L’acquisto da parte della Juventus di Matthijs de Ligt ha suscitato grande clamore in tutto il panorama calcistico europeo. Conteso dai più grandi club europei, il giovane olandese ha scelto proprio la Juve, che per lui ha sborsato 75 milioni di euro oltre commissioni.
Tra i vari dettagli della trattativa, è emerso un rumor circa l’esistenza di una clausola rescissoria da 150 milioni, valida a partire dall’estate 2024. Questo elemento pare sia stato determinante nella scelta di de Ligt e del suo procuratore Mino Raiola.
Vista la confusione che puntualmente si genera quando un istituto giuridico entra in contatto con il giornalismo sportivo (sulla clausola di opzione se ne sentono di ogni), cogliamo l’occasione per fare chiarezza e sfatare qualche mito sulla clausola rescissoria.
Da un punto di vista giuridico, la “clausola rescissoria” non ha nulla a che vedere con il concetto giuridico di “rescissione”. La rescissione è infatti un rimedio garantito alle parti qualora il contratto stipulato risulti essere iniquo a causa di una non corretta formazione del consenso (es. sto morendo di sete nel deserto e mi vedo costretto ad acquistare una bottiglietta d’acqua per l’esorbitante cifra di 10.000 euro). Quella rescissoria è invece una clausola che permette a una delle parti del contratto di liberarsi pagando all’altra parte un corrispettivo che tecnicamente viene definito “multa penitenziale” e viene disciplinato dall’art. 1373 del codice civile. Traslata nel mondo del calcio dunque, la clausola rescissoria permette al calciatore di liberarsi dal contratto con la propria società di appartenenza e accasarsi dove meglio crede.
La clausola rescissoria viene per la prima volta introdotta nel mondo del calcio dalla Spagna, quando un real decreto del 1985 la inserì come elemento obbligatorio del contratto con gli atleti. Inizialmente la clausola rescissoria doveva applicarsi solo tra società spagnole e così fu fino al 1997, quando l’Inter di Moratti esercitò la clausola per acquistare Ronaldo (“quello vero” eh, non sia mai che si faccia confusione). Ne derivò una querelle tra i due club che richiese l’intervento della FIFA, la quale dapprima bloccò il trasferimento e solo successivamente ne diede il via libera condannando la società milanese a pagare un sovrapprezzo di oltre 3 miliardi al Barcellona (avete letto bene, “condannato”, non “dichiaratasi incompetente”). Di fatto, con quella decisione la FIFA sdoganò le clausole rescissorie anche fuori dalla Spagna.
Da allora abbiamo visto diverse applicazioni della clausola rescissoria, oggi da distinguere in due macro-categorie: la “buyout clause” e la “release clause“. La differenza è sottile ma di grande rilevanza finanziaria per le società di calcio. La buyout clause (quella diffusa in Spagna) prevede che sia il calciatore ad acquistare il proprio cartellino dalla società di appartenenza. La release clause prevede invece che sia la società acquirente ad acquistare il cartellino del giocatore dalla società venditrice, in un meccanismo che giuridicamente va inquadrato come una “promessa al pubblico” ex art. 1336 del codice civile (si pensi al calciatore come a un bell’abito sartoriale in vetrina, con attaccato il cartellino del prezzo). Considerato che anche nel caso di buyout clause il prezzo della clausola viene da ultimo sostenuto sempre dalla società acquirente, la differenza sembra non esistere, ma non è così.
La differenza c’è ed è enorme da un punto di vista fiscale, dal momento che a seconda che si applichi un istituto o l’altro il regime di tassazione sarà diverso.
A complicare (di molto) il quadro è la terza categoria di clausola rescissoria, quella che viene talvolta chiamata “good faith release clause“. Tale clausola prevede un generico impegno della società titolare del cartellino a vendere il giocatore se arriva una determinata offerta. La genericità dell’impegno è data dalla sua formulazione contrattuale, resa attraverso frasi quali: “la società si impegna a valutare la cessione laddove arrivino offerte superiori a x” oppure “la società si impegna a vendere a x euro, restando impregiudicato il diritto di stabilire e trattare le condizioni di pagamento” (per dire: la società accetta quella cifra, ma ha diritto di pretendere che il pagamento venga effettuato con modalità particolarmente onerose, come in un’unica soluzione tramite bonifico bancario). Di fatto non si tratta di una vera e propria clausola rescissoria, in quanto il “pallino” rimane pur sempre in mano alla società venditrici. A volte non è semplice determinare se la release clause è “good faith” o meno e tale incertezza ha più di una volta generato liti sfociate davanti a tribunali (si pensi al caso Liverpool-Suarez-Barcellona).
Eccezion fatta per la good faith release clause, è importante sottolineare che la clausola rescissoria è una clausola che di fatto agevola sempre, in qualche misura, la vendita del calciatore. Sembra paradossale, ma mettere una clausola da 1 miliardo di euro (al di là dell’impatto mediatico che ne consegue), non blinda il giocatore, ma al contrario ne agevola la cessione. Per spiegare questo concetto è sufficiente pensare al fatto che quando un calciatore viene ceduto, si verifica l’incontro tra tre volontà: quella del calciatore (e del suo entourage), quella della società cedente e quella della società acquirente. In presenza della clausola rescissoria, la volontà della società cedente non è più necessaria e non resta che calciatore e acquirente trovino un accordo. Chi si occupa di mediazione sa bene che mettere d’accordo due teste è difficile, metterne d’accordo tre è difficilissimo! Questo vale in particolare nel mondo del calcio, dove spesso a sedersi al tavolo delle trattative sono presidenti che giornalisticamente vengono gentilmente definiti “vulcanici”.
Paradossalmente, anche una clausola da 800 milioni di euro come quella di Griezmann ne agevola, seppur di poco, la cessione. In un improbabile futuro di svalutazione dell’Euro e di ulteriore impennata del valore dei cartellini, i suddetti 800 milioni di euro potrebbero non apparire più così tanti. Per dire, quando Neymar venne acquistato dal Barcellona, venne apposta una clausola da 222 milioni che all’epoca sembrò mostruosa. Dopo qualche anno arrivò il PSG che si prese il giocatore senza neppur doversi sedere al tavolo con i catalani.
E de Ligt? Personalmente non mi preoccupa l’apposizione della clausola e non vivo male la decisione della mia squadra di accettarla. La Juventus non ha mai messo clausole, ma non si è mai messa di traverso quando un suo giocatore vuole essere ceduto. Se tra tre anni qualcuno busserà alla porta della Juve con 150 milioni di euro vorrà dire che il buon Matthijs si sarà comportato assai egregiamente in bianconero, magari contribuendo alla conquista di qualche trofeo orecchiuto.