L’uomo della Terra 3 – La metodologia di Sarri vs il mito del preparatore

Le settimane dopo l’annuncio ufficiale di Maurizio Sarri come nuovo allenatore della Juventus sono state vissute con un’attesa mai vista e vissuta per la composizione del nuovo staff che accompagnerà e affiancherà il mister toscano nella sua esperienza a Torino. Una ricerca che si è focalizzata sui nomi dello staff atletico e medico, dal momento in cui gli infortuni, tanti e troppi, e le ricadute nella scorsa stagione hanno rappresentato un grosso limite e un freno notevole alle ambizioni europee. C’è chi attendeva e sperava nell’arrivo di Bertelli dal Chelsea, visto già a Torino come componente dello staff di Conte, o si è domandato come mai la dirigenza juventina si sia lasciata scappare un maestro come Pintus, al Real con Zidane e a Torino con Lippi, accasatosi all’Inter dove ha trovato lo stesso Conte. Le scelte di Sarri sono state diverse, evidentemente prese in sintonia con la stessa Juventus, e hanno portato a una composizione diversa dello staff atletico e medico; c’è chi è rimasto, chi arriva da Napoli, chi arriva grazie alla stima e a un rapporto di fiducia che lo lega al nuovo allenatore.

Ritengo l’attenzione ai singoli nomi sbagliata e fuorviante. Quello che conta è innanzitutto la metodologia dell’allenatore. Sarri ha un metodo d’impostare le sedute d’allenamento, la settimana, la preparazione, i cicli di lavoro diverso rispetto a quello d’Allegri; quando era al Napoli, nonostante la rosa ristretta e il numero limitato di giocatori utilizzati, la squadra ha avuto pochi infortuni e una condizione costante durante la stagione, senza picchi elevati e senza crolli. Merito non di un mago della preparazione, ma di una metodologia di lavoro e di un confronto costante con i componenti stessi dello staff. Allegri, invece, per sua stessa ammissione, preferisce spingere molto e puntando sui carichi di lavoro, puntando ad avere un picco di condizione in primavera (la Juve di marzo cit.) correndo il rischio di avere più infortuni muscolari. È una filosofia diversa: se da una parte, estremizzando, si lavora molto col pallone, dall’altra si lavora tanto sulla corsa e sulla palestra.

Sono purtroppo ancora tanti i miti legati alle preparazioni, viste come periodo in cui giocatori macinano chilometri su chilometri di corsa con l’allenatore in versione sergente di ferro; una narrazione, quasi un mito, alimentata anche dall’ignoranza di chi commenta il calcio per professione e che non aiuta certamente a formare chi è a digiuno di certi argomenti. Lo stesso mito è stato vissuto negli anni su Milan Lab. Quando è stato creato, l’epica voleva questa creatura come qualcosa di magico in grado di far volare sempre i giocatori e di ridurre a zero gli infortuni; poi, infine, è stato dipinto come quel sistema che ha rovinato i giocatori, vedi Pato, lavorando troppo sui muscoli. È invece Daniele Tognaccini, ora alla Juventus con la qualifica di responsabile della preparazione atletica, a spiegare in un’intervista di un anno fa il senso di quello che è stato il suo lavoro:

Ed è sempre Tognaccini a raccontare il legame che si è creato nel corso degli anni con Sarri:

In “lui è innamorato dei dati” c’è molto di Sarri e del suo lavoro. Sarri è metodico, un secchione, studia, analizza, si confronta, dialoga. Raccogliere dati, analizzarli e trarre delle conclusioni per migliorarsi è alla base della sua filosofia e si sposa con la similitudine del navigatore utilizzato da Tognaccini. In questo è molto simile a Conte, che è diplomato Isef e che mastica molto bene l’argomento, ed è in linea con gli allenatori che reputano la tecnologia come strumento utile, quasi fondamentale, per allenare nel migliore dei modi nel 2019.

Per me, quindi, non esiste il Mago della preparazione, ma una squadra di lavoro formata da professionisti di assoluto livello e coordinata da una persona. C’è una metodologia di lavoro che può funzionare, c’è il continuo studio dei dati raccolti, c’è grandissimo dialogo con lo staff atletico e medico. Allenare è difficile, perché non esistono più solamente le questioni di campo; l’allenatore è a capo di uno staff di professionisti, detta la linea, deve sapersi confrontare con loro, conoscendo quello di cui si parla, e deve avere una voglia maniacale di aggiornarsi e imparare. Sarri era già metodico nel 2007, anno della sua tesi a Coverciano (di cui parlerò prossimamente), e mi sembra lampante come sia stato voluto perché rappresenta non solo una concezione di calcio diversa, ma anche un metodo e un’impostazione di rottura per la Juventus. Se funzionerà lo scopriremo solo vivendo, ma personalmente sono molto fiducioso.

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