di Michele Puntillo
Nemico Pubblico n.1
La discussione sul tema della cosiddetta “costruzione dal basso” sta oltrepassando la cortina di ferro dei giornali sportivi, tanto che negli ultimi tempi persino un quotidiano generalista come Il Post se ne è occupato.
Purtroppo, a contenuti così equilibrati, si aggiunge un numero importante di opinioni meno concilianti, provenienti non solo dalla Babele dei social, ma anche da un’importante quota di giornalisti sportivi. Questi, dopo stagioni passate a contrapporre in maniera manichea e totalmente pretestuosa il presunto “bel giuoco” con il “risultatismo”, sembrano aver trovato nella costruzione dal basso un nuovo perfetto obiettivo per le loro invettive.
Va detto che questa crociata, nella maggior parte dei casi, non è frutto di malafede bensì probabilmente di scarsa comprensione del gioco e delle sue dinamiche. Se, infatti, gli svantaggi della costruzione dal basso sono evidenti e palesi in caso di errore, i vantaggi sono molto meno chiari oppure vengono scambiati per altre situazioni di gioco, come ad esempio un contropiede.
L’errore principale è immaginare l’uscita palla come una sorta di “moda” attuata nel tentativo di emulare grandi allenatori come Guardiola anziché considerarla figlia dell’evoluzione del calcio.
Evoluzione
Cominciamo la nostra analisi da alcune osservazioni fatte da Enrico Ferrari. Il calcio, come ogni gioco, si evolve e si adatta ai tempi e viene influenzato costantemente dalla trasformazione e dal perfezionamento dei singoli attori, in questo caso calciatori e allenatori.
Oggi, infatti, grazie soprattutto alla scienza e alla tecnologia applicate allo sport, ci troviamo davanti ad una nuova generazione di atleti, capaci di fare cose inimmaginabili anche solo vent’anni fa. Calciatori capaci di giocare ad altissima intensità per 50 partite l’anno e di abbinare a queste grandi capacità organiche una qualità tecnica di primissimo livello, distribuita su molti più elementi della stessa rosa.
Il miglioramento delle performances tecnico-atletiche è di una portata tale da riflettersi sul contesto tattico: i calciatori diventano nuovi strumenti nelle mani degli allenatori, i quali possono aumentare il livello di controllo sulla partita, in antitesi alla naturale aleatorietà del gioco del calcio.
In questo contesto di evoluzione continua, il massiccio utilizzo della costruzione bassa è quasi uno sbocco naturale, sia in fase offensiva che in quella difensiva. Nel primo caso, le squadre sono invogliate e reputano fruttuoso uscire con la “palla tra i piedi”, principalmente per:
- avere il controllo del gioco fin dall’inizio dell’azione, cercando di avanzare il più possibile con la palla tra i piedi;
- attrarre gli avversari per liberare spazio da attaccare ed invadere;
- gestire il ritmo e i tempi della partita.
Nel secondo caso serve a gestire la palla anziché rischiare di regalarla all’avversario (magari in posizioni pericolose dopo un pressing aggressivo del rivale), controllando anche in questo caso il ritmo e i tempi della partita e aspettando l’istante giusto per trasformare nuovamente la fase difensiva in offensiva.
Dittatura
I discorsi fin qui fatti non devono indurci a pensare che ci sia ormai un solo modo di giocare a calcio: non sono poche le squadre che anche in serie A scelgono di non adottare la costruzione dal basso. Queste compagini, che vedono tra le loro fila esempi di grande funzionalità come Atalanta o Hellas Verona, spesso accettano il rischio di lottare su una palla contesa, partita da una situazione statica come il rinvio dal fondo. Tale atteggiamento – nel calcio moderno – è agevolato da una costruzione peculiare della rosa, basata su una precisa idea di calcio.
In linea con questo discorso, prendiamo in esame il caso Atalanta: attacco delle seconde palle; marcature a uomo estremamente aggressive a tutto campo; parte importante della squadra costituita da giocatori estremamente atletici e strutturati, capaci di determinare il contesto della partita mediante la fisicità; presenza di un centravanti che possa fare da riferimento davanti (Zapata).
