Little Bird #1 – Cosa fatta, capo ha

Rieccoci qui. Ricomincio a scrivere – si spera con una certa regolarità – e vorrei farlo pubblicando come primo articolo una sorta di “Manifesto” del pensiero mio e di AterAlbus. Troppo spesso ho letto – in particolare sui social – post contenenti bugie, interpretazioni errate, o proprio puttanate che ci sono state attribuite ed è bene perciò fare un aggiornamento che potrà magari risultare superfluo per gli ascoltatori abituali dei podcast, ma che potrebbe invece essere un buon modo per iniziare un dialogo costruttivo con tutti gli altri che ci conoscono solo per interposta persona o hanno iniziato a farlo da poco, oltre che eventualmente per chiarire alcuni equivoci che si sono venuti a creare, magari anche per colpa nostra.

Premessa: ognuno di noi può vivere il calcio come meglio crede e desiderare dalla propria squadra cose anche diverse, senza necessariamente essere nel torto. Non esiste il “giusto” o lo “sbagliato”: c’è chi si addormenta sul divano dopo 35′ se non abbiamo segnato almeno 2 gol (e va bene così), chi quasi si vergogna dopo vittorie arrivate solo alla fine o sofferte (e che gli vuoi dire? la vive così, amen!), chi baratterebbe addirittura Scudetti in cambio di un gioco spumeggiante perché si vuole divertire prima di tutto e si è rotto le palle di vincere “giocando male” (esistono, eh), c’è chi del campionato non gliene importa nulla (almeno finché si vince) e c’è chi ama il cinismo fino ad arrivare a sperare di vincere con un autogol o un rigore inesistente al 94° “per vederli scoppiare” e divertirsi con il collega interista il giorno dopo a lavoro o al bar.

Ad AterAlbus non vogliamo avere la pretesa di insegnare come vivere il tifo e, se così vi è parso, ce ne scusiamo e proviamo a resettare a partire da questo articolo-guida. Abbiamo la nostra visione del calcio e della Juventus, ve la proponiamo e ci confrontiamo ormai quotidianamente con articoli, chattate e podcast argomentando le nostre idee.

Quali idee?

Innanzitutto, non siamo mai stati belgiuochisti. A noi, dello “spettacolo” non ce n’è mai importato nulla, almeno nelle nostre analisi calcistiche. Perché poi ognuno di noi, quando vede la gara svaccato sul divano o allo stadio, ha il suo modulo preferito che vorrebbe venisse utilizzato dall’allenatore, ha i giocatori che non sopporta e quelli che vorrebbe sempre in campo, ha un allenatore di riferimento (abbiamo i guardiolisti, i kloppisti, gli allegristi, i sousisti, ecc…), un modo di giocare preferito (chi è più per un gioco palleggiato e lento, chi per un gioco verticale “alla francese”, chi per non prendere gol)… Abbiamo gusti personali, insomma, diversi tra noi.

Abbiamo scelto, però, di basare le nostre analisi su due princìpi. Il primo è il principio dell’efficacia. Ogni allenatore allena come meglio ritene opportuno: Allegri ha i suoi princìpi ed il suo credo, Sarri il suo, Del Neri il suo e via dicendo. Il calcio espresso, per noi, non è interessante se valutato secondo i personali canoni di “bellezza” o secondo gusti estetici, ma tenendo conto dell’efficacia prodotta dal mix dei desiderata dell’allenatore, delle caratteristiche dei giocatori e della capacità della squadra di recepire le indicazioni tattiche.

Se l’allenatore chiede ad un terzino di giocare basso e non superare la metà campo, nell’analisi della sua prestazione se ne terrà conto e non si dirà “ha giocato male perché il fluidificante deve necessariamente crossare dal fondo 20 volte a partita”, perché non è quello che gli è stato chiesto di fare o che serviva in quel momento (sarà interessante, al limite, capirne il motivo). Ancora: se una squadra dopo un gol si abbassa difendendo l’1-0 e ci riesce abbastanza agevolmente, nell’analisi della partita non si dirà “Gara giocata male perché a me piacciono le squadre che attaccano anche sul 3-0”. Se invece, infine, ci proverà a continuare ad attaccare e non ci riuscirà, si analizzerà il fatto di non esserci riusciti.

