La rivoluzione è giovane

Dopo la sconfitta subita all’Olimpico contro la Lazio, da più parti si sono levate critiche nei confronti della Juve (in alcuni casi si è trattato di veri e propri de profundis) e del suo allenatore, reo secondo molti di aver mandato in confusione la squadra senza essere riuscito a portare a compimento la rivoluzione annunciata in estate. È proprio così? Sarri si è trasformato in Maifredi? In realtà, è necessario fare delle precisazioni di merito, rispetto a queste affermazioni.

Tempo

Per prima cosa, siamo ancora a dicembre. Se spesso alle squadre viene dato il beneficio dell’attesa fino ai mesi primaverili, questo dev’essere ancor più valido per la Juventus ha cambiato allenatore e soprattutto modo di giocare. Per dare un giudizio definitivo dell’operato del neo-tecnico juventino e per valutare la bontà della scelta operata dalla società nel chiamarlo a Torino, secondo lo scrivente bisognerà aspettare maggio e la fine delle competizioni in cui è impegnata la Juventus.

Le rivoluzioni, si sa, richiedono tempo, soprattutto quelle culturali, per così dire. Che la Juve di ora stia tentando di percorrere una strada diversa da quella battuta nelle precedenti annate è abbastanza evidente (checché ne dicano coloro che vi rivedono la Juventus di Allegri). Gli stessi giocatori juventini, e segnatamente Chiellini, lo hanno rimarcato in più occasioni. Fidiamoci di loro.

Pretendere che una squadra, che ha giocato in un certo modo per anni, riesca ad assimilare immediatamente un nuovo credo calcistico senza scompensi è utopia. Che ci siano aspetti da migliorare è indubbio, a partire dalla necessità di produrre di più in fase di realizzazione o, come detto dallo stesso Sarri nel stampa post-partita dell’Olimpico, di avere più continuità nel proporre il proprio calcio all’interno di una stessa partita.

Spazio

Così come è evidente, come ha sottolineato Emanuele Gamba su Repubblica, che il centrocampo assortito in estate non è il più funzionale per esprimere il gioco di Sarri, come si è visto contro la squadra di Inzaghi al momento dell’uscita di Bentancur.

Proprio sul gioco del tecnico napoletano si sono però concentrate la maggior parte delle critiche. A Sarri infatti viene rimproverato il fatto di non aver ancora proposto il cosiddetto ‘bel giuoco’ messo in mostra durante il periodo trascorso alla guida del Napoli.

In realtà, questa critica nasconde un equivoco di fondo. Infatti, da quel che sappiamo (cioè dalle dichiarazioni di Agnelli, Paratici e Nedved), Sarri non è arrivato a Torino per riproporre quel calcio che lo ha reso celebre con i partenopei. Già il suo Chelsea era diverso da quella squadra e dallo stesso Empoli, e lo stesso tecnico ha più volte precisato che sono le caratteristiche dei giocatori a determinare la direzione verso la quale si evolverà poi la squadra, pur sempre all’interno di un contesto tattico preciso. Quel contesto tattico è obiettivamente riconoscibile nelle partite della Juventus: possiamo dibattere – all’infinito – se si tratta di un contesto efficace e valorizzante, non se ci sia stato cambiamento o meno.

Ma, come detto, non per questo è stato deciso il cambio di guida tecnica al termine della scorsa stagione. Sarri è infatti arrivato in bianconero perché secondo la dirigenza bianconera il ciclo con Allegri si era esaurito e lo spogliatoio necessitava di un cambiamento, fisiologico in un calcio come quello italiano di alto livello che consuma energie a tutti i livelli.

Oltre a questo, la scelta di Sarri è stata secondo me in linea con la volontà del club di rivalutare il parco giocatori, soprattutto in alcuni elementi che erano finiti ai margini del progetto tecnico come Douglas Costa o Dybala. Una rivalutazione tecnica, ma anche economica che possa in futuro rappresentare degli asset maggiori per la società in sede di mercato.

A questo va aggiunta la convinzione, da parte della società, che un gioco più offensivo potrebbe garantire alla Juve maggiori chances di vittoria in una competizione come la Champions League che, nelle ultime stagioni, sembra premiare maggiormente le squadre che cercano di fare un gol più dell’avversario piuttosto che quelle che si preoccupano primariamente di non subirne. Tanto è vero che, nonostante un calo nel numero dei gol totali segnati, per la prima volta in tre anni, la scorsa edizione della massima competizione per club al mondo ha comunque visto segnare ben 366 goals (comunque il quarto totale da quando venne introdotto l’attuale format nel 2003), con una media piuttosto alta di 2.93 gol a partita.

Queste sono motivazioni stanno anche tracciando il percorso della nuova guida tecnica. E vanno tenute a mente quando si portano critiche all’operato dell’allenatore: non tanto perché non ce ne siano, quanto perché si rischia di spostare il focus lontano dal campo in un reame che fa dei gusti personali i soli arbitri delle opinioni. Tali considerazioni sembrano quindi più dei tentativi di giudicare lo stato attuale dei fatti in base alla simpatia o antipatia verso il nuovo allenatore bianconero, soprattutto allorquando escono subito dopo una sconfitta (la prima). Posizioni legittime, ma che esulano da un’analisi obiettiva dei fatti.

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