dettagli dell’alterco tra Anelka e Domenech negli spogliatoi.
Nonostante Evra sostenga tutt’ora di aver in realtà scongiurato un gesto ancor più clamoroso – lo sciopero della squadra in occasione del terzo match del girone, contro il Sud Africa -, la bufera si alza su di lui. Per la stampa sportiva transalpina Evra diventa quindi il nemico pubblico numero uno, mentre tra la Nazionale e il volubile pubblico francese si crea un distacco emotivo netto, una spaccatura che solo anni e anni dopo sarà ricucita. A causa dei fatti di Knysna e del suo ruolo in quel momento, Evra riceve 5 giornate di squalifica per i match internazionali e perde definitivamente la fascia di capitano dei Bleus, anche se più di un compagno continuerà a ritenerlo il leader morale.
Lo scontro tra Evra e Luis Suárez del 2011 è un episodio altrettanto celebre, la cui eco è tornata in auge poco prima della finale di Champions League del 2015 tra Juventus e Barcellona. Durante un Liverpool-Manchester United, Suárez è accusato di aver rivolto insulti razzisti ad Evra, chiamato più volte “negro”, durante uno scontro verbale avvenuto tra i due in spagnolo, in seguito a una fase di gioco. Diverse peripezie legali dopo, Suárez viene punito con una multa e una pesante squalifica. La posizione del Liverpool riguardo all’operato di Suárez è rimasta poco chiara durante tutto lo svolgimento della vicenda, e, durante il ricorso in appello tentato dai Reds, Evra è stato accusato di essere un provocatore e di agire da vittima. Gli strascichi dell’episodio portano ad una mancata stretta di mano tra i due giocatori durante Manchester United- Liverpool della stagione successiva. Prima della finale di Champions disputata a Berlino, invece, i due si sono sportivamente salutati.
Nonostante questi episodi e la carriera internazionale parzialmente compromessa, l’esperienza di Evra al Manchester è stata senza dubbio il picco della sua carriera: il ragazzo della banlieue per gran parte degli anni zero è stato titolare inamovibile di una squadra fortissima, della quale era uno dei leader designati. All’addio di Ferguson nel 2013, il mito del Manchester United si intacca. Evra resta per una stagione agli ordini del successore Moyes, ma al termine di una stagione deludente, conclusasi con il settimo posto in Premier, saluta infine i Red Devils.
Qui inizia la storia di Evra come la conoscono i tifosi della Juventus: acquisto annunciato poco dopo l’addio di Conte per presidiare una fascia sinistra a cui da troppo tempo mancava un interprete di rilievo, Patrice è accolto come un “vecchio un po’ bollito” e inizia la stagione sottotono ma, tra buone prestazioni e un carattere da leader, si impone presto come uno dei cardini della squadra. L’occasione è ghiotta non solo per la Vecchia Signora, ma anche per lui, che vede nell’esperienza in bianconero una possibilità di chiudere il cerchio di una carriera iniziata in Italia, riguadagnare prestigio internazionale (avrà occasione di giocare la sua quinta finale di Champions, purtroppo perdendo ancora una volta) e riposizionarsi come leader positivo in Nazionale.
I tifosi della Juventus, che quest’anno si aspettano di vederlo meno presente in campo, a beneficio dell’ottimo Alex Sandro, non dimenticano le dichiarazioni di Evra dopo la partita di Sassuolo dell’ottobre 2015, punto più basso toccato dalla Signora durante il difficilissimo avvio della stagione scorsa. Come tutti ricordiamo, dal ritiro forzato e dai discorsi dei senatori, tra i quali Evra, nonostante un’esperienza in maglia bianconera piuttosto breve, può essere tranquillamente annoverato, sono nati i presupposti per ribaltare il corso della stagione.
François Menardo, ex-addetto stampa della nazionale Francese, un giorno disse: «Pat è il tipo con cui andreste in vacanza, e anche in guerra». Forse non c’è frase che sintetizzi meglio la personalità di Evra, guerriero in campo, istrionico giullare fuori. Un po’ di senso dell’umorismo e un po’ di “follia” aiutano sempre nella vita, soprattutto se ci si trova a dover affrontare un percorso difficile come quello di Evra. Questo aspetto del giocatore è diventato patrimonio dei tifosi all’apertura del suo account Instagram, il 2 giugno di quest’anno. Tra danze, meme e provocazioni velate (i tifosi bianconeri non dimenticano la foto scattata all’armadietto non svuotato di Paul Pogba nell’agosto 2016, con didascalia tra lo scherzoso e il polemico), lo “zio Pat” ha conquistato il mondo social calcistico, tant’è che la frase con cui chiude tutti i suoi post, “I Love This Game” (con risata sfacciata a seguire) è ormai un marchio di fabbrica.
