Nonostante l’appuntamento fosse quello di gala, la Juventus di Massimiliano Allegri continua a sperimentare assetto e principi di gioco nuovi. Dopo aver cambiato praticamente tutti i moduli ascrivibili alle macrocategorie moderne, il tecnico livornese si concede un nuovo turno di transizione e propone una formazione che ha fatto drizzare le antenne a molti appassionati. L’undici messo in campo da Allegri si potrebbe in effetti declinare in uno qualsiasi degli assetti adottati sinora: Szczęsny; Barzagli, Bonucci, Benatia; Cuadrado, Pjanić, Matuidi, Alex Sandro; Bernardeschi, Mandžukić, Dybala.
Il grande cliché del “calcio liquido” ha colpevolmente accalappiato anche noi, ma una formazione del genere scuserebbe anche l’utilizzo di espressioni così mainstream. In partenza, Bernardeschi sembra essere l’ago della bilancia tattica bianconera, dal momento che la sua posizione andrebbe a determinare poi quelle dei propri compagni: i commentatori si sforzavano di collocarlo sulla trequarti, anello di congiunzione tra impostazione e finalizzazione. Sin dal primo minuto è però evidente che il suo ruolo non è banalmente di raccordo tra due reparti, e va al di là del “semplice” trequartista e finanche dell’esterno offensivo: per di più, va analizzato in simbiosi con l’altro esterno d’attacco / trequartista, il numero 10. Lui e Dybala sono i veri decisori della formazione bianconera, e da loro dipendono sbocchi e direzioni d’attacco.
Se la partita contro il Bologna ci ha insegnato che la Juventus è capace di difendersi anche in modo diverso dal 4-4-2 cui ci aveva abituati negli anni, e quella contro il Napoli ci ha detto che Allegri sta accettando di difendersi con meno uomini e in maniera più dinamica, questa contro lo Young Boys aggiunge altri tasselli al puzzle. Qui Allegri si assesta su un 3-4-3 (o 3-4-2-1) molto spurio, dove le capacità di interpretare i micro-momenti della gara – intesi proprio come gruppi di azioni – definiscono l’identità della squadra.
Il primo tratto caratteristico è senza dubbio la posizione dei due trequartisti / esterni d’attacco. Dybala e Bernardeschi hanno preso lo scalpello in mano, e sono loro a determinare lo sviluppo della manovra, nel bene e nel male. D’altra parte i movimenti di Mandžukić sono più ad uscire sull’out sinistro, in controtendenza rispetto a quelli prettamente verticali di Matuidi contro il Bologna, quindi è chiaro che l’attacco debba mallearsi su posizioni diverse.
Dybala e Bernardeschi scendono entrambi, con lo stesso simmetrico movimento. La difesa svizzera è confusa.
All’interno di questa nuova consegna tattica, la novità principale è che Dybala si muove prevalentemente in verticale, e non più in orizzontale come ci aveva abituati. Non ha più bisogno di svariare cercando le tasche di spazio migliori, perché lo scaglionamento dei compagni – e il livello degli avversari – gli permettono di farlo lungo tutto il campo.
Se Dybala è il giocatore a cui è concessa più libertà, Bernardeschi sa prendersi tutto lo spazio che gli lascia il compagno. Il numero 33 gioca una partita raffinatissima di presidio dei mezzi spazi, e al contempo asseconda l’istinto del compagno sviluppando la sua peculiare capacità di andare ad occupare le zone di campo in controluce: quando Dybala illumina, è lui a prendere il cono d’ombra, e quando l’argentino è oscurato è lui a farsi trovare libero. Questa comprensione del gioco è un’abilità straordinaria e per certi versi difficile da leggere, ma anche una delle qualità che stanno ergendo l’ex viola a giocatore imprescindibile per la manovra bianconera.
L’azione della Juve si sviluppa peraltro preferenzialmente per vie centrali, dal momento che le spaziatura degli ospiti ne permettono la percorrenza. Quando la manovra non riesce a sfondare grazie ai triangoli di centrocampo (interni- trequartista accentratosi), essa viene scientemente dirottata sul lato sinistro, dove l’ottima connessione tecnica tra Alex Sandro e Bernardeschi sembra poter essere un nuovo tema da esplorare per Allegri. Con la palla sull’out, Bernardeschi è stato bravissimo a tenere bassa la difesa dello Young Boys, scappandosene verso l’area di rigore con i tempi giusti affinché Alex Sandro potesse far progredire l’azione lantenendo il carattere spiccatamente verticale della stessa.
Quello del trio d’attacco è stato probabilmente il tema principale dell’incontro. All’inizio era Dybala a giocare sul centro sinistra; per quasi tutto il prima tempo poi, Bernardeschi ha ripreso quella casella. In seguito, la fase di possesso è stata guidata dalla fluidità posizionale; così, abbiamo assistito a tutte le disposizioni possibili, e specialmente nel secondo tempo è stato Dybala, mattatore, a giocare da punta centrale sui generis. Quando questo avveniva, il centro dell’attacco era puntualmente svuotato (almeno nella sua accezione statica) e successivamente occupato dinamicamente da uno degli altri due o addirittura dagli inserimenti di Matuidi.
Oltretutto, lo Young Boys lascia impresidiati i mezzi spazi, in cui sia Dybala che Bernardeschi hanno banchettato. I due fantasisti hanno volentieri scambiato la posizione quando l’azione lateva profonda (su indicazione di Allegri) per togliere riferimenti agli avversari e mandare un compagno – Mandžukić o proprio l’altro – alle spalle del centrocampo avversario. In questo, il 4-4-2 scolastico degli svizzeri si è rivelato un grande autogol, proprio per l’incapacità di difendere collettivamente: le uscite fuori tempo e la rottura costante della linea non sono state una grande idea. La Juventus, nel primo tempo, avrebbe potuto incamerare un bottino ben più grasso.
Vale la pena menzionare anche il contributo del duo di centrocampo alla solida prestazione della squadra. Aiutati molto dal pressing asincrono dello Young Boys, Matuidi e Pjanić hanno saputo operare una distribuzione varia ed efficace, pescando ora i due trequartisti, ora gli esterni, con i giusti tempi. Gli esterni hanno aggiunto ulteriore camaleontismo al copione della partita, rendendosi disponibili sia per dare uno sfogo in ampiezza che per proporre una soluzione interna qualora l’esterno voglia allargarsi (soprattutto Cuadrado con Dybala, ma anche Alex Sandro quando Mandžukić gravitava da quel lato).
La partita maiuscola di tutta la squadra regala ai tifosi la certezza che l’identità di gioco si sta assestando su principi diversi. Il perseguimento di un fraseggio più rapido e un palleggio meno conservativo, la difesa in avanti e un palleggio finalizzato alla ricerca del terzo uomo sono forse prosecuzioni della filosofia allegriana, ma era pur difficile immaginarsi un’attuazione così rapida e precisa di questi principi, soprattutto alla luce dell’esperienza dell’anno passato. La strada appare tracciata, e siamo sicuri possa essere quella giusta. Auguriamo pertanto ad Allegri un buon lavoro in tal senso, ma anche tutto il coraggio necessario per perseguire tali ideali lungo l’intera stagione.