di Antonio Corsa
Del perchè sia sbagliato mischiare mele e pere.
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]P[/mks_dropcap]rima elementare.
< Quanto fa 5 mele + 3 pere ? >
< Fa 8, signora maestra!. >
< No! Sbagliato! Non si possono sommare le mele e le pere come fossero la stessa cosa. Sono due frutti diversi. Le mele sono mele e le pere sono pere! Le mele vanno sommate con altre mele, e le pere vanno sommate con altre pere >
Prendo in prestito lo stesso esempio per esporvi la mia sugli allenatori di calcio (ma vale anche per i calciatori, i direttori sportivi, eccetera). Non voglio necessariamente convincervi, né ritengo sia questo l’unico modo di vederla. Ma è il mio, e vorrei condividerlo con voi.
Per me, ci sono le “mele” , che sono tutti quegli allenatori che in carriera hanno avuto almeno una volta la possibilità / fortuna di allenare una squadra costruita per vincere uno o più titoli, e ci sono le “pere” che sono quegli allenatori che, per demerito o sfortuna, quella possibilità non ce l’hanno mai avuta. Come avrò scritto decine di volte, giocare / allenare una squadra con l’obiettivo unico di vincere e fare la stessa cosa in una squadra con l’obiettivo di “fare bene”, sono due sport diversi. Nel nostro esempio, mele e pere . Perché chi ha come unico obiettivo quello di vincere non ha tempo per sviluppare i giovani (poi se riesce a fare anche quello è doppiamente bravo), non ha la possibilità di rischiare qualcosa a livello di risultati per continuare comunque a sviluppare il proprio gioco, ma deve adattarsi e adattarlo a squadra e risultati (due esempi a caso: Conte era un talebano del 424 prima di lottare per vincere, poi è passato al 352 che non era in teoria un “suo” modulo; Allegri era un talebano della difesa a quattro e del centrocampo a 3, ma anche lui si è adattato ed ha utilizzato sia la difesa a 3 che il centrocampo a 2 o a 4) e, soprattutto, si trova a gestire situazioni in cui lo stress è una delle componenti più importanti e diventa decisivo saperlo controllare. Quante volte abbiamo visto squadre come la Roma, o il Napoli (per restare agli ultimi anni) arrivare “vicino” al traguardo e poi, schiacciati dalle pressioni, schiantarsi prima dell’arrivo? Non è facile avere una tifoseria che dopo un pari chiede la tua testa e, in molti casi, la chiede pure mentre posi con una Coppa in mano. Non è la stessa cosa affrontare il Barcellona o il Real in un turno ad eliminazione con l’obiettivo di dover passare (altrimenti avrai fatto peggio di due anni prima), piuttosto che giocarsela a chi faccia l’urlo “The Champions”; non è la stessa cosa dover andare a fare risultato in trasferta per passare il turno, piuttosto che venire eliminati in un girone alla portata; non è la stessa cosa potersi permettere il lusso di giocare bene e prenderne 4-5 in 180′, piuttosto che dover rimpiangere una mancata spazzata e venire attaccato e criticato come se fosse stata colpa tua.
Non dico nemmeno sia “più difficile”: è semplicemente diverso. E’ diverso dover lavorare con un materiale umano più scarso della concorrenza, è diverso lavorare un anno intero per cercare di rendere passabili giocatori che non lo sono, è diverso non avere una rosa lunga, è diverso avere una squadra di giovani, o una società che non ti compra i giocatori che chiedi. E’ talmente diverso che non è detto che un ottimo allenatore da “fare bene”, una volta giunto ad allenare una contender, faccia automaticamente bene. Ed è talmente diverso che è vero anche il contrario: quante volte allenatori abituati all’eccellenza e a vincere trofei hanno poi fallito in situazioni diverse?
“Ok, capito! Ma perché ci hai detto questa cosa?”
Per spiegare una volta per tutte perché continuo a ripetere che siano sport diversi. Perché, nel giochino stupido di “confrontare” sempre tra loro allenatori, giocatori eccetera, secondo me si dovrebbe tenere conto di questo. Bisognerebbe separare le mele dalle pere , e sommare (in questo caso paragonare) le mele tra loro, e le pere tra loro. Ovvero: all’interno del gruppo di allenatori che allenano per vincere, ci saranno i più bravi e i meno bravi, e il criterio che in genere tendo a valorizzare di più per formarmi un giudizio è quello, appunto, del risultato. Se hai un obiettivo preciso, niente di più facile per giudicarti che vedere se l’hai centrato o meno.
All’interno invece del gruppo di allenatori che non allenano squadre costruite per vincere, si possono usare più criteri per argomentare su quale allenatore sia migliore di altri: ci sono comunque sempre i risultati (c’è chi vince uguale pur non avendo la squadra migliore), oppure c’è la bellezza del gioco (è certamente un fattore, in questo gruppo), oppure la bravura nel valorizzare i giocatori, nel salvare le squadre semi-retrocesse, nel fare gruppo, eccetera. Diciamo che non c’è e non ci dovrebbe essere un criterio assoluto, dominante, e che tutti per me andrebbero bene per argomentare una preferenza personale (poi, si sa, ognuno ha le proprie idee e amen).
Sarri, visto che siamo ormai al “sarrismo” e si finisce spesso per sovrastimarlo o sottostimarlo, per me si trova in quest’ultima categoria di allenatori, ovvero in quelli che non hanno mai avuto una squadra realmente da titolo (non ce l’ha nemmeno quest’anno, sulla carta). Esattamente come Mazzarri, per fare un esempio. E quindi, per stabilire chi dei due sia il migliore, ognuno potrebbe scegliere il proprio criterio preferito (chi dare importanza alla Coppa Italia vinta da Mazzarri, chi al gioco di Sarri, chi alla salvezza della Reggina di Mazzarri, chi alle gare di Insigne e compagni contro Real e City, eccetera). Non avrei nulla da obiettare né se mi dicesse “meglio l’uno”, né meglio l’altro. Quello che invece trovo essere sbagliato è il paragone di Sarri con allenatori come Mourinho, Guardiola, Zidane, Allegri, Conte, eccetera che invece – come detto – giocano a sport diversi, in contesti completamente diversi, e andrebbero paragonati solamente tra loro stessi. Perché uscire con il Napoli in Champions o arrivare secondi in campionato, per loro, sarebbe quasi certamente da esonero.
P.S. Se Sarri dovesse riuscire a vincere qualcosa (Scudetto, Champions) con questa rosa, passerebbe immediatamente tra le “mele” poiché da quel giorno gli chiederebbero tutti di rivincere. E’ un po’ quello che è accaduto ad esempio ad Antonio Conte il primo anno: ha vinto nonostante la squadra fosse inferiore, ma da allora per lui il secondo posto sarebbe stato un fallimento.