Ma quindi che hanno detto sulla Juve a Report?

Poco, in realtà. Il servizio inizia con un parallelo forzato tra Calciopoli (che c’entra?) e altri processi che avrebbero riguardato la Juventus di Moggi sul tema delle plusvalenze. Già come inizio, non è granché.

“Il sistema delle plusvalenze era in piedi già dai tempi di Calciopoli ma le indagini sulle operazioni sospette che hanno coinvolto l’ex direttore sportivo (Moggi) finiscono in niente”.

Così dice la voce narrante, peraltro dopo aver ascoltato Moggi che spiegava altro. Ma facciamo che non ci fidiamo della parola di Moggi, parte in causa. Ci sono fatti inconfutabili, netti, chiari ai quali affidarci. Innanzitutto, parliamo di un processo per plusvalenze e di un’indagine archiviata per violazioni fiscali.

Il processo ha portato nel 2009 a sentenza di assoluzione nei confronti di Giraudo, Moggi e Bettega perché “il fatto non sussiste” con successivo accertamento di avvenuta prescrizione in Appello nel 2018 (vorrei vedere, a 9 anni dalla sentenza di primo grado!) per operazioni finanziarie effettuate in un periodo compreso tra il 2001 e il 2006.

L’indagine si è conclusa con un’archiviazione chiesta direttamente dalla Procura. In questo caso, le plusvalenze non c’entrano niente, perché l’accusa (anche nei confronti di Blanc e Cobolli Gigli), smentita, era di aver inserito fra le passività del bilancio i costi delle provvigioni dei procuratori dei calciatori (cosa che peraltro faceva la maggior parte dei club di A) dal 2005 al 2008, insomma tutt’altra cosa.

Quindi, tornando alla frase di Report:

  1. Non c’era in piedi alcun “sistema” delle plusvalenze.
  2. L’indagine si è conclusa, il processo pure e si è concluso con l’assoluzione.

Continua Report: “La Juve di quegli anni è una macchina da guerra capace di forgiare grandi campioni ma anche grandi procuratori, uno in particolare: Raiola”.

Così, aggratis. Ma anche qui, alla luce delle notizie postate prima, possiamo dire che:

  1. La Juventus ha iscritto a bilancio i pagamento dei procuratori.
  2. Non ha commesso alcun reato a detta della stessa procura che indagava.

A questo punto, Ranucci sfotte Moggi definendolo “in gran spolvero” e ricorda come da “capostazione” sia diventato un “potente direttore” ed elenca le condanne per Calciopoli, che però non c’entrano niente.

È la classica tecnica di quando vieni interrogato sul Belgio dalla professoressa di Geografia e tu, che non hai studiato l’ultima lezione, parli dell’Olanda.

Ma Ranucci continua.

“La Juventus aveva messo in piedi un sistema che permetteva da un lato di vincere i campionati e dall’altro di tenere a posto i conti”.

No, non c’era nessun sistema che tenesse a posto i conti, visto che quelli dal 2001 al 2008 come detto sono stati oggetti di processi e indagini che si sono conclusi con assoluzione.

Si passa così, con fatica, al Belgio. Ovvero alle plusvalenze.

Anzi no, prima un po’ di Lussemburgo con Raiola (“procuratore di calciatori come Donnarumma e Ibrahimovic”) “accusato” (ma da chi?) di aver intascato nel 2020 commissioni per 84 milioni di dollari. Delle plusvalenze non c’è traccia nemmeno qui. Di una qualche rilevanza con l’inchiesta della procura, stessa cosa.

Parte così il servizio sulla vicenda (attuale) delle plusvalenze della Juve. A parte la musica di sottofondo, molto Cyberpunk (bella, eh) e l’assenza di condizionali, Ranucci spiega che le plusvalenze siano operazioni “a specchio” dove i club non sganciano un euro ma riescono a sistemare i bilanci.

A metà servizio, dopo aver ricordato le 62 operazioni sospette rilevate dalla COVISOC (42 della Juventus), viene rivelato come quelle a specchio su cui si è focalizzata la Procura siano 7, in particolare quella di Nicolò Rovella.

A questo punto Report taglia un pezzo, mostrato nel trailer della trasmissione e che tanto aveva fatto discutere sui social, in cui Fabio Pavesi, che non è un giornalista sportivo e si vede, definiva sconosciuto Rovella (è titolare dell’U21 e in A, insomma) e faceva un paragone tra il suo costo a bilancio e quello del prestito biennale di Chiesa (“che conosciamo tutti”). Una fesseria talmente palese che, appunto, Ranucci e la produzione hanno pensato bene dopo la shitstorm social di tagliare.

Da lì si passa ad un altro collegamento totalmente fuori contesto tra il procuratore di Rovella, Beppe Riso, e Adriano Galliani (“avendo un rapporto con la sorella, automaticamente ce l’aveva anche col dott. Galliani!”, “andavano in vacanza insieme…”). Embè? Boh.

Si torna alle plusvalenze. Ranucci, anche qui in modo del tutto gratuito, accusa il procuratore sportivo, il magistrato Giuseppe Chinè, di non aver ancora “preso nessun provvedimento sportivo contro i campioni delle plusvalenze”. Mancando totalmente il punto, ovvero che non esista alcuna norma del Codice di Giustizia sportiva che regoli direttamente le plusvalenze, e che quindi le vieti in quanto tale. Fare 200 milioni di plusvalenza o farne 5 è del tutto irrilevante non essendo vietato farle. Semmai, è vietato gonfiarle, e questo va, ovviamente, prima accertato.

Si finisce così, indovinate un po’, con Mino Raiola. Olanda di nuovo (almeno a sto giro c’è un legame). Raiola che continua a non essere in alcun modo collegato con l’inchiesta sulle plusvalenze ma c’avevano dei conti in sospeso per una trasmissione precedente e quindi lo vanno a beccare di nuovo.

Si conclude con un “la magistratura è dovuta intervenire contro la Juventus, ma le plusvalenze le fanno anche la Sampdoria, la Roma, il Napoli e soprattutto il Genoa”. Senza che ci si domandi però, a quel punto, perché nessun’altra procura oltre a quella di Torino abbia pensato bene di “metterci le mani” (cit.). La riflessione di Ranucci è “la magistratura di Torino si è mossa perché il procuratore sportivo è stato lento”. E sono affermazioni, queste, di cui si assume la responsabilità lui.

Tutta fuffa, quindi? Non necessariamente. La parte migliore della trasmissione è paradossalmente quella successiva, slegata totalmente dall’inchiesta sulla Juventus (per la quale bastava leggere i giornali: c’erano tutte le info lì senza divagazioni, collegamenti fantasiosi e imprecisioni), in cui si denuncia un sistema calcio malato (ed è innegabile), anche con la complicità della FIGC che vara norme “buoniste” per non comminare sanzioni ai mal pagatori. Una battaglia magari anche giusta, differente da quella che ci riguarda direttamente come Juve.

Share