Il secondo è il principio del risultatismo, da sempre un nostro faro nel mare dei giudizi. Come si fa a giudicare se un modo di giocare dell’allenatore e della squadra sia efficace o meno? Basandosi appunto sui risultati. Alla Juventus, tutto il lavoro settimanale e stagionale deve essere finalizzato alla vittoria dei trofei. È l’obiettivo societario ed è perciò su quello che andrebbe giudicato il lavoro dello staff tecnico e della dirigenza stessa.

Veniamo ora alla disputa Allegri-Sarri che purtroppo ancora infiamma le discussioni dei tifosi. L’anno scorso non è vero che abbiamo smesso di essere “risultatisti” con Allegri e non è vero che siamo tornati ad esserlo quest’anno. Parte (non tutta) della redazione, analizzando le caratteristiche dei giocatori, si era convinta che il modo di giocare più efficace della squadra 2018/19 fosse quello mostrato nel periodo precedente la sosta invernale (qualcuno ha riassunto il tutto con l’espressione “la Juve di Manchester”), soprattutto in prospettiva e contro squadre europee che facevano dell’intensità e dell’organizzazione la loro caratteristica principale. Contro l’Atletico Madrid, all’andata, si è avuta una mezza dimostrazione di come si fosse preparata quella partita (e abbiamo potuto raccogliere qualche feedback da alcuni giocatori in questo senso) in maniera troppo “preoccupata”, con un’impostazione mentale prima ancora che tattica sbagliata. Poi, al ritorno, Ronaldo e Can (grande trovata di Allegri) e – lasciatemelo dire – il pubblico dello Stadium (l’atmosfera giusta aiuta a compiere grandi imprese), hanno riscritto la storia. O meglio: hanno rimandato le cose al turno successivo, dove con l’Ajax abbiamo rimostrato gli stessi limiti evidenziati in stagione.

Parte della redazione, invece, trovava quel modo di giocare gli scontri diretti il più adatto o addirittura l’unico possibile con quei giocatori a disposizione e ha attribuito la sconfitta ad errori tecnici dei singoli (un po’ come Allegri), alla sfortuna e agli infortuni.

Non avremo mai una controprova, ed è il motivo per cui le opinioni hanno dei limiti e non ha senso imporle. In un caso o nell’altro, ci siamo limitati comunque a proporvi delle analisi e a formulare giudizi, giusti o sbagliati che fossero, magari animatamente, ma senza mai fare delle campagne pro o contro (le campagne sono altra cosa) o insultare (idem) o chiamare voi lettori/ascoltatori alle armi. Non negli spazi redazionali, almeno. Abbiamo discusso, ci siamo confrontati, abbiamo espresso un giudizio.

Dice: “ma anche volendo seguire i più critici di voi sulle analisi dell’anno scorso, basta alla fine un doppio confronto giocato male per arrivare ad una bocciatura così sonora da cacciare un allenatore come Allegri?”. La discussione è aperta. Smetto di fare da ambasciatore di AterAlbus e parlo per me stesso. Per me no, non basta sbagliare due-tre gare per buttare a mare uno degli allenatori più vincenti della storia bianconera e farlo passare per incapace. Mi spingo oltre: non sarebbe sufficiente nemmeno sbagliare una stagione dopo aver dimostrato ampiamente di saper vincere per smettere di chiamarlo vincente.

E allora?

Allora, ribadendo l’idea espressa prima ovvero che del belgiuoco non ce ne sia mai importato nulla, è stato altro. Mi sono convinto, anche e soprattutto ascoltando Allegri nelle varie interviste, di come fosse arrivato al capolinea. È un fatto di sensazioni, ovviamente, non vivendo la Juve dall’interno e non avendo il punto di vista di Andrea Agnelli (che, come giustamente ha precisato lui stesso, è l’unico dal quale si riesca a vedere “tutto” e ad avere le maggiori informazioni per prendere una decisione ponderata – si spera – e meno emotiva possibile). Ho visto Allegri stressato, in difficoltà emotiva, che analizzava male le partite (magari trollava, ma insomma…). Ho percepito (di nuovo: sensazioni) come qualcosa si fosse probabilmente rotto nello spogliatoio e, in effetti, in un paio di dichiarazioni era proprio Allegri che era arrivato se vogliamo a “sfiduciare” questo gruppo dicendo che lo avrebbe cambiato per continuare a vincere, fosse rimasto. E alcuni giocatori, di ritorno, non sembravano (più) entusiasti di lui. Per me, semplicemente, cinque anni sono tanti (vedi ad esempio il Tottenham esploso per aver voluto prolungare un ciclo ormai concluso, o lo stesso Napoli che per me ha finito per tirare troppo la corda con questo gruppo perdendone il controllo). E Allegri, che era in scadenza, non andava solo confermato, ma rinnovato per almeno altri 2-3 anni. No, per me era un no.

