Giovanni Trapattoni è uno degli allenatori italiani più conosciuti di sempre. Alla Juve è stato per due periodi: il primo dal 1976 al 1986, il secondo invece dal 1991 al 1994.
Richiamato a Torino per una sorta di restaurazione bianconera, dopo il fallito tentativo di balzo nel futuro operato dalla gestione di Luca di Montezemolo e Maifredi, il tecnico di Cusano Milanino si trovò a riformare il tandem con Giampiero Boniperti (ora amministratore delegato) che tanti successi aveva mietuto durante la precedente esperienza comune alla Juventus.
Dal punto di vista del mercato, a Trapattoni venne fornito tutto quanto il necessario per far tornare al vertice una squadra che non vinceva lo scudetto dal 1986, per l’appunto l’ultima stagione del Trap sulla tolda di comando. I rinforzi, di qualità, furono il promettente portiere Peruzzi (squalificato fino alla primavera per il caso Lipopill), Carrera e i due panzer difensivi Reuter e Kohler, ai quali in autunno si aggiunse Conte, proveniente dal Lecce.
Nonostante questo upgrade dell’estate 91 e quelli delle due stagioni successive (con gli arrivi a Torino dei vari Vialli, Ravanelli, Dino Baggio, Platt, Andreas Möller, Di Livio) la Juventus non riuscirà a interrompere il dominio del Milan di Capello sul territorio nazionale, anche se i bianconeri si toglieranno la soddisfazione di tornare a vincere a livello europeo conquistando la coppa Uefa ai danni del Borussia Dortmund, grazie anche ad uno strepitoso Roberto Baggio e ad una doppietta di Dino.
Come giocava quella Juventus? Tatticamente il Trap era un discepolo della zona mista, vale a dire di un sistema di gioco nel quale venivano applicate anche delle marcature individuali. Dal punto di vista del modulo, la Juventus di Trapattoni si disponeva con quello che potremmo definire una 1-3-4-2 di partenza che spesso diventava un 1-2-5-2 in fase di possesso, attraverso le avanzate del terzino sinistro.
Uno degli elementi chiave di questo modello di gioco era il libero, ruolo interpretato dal brasiliano Jùlio César. Arrivato a Torino nell’estate dei mondiali 1990, il nativo di Bauru doveva essere il perno della difesa di Maifredi. Fallita, come detto, la rivoluzione zonista del tecnico di bresciano, il difensore paulista divenne elegante ultimo difensore della seconda Juve trapattoniana, cavandosela in generale piuttosto egregiamente (se si escludono alcuni svarioni, come quelli del derby di aprile 92). Nell’ultima stagione del Trap, Jùlio César non avrà lo stesso spazio avuto nei prime due anni, ma risponderà lo stesso presente ogni volta che verrà chiamato in causa.
Il centrocampo era il reparto che doveva garantire protezione alla retroguardia e, allo stesso ponto, trovarsi pronto a ribaltare l’azione in un sistema di gioco che privilegiava rapide e immediate ripartenze. Per ottemperare efficacemente ad entrambe le fasi, Trapattoni ha cercato di equilibrare il reparto piazzandovi sì elementi più di gamba (come i box-to-box Conte e Platt o il soldatino Di Livio da tornante) ma affiancati ad elementi sempre validi atleticamente ma dotati di qualità offensive nell’uno contro uno e nella rifinitura (Möller, autore di 30 reti fra campionato e coppe in due stagioni bianconere). Al tedesco il Trap chiede di destreggiarsi da esterno o da seconda punta, non prevedendo il suo schema il rifinitore, ruolo nel quale Möller è più versato. Ai di là del dilemma tattico, a Trapattoni va dato il merito di aver creduto nell’ex Eintracht, acquistato dalla Juve nel 1990 ma il cui arrivo venne rimandato per una presunta incompatibilità tattica con Roberto Baggio.
Davanti operavano solitamente un attaccante d’area (Schillaci, Casiraghi poi Vialli) ed una seconda punta più mobile e fantasiosa (Baggio). La fase offensiva era orientata al raggiungimento dell’area avversaria nel più breve tempo possibile, sfruttando la rifinitura dei giocatori più talentuosi o il cross. Nonostante la fama di difensivista del suo allenatore, è bene notare come quella Juve attaccasse gli ultimi metri di campo con diversi giocatori. Questo spiega il buon bottino di reti realizzate dai centrocampisti, soprattutto nei campionati 1992/93 e 1993/94).
Da ricordare poi come, agli inizi della sua avventura alla Juventus, Gianluca Vialli trovò delle difficoltà che indussero Trapattoni a provarlo da centrocampista.
‹‹Lui sa pressare, è intelligente, passa il pallone di prima, insomma è un centrocampista nato. Deve soltanto abituarsi al ruolo›› disse il tecnico. Salvo poi, a esperimento fallito, tornare sui propri passi e restituire l’ex blucerchiato ad un ruolo a lui più consono.