La giusta reazione e gli errori dell’AIA

di Davide Terruzzi


Come reagire ai torti arbitrali? Sentendosi vittima di complotti, perdere lucidità o reagire rimboccandosi le maniche? E perché l’AIA non ammette certi errori?


[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]N[/mks_dropcap]on sono solito parlare d’arbitri. Chi ascolta con frequenza il nostro podcast, si sarà accorto della mia voluta assenza nelle frazioni di puntata in cui s’affronta l’argomento. Non perché sia snob, ma per un motivo molto semplice: sono sempre più convinto che una squadra debba pensare unicamente a quello che dipende da lei, consapevole che gli errori arbitrali, e del VAR, fanno parte del gioco. Non vivo nemmeno in un altro pianeta, conosco le statistiche, le difficoltà di fischiare a favore della Juventus, i titoloni dei giornali, le interpellanze parlamentari (loooooooool), le polemiche sui social, ma, essendo abituato a vedere delle autentiche porcate ogni domenica sui miei campi, ho imparato a ridurre l’arbitro a un fattore da non considerare.

Anche in una partita come quella con l’Udinese, dove Doveri e il VAR Massa sono stati protagonisti di sbagli colossali. Perché il rischio è la sindrome del vinciamo “contro tutto e tutti”, del “Var lo usano contro di noi” che non deve serpeggiare dentro lo spogliatoio della Juventus; le reazioni dei giocatori bianconeri a torti, reali o presunti non fa differenza, non è sempre stata esemplare, la maggior parte di pancia, fortemente emotiva, perdendo la lucidità necessaria per affrontare le partite. Shit happens. Se non dipende da te, passa oltre.

A Milano, l’anno scorso, venne ingiustamente annullato un gol a Pjanić, e la Juventus perse il controllo della partita; a Bergamo, qualche settimana fa, dopo la decisione del VAR d’annullare giustamente il gol a Mandžukić, la squadra s’innervosì e giocò peggio (poi pareggiò anche per suoi errori). A Udine, un giocatore esperto, navigato, come il croato, ha sbagliato e s’è fatto espellere: chiaro, passare da un rigore e da una Udinese in 10, vedersi non concedere nulla, essere provocato da un avversario, non è propriamente il massimo, ma la differenza tra la mia possibile reazione e quella di un giocatore è quella che deve esistere tra un amatore e un professionista.

Nonostante gli errori arbitrali, si è però vinto, perché la Juventus ha avuto la reazione giusta: ha sofferto, s’è salvata prima grazie a Buffon, è stata raggiunta sul 2-2, ha poi dominato vincendo 2-6. In 10. Ed è l’unico modo, giusto, legittimo, per reagire ai torti: restare lucidi, rimanere dentro le partite, rimboccarsi le maniche. Questo è quello che deve fare una grande squadra, senza sentirsi vittima di complotti, di trame oscure, lasciando la sindrome “contro tutto e tutti”. La Juventus ha tutte le qualità per pensare e migliorare sé stessa, lavorando per risolvere quei problemini che dipendono unicamente da lei. Comprendo che è molto più difficile accettare il mancato uso del replay per cambiare le decisioni arbitrali e le legittime domande sull’utilizzo del VAR in occasione dei rigori non concessi a Higuain, a Bergamo, e Mandžukić a Udine, ma restano episodi che non dipendono dalla squadra e non devono modificare l’atteggiamento mentale.

Questo non significa minimizzare gli errori arbitrali, che fanno sempre parte del gioco, ma nemmeno raccontarci un mondo perfetto. Il Var è di grande aiuto, uno strumento eccezionale per le decisioni oggettive, ma la decisione finale è sempre di un uomo; anzi di due uomini, con una discrezionalità che è raddoppiata. Si vedono gol in fuorigioco millimetrico annullati e altri convalidati, contatti veniali sanzionati con un rigore, falli netti che non vengono rivisti; è un esperimento, ci vuole tempo, ma è innegabile che tutto, come è normale che sia, non stia funzionando e un po’ di confusione ci sia, ma tutto nasce da questa doppia discrezionalità. Fare finta che tutto vada benissimo, come pubblicamente fa il mondo arbitrale e molti commentatori, non aiuta a perfezionare uno strumento che può davvero essere d’aiuto, ma che rischia di diventare una scusa usata dagli arbitri per non prendere decisioni non comode.

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