Ognuno di noi ha una sensazione sulla passata stagione. Ognuno di noi ha un’idea su Allegri e non tutti avrebbero voluto un suo cambio. In AterAlbus c’è anche chi la pensa in maniera opposta a me sull’Allegri comunicatore della passata stagione e su Sarri. Sul tecnico ex Chelsea abbiamo postato quando veniva accostato alla Juve in estate un articolo-sondaggio e metà di noi si disse contrario al suo arrivo (io no). Ma il punto è un altro: la persona col punto di vista migliore e con tutte le informazioni a disposizione, Andrea Agnelli, ha preso una decisione e quella conta.

“Cosa fatta, capo ha”, scriveva Dante.

Allegri è stato esonerato, immaginiamo, non per ripicca (anzi, i due erano e sono amici), non per una litigata (siamo seri), né perché si ricercasse un gioco esteticamente più appagante (figuriamoci: se noi siamo risultatisti, alla Juve lo sono per 3). È stato esonerato perché, dopo aver ponderato a lungo la decisione, chi di dovere è giunto alla conclusione che, per una serie di motivi, Allegri non gli garantisse più quella “sensazione” di essere in grado di vincere ancora. Per problemi con alcuni giocatori? Con alcuni dirigenti? Per una visione divenuta inconciliabile? Per richieste giudicate esagerate o sbagliate? Per una visione divenuta troppo distante? Perché qualcuno ne ha chiesto la cacciata? Per segnalazioni giunte dallo staff medico? Perché lo si è visto troppo stressato e la cosa ha preoccupato? Quale che sia la motivazione, una cosa la possiamo escludere: la “bellezza (bruttezza?) del giuoco” non ha inciso per niente, né nell’esonero di Allegri, né nella scelta di Sarri.

Dire oggi, perciò, a fronte di una Juve cinica che vince alcune gare senza “stritolare” gli avversari come si augurerebbe l’attuale allenatore o che “non fa divertire”, che “a questo punto ci tenevamo Allegri”, oppure ripetere che la Juve giochi “come Allegri”, è un modo di ragionare che crea solo confusione, flames e discussioni inutili. Il gioco della Juve non è ancora efficace come dovrebbe? Si analizza quello, cercandone gli eventuali motivi. E sì, tra i tanti c’è anche il fatto che Sarri non abbia giocatori con le caratteristiche del suo Napoli: lo ha ribadito l’altro ieri in conferenza lui stesso, ma ha anche spiegato anche come si sia adattato facendo altro. Alla Juve il mercato su misura non te lo fanno, ma proprio per questo se uno riesce ad adeguarsi come fatto in precedenza da altri colleghi che hanno vinto tanto, riesce comunque a dare un’impronta diversa (leggete un analista “esterno” molto bravo, Fabio Barcellona di UltimoUomo) e vince a ritmi da record per un esordiente alla Juve, è un merito e non un demerito: vuol dire che possiede quantomeno l’elasticità di chi l’ha preceduto; per il resto, vedremo più avanti.

Chiudo. Questo tipo di analisi noi le facciamo nei Match Anatomy con Davide Terruzzi e i suoi ospiti, nei Taalk Show del giovedì, le scriviamo nel sito e nelle chat Telegram e continueremo a farle come sempre, ma chiudo con un buon proposito: credo sia giunto il momento – e in questo proveremo a dare l’esempio – di mettere una pietra sopra sul passato (che non vuol dire cancellarlo, né essere ingrati verso chi ci ha fatto vincere, da Conte ad Allegri) altrimenti, ahimè, si finirà ancora una volta per dividersi in fazioni con opinioni diverse o, peggio, per finire in mezzo a guerre di religione che col calcio giocato c’entrano poco.

Buona Juve sarriana a tutti, perciò. Sperando sarà una Juve da ricordare e celebrare, come le precedenti, e che possa raggiungere presto quei risultati sia in termini di efficacia che di vittorie che tutti ci aspettiamo.

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