Non si deve pensare, però, che l’Atalanta rifugga totalmente dalla costruzione dal basso. Infatti, se l’obiettivo della DEA è quello di invadere velocemente la metà campo avversaria dove può mettere in mostra un palleggio di primo livello, spesso sceglie di superare la prima linea di pressione avversaria non con un lancio lungo ma con un’uscita bassa: uno dei difensori riceve palla dal portiere e successivamente scarica su uno dei centrocampisti centrali. In quel momento, un centrocampista arretra sulla linea difensiva permettendo, così, l’avanzata di uno dei difensori che diventerà così un attaccante aggiunto.
Errori di valutazione – esempio 1
Come detto precedentemente, uno dei problemi principali nella comprensione e, quindi, nel racconto di ciò che ruota attorno alla costruzione bassa, spesso è il non saper riconoscere realmente la dinamica di alcune situazioni di gioco.
Proviamo a fare qualche esempio.
Prendiamo questo gol subito dall’Arsenal pochi giorni fa contro il Burnley:
Sembra la prova perfetta da poter sventolare nella guerra contro l’uscita bassa. Infatti il povero Granit Xhaka è stato massacrato dai media inglesi, come ormai è norma in queste situazioni, evidentemente non solo in Italia.
Ma analizziamolo meglio.
Il Burnley è in svantaggio e in questa azione attua un pressing ultra-offensivo. L’Arsenal sembra ancora in controllo, è in una situazione di 6 vs 4 e il difensore ha due soluzioni semplici non schermate: sceglie Tierney.
Il Burnley porta un ulteriore uomo in pressione mentre Willian, intelligentemente, si porta in attacco preventivo. Westwood lo segue per qualche metro, poi lo abbandona per continuare a presidiare la zona. La palla intanto torna a Mari.
Mari la scarica su Leno che a questo punto ha tutti gli appoggi marcati. Leno, tra tutte le soluzioni possibili, pensa sia meno rischioso uno scarico su Xhaka, ma si sbaglia. Il centrocampista svizzero non ha la lucidità di servire David Luiz “di prima” (forse intimorito da quel pressing così deciso), segue un controllo non perfetto e soprattutto un rischiosissimo tentativo di passaggio a scavalcare Wood. A questo punto il finale è scritto.
Come detto, questo gol potrebbe descrivere perfettamente ciò che i detrattori della costruzione dal basso sostengono: ossia che ogni tanto bisogna “calciarla lunga”. Be’, sembrerà strano, ma in questo caso forse hanno ragione. Solo, per motivi molto diversi dal semplicistico concetto di liberarsi della sfera per evitare un pericolo.
Se cambiamo punto di vista, vediamo una situazione completamente diversa: il movimento di Willian, combinato con l’atteggiamento estremamente aggressivo del Burnley, permette all’ala brasiliana di avere tantissimo campo da attaccare, con il primo difendente avversario distante diversi metri. In questo caso, la soluzione giusta da parte di Leno sarebbe quella di lanciare lungo verso Willian (o sui piedi o verso lo spazio davanti al calciatore) avendo davanti a sé tutti gli altri appoggi marcati, Xhaka compreso.
Con un lancio lungo, una situazione di affanno per l’Arsenal si sarebbe trasformata improvvisamente in un attacco molto pericoloso, mettendo due temibili velocisti come Willian e Aubameyang in campo aperto contro la difesa dei padroni di casa.
Questo scenario non è casuale. Racchiude in sé tutti i principi della costruzione dal basso: difesa con la palla, gestione del ritmo della partita, controllo del gioco e creazione dello spazio da attaccare. Insomma, Leno sbaglia a non calciare lungo perché non porta a compimento l’idea dell’uscita palla nel suo complesso.
Errori – esempio 2
Sempre nello stesso week-end abbiamo assistito ad un altro episodio interessante per la nostra discussione, ossia il gol segnato a tempo scaduto da Radja Nainggolan in Sampdoria – Cagliari.