Patrice è diventato un idolo bianconero a prescindere, perché durante la sua carriera ha dimostrato di saper lottare fino in fondo per ogni obiettivo e parlare da leader a uno spogliatoio, ma di avere anche il cuore e la capacità di parlare ai tifosi. A trentacinque anni, è con la personalità che Evra può fare ancora la differenza.
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di Davide Terruzzi
Approfondimento tattico sul terzino bianconero.
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]L[/mks_dropcap]’estate del 2014 verrà ricordata come una delle più turbolenti nella storia recente della Juventus. Antonio Conte lascia la società due giorni dopo l’inizio del ritiro; la società chiama immediatamente Massimiliano Allegri alla guida tecnica del club e da quel momento si sblocca il mercato. Patrice Evra aveva già raggiunto un accordo con la Juve, ma il suo trasferimento a Torino diventa ufficiale solamente il 21 luglio. Nonostante il cambio di allenatore, la squadra bianconera resta pressoché invariata e punta a confermarsi in Italia e affermarsi in Europa; Allegri inizialmente non cambia il sistema di gioco di riferimento e continua ad appoggiarsi al 352. Evra si alterna ad Asamoah nel ruolo di esterno sinistro; il francese è abituato a giocare con una difesa a 4, modulo che gli permette di avere sempre un compagno di riferimento più avanti. I primi mesi sono quindi di studio e di analisi della nuova realtà; pur essendo infatti padrone della lingua italiana, la Serie A presenta difficoltà diverse rispetto alla Premier e anche i compiti tattici richiesti sono diversi. Se in Inghilterra spesso la superiorità viene creata grazie a iniziative individuali, Allegri chiede ai suoi giocatori razionalità e lucidità in fase di possesso cercando sempre la soluzione migliore. Una filosofia che ben si adatta a un calciatore tecnicamente raffinato, molto logico e cerebrale con il pallone tra i piedi, abile nel fraseggio sul corto; Evra non ha più la rapidità e l’esplosività degli anni d’oro dello United, ma l’intelligenza tattica e l’esperienza gli permettono di calarsi senza problemi d’ambientamento nella nuova realtà. L’infortunio di Asamoah e il successivo passaggio al 4312 fanno di Evra il terzino sinistro titolare; la presenza di un compagno davanti a lui gli consente di creare situazioni di sovrapposizioni esterne e combinazioni con la mezzala di riferimento per presentarsi sulla trequarti. I cross del terzino non sono quasi mai forzati; Patrice può cercare di mettere la palla all’altezza del dischetto per premiare un inserimento di un centrocampista, così come servire assist dolci o tesi. Difensivamente è molto abile nell’intercetto grazie a un’innata capacità di anticipo, ed è un marcatore attento; nell’uno contro uno riesce, posizionando correttamente il corpo, a non farsi superare e portare l’avversario lontano dalla porta; pur non essendo un gigante – e l’altezza inizialmente per lui ha rappresentato un problema – possiede un ottimo stacco aereo che gli consente di risultare spesso vincente e decisivo sulle palle alte.
I suoi problemi principali sono legati alla progressione: Evra è in difficoltà quando deve coprire ampie porzioni di campo, fattore che lo rende vulnerabile nelle situazioni di contropiede avversario e che non gli consente di rendersi utile nelle ripartenze juventine; Patrice, consapevole dei propri limiti, cerca quindi di mantenere maggiormente la posizione per non mettere difensivamente in difficoltà i compagni. La seconda stagione vede il progressivo ritorno alla difesa a 3; la Juventus ha nel frattempo acquistato Alex Sandro, ma Allegri non si dimentica del francese che mantiene il posto di titolare per diversi mesi restando l’opzione difensiva dell’allenatore.
L’Evra che si è visto finora a Torino è quindi un calciatore esperto, maturo, intelligente, razionale; la sua tecnica e la capacità di mantenere lucidità lo rendono importante nella gestione della palla e della costruzione della manovra. Questa sicurezza e analisi della situazione di gioco tendono talvolta a un eccesso di pensiero, che unita alla volontà di non buttare via il pallone, può portare a palle perse in zone del campo pericolose. Sebbene viviamo in un’epoca in cui l’esperienza sia ormai vista come un disvalore a prescindere, non si può negare l’apporto portato da Evra dentro lo spogliatoio: l’autorevolezza e l’autorità di un giocatore esperto, abbinate al suo valore sul campo, lo hanno reso sin da subito una delle menti pensanti della squadra, uno dei pilastri di Allegri in grado di trasmettere passione, abitudine alla vittoria, conoscenza del gioco. E nessuno sarà stupito se tra dieci anni lo vedremo in panchina ad allenare una squadra. In fondo è solo la profezia di un certo Sir Alex Ferguson.
FONTI:
- L’Équipe Enquête: “Evra, l’histoire d’un miraculé” (maggio 2016)
- Articoli e interviste rilasciate a siti e giornali francesi (in particolare So Foot)