La squadra isolana, dopo aver condotto in vantaggio gran parte della partita, si ritrova a dover rincorrere il 2-2 nei minuti di recupero. Le squadre sono ormai stanche ed entrambe si affidano a lanci lunghi: chi per difendere con le unghie il vantaggio, chi alla ricerca di un ormai insperato pareggio.
A recupero abbondantemente scaduto, Cragno lancia l’ennesimo pallone disperato verso la difesa doriana e, dopo una serie di spizzate e rimpalli, la palla arriva sui piedi di Nainggolan che, con un gran destro, insacca in rete.
Questo gol arrivato da calcio lungo sembra il classico esempio servito su un piatto d’argento ai critici del possesso palla.
Però, anche in questa situazione, è importante il punto di vista. Infatti, se riavvolgiamo il nastro di qualche secondo, possiamo osservare una situazione completamente diversa: Audero esce sicuro sul calcio d’angolo del Cagliari e fa suo quello che sembra ragionevolmente essere l’ultimo pallone della partita. A quel punto, invece cha appoggiare corto ad un compagno, sceglie di andare lungo alla cieca, col solo pensiero di far scorrere le lancette dell’orologio. Cragno così può recuperare tranquillamente la palla e far partire l’azione che porterà al gol. In sintesi, ciò che sembrava essere un successo del kick and rush avviene solo per un mancato utilizzo della costruzione dal basso e, più in generale, del possesso palla.
Errori – esempio 3
Il terzo esempio di errori di valutazione riguarda strettamente la tecnica dei calciatori. Spesso si sente criticare la costruzione dal basso o il possesso-palla in generale, partendo dall’assunto che “va bene palleggiare, ma hai bisogno di giocatori di qualità”.
Questa tesi pone in diretta correlazione la tecnica di base dei calciatori con il possesso palla e nasce probabilmente come naturale conseguenza delle grandi vittorie europee dell’ultimo decennio di Barcellona, Real Madrid, Bayern Monaco (dove militano o militavano alcuni tra migliori palleggiatori della Storia del calcio), squadre che nell’immaginario collettivo – pur giocando un calcio estremamente proattivo e ambizioso – sono riuscite a conquistare più di un alloro continentale.
Questa tesi è ovviamente vera, ma lo è solo parzialmente. Se la qualità eccelsa degli interpreti in campo facilita notevolmente la costruzione e il palleggio, è compito dell’allenatore e del suo staff tecnico creare ed allenare strutture di gioco, sincronismi tra i calciatori, gesti tecnici del singolo, atti a rendere sempre più facile e naturale l’uscita bassa e il palleggio in generale.
Prendiamo il caso della Juventus in questa stagione. Per mesi ha proposto un’uscita palla estremamente articolata ed efficace e ciò, ad avviso di chi scrive, era una delle note più positive della stagione. Colpiva la velocità con cui la squadra avesse interiorizzato questi concetti, soprattutto dopo anni di gravi problemi nell’uscita del pallone, migliorati solo in parte nella scorsa stagione. L’assimilazione di questi principi era ulteriormente evidenziata dalla capacità della Juventus di variare lo spartito di partita in partita, passando agevolmente da una costruzione 3+1 ad una 3+2 oppure dall’utilizzo o meno della Salida Lavolpiana.
Nelle ultime settimane, però, complici diverse assenze pesanti, alle quali si è aggiunto – dopo la sconfitta contro l’inter – il contemporaneo passaggio verso un atteggiamento di squadra più passivo e conservativo, la Juventus ha visto scendere vertiginosamente la qualità delle sue uscite.
Come detto, se l’assenza di interpreti di primo piano dal punto di vista tecnico è ovviamente un malus, sta all’allenatore trovare delle soluzioni che possano sopperire a queste assenze senza svilire l’identità di squadra, perché è proprio costruendo una vera identità di squadra che si può far fronte ad essenze, anche pesanti. Penso, ad esempio, al Liverpool campione d’Europa che riesce a ribaltare il 3-0 dell’andata a Barcellona con Origi e Shaqiri in campo al posto degli assenti Firmino e Salah.
Tutto ciò non è sicuramente un compito facile, ma rimane la vera essenza del ruolo dell’allenatore. Se così non fosse non si spiegherebbe come mai squadre dal tasso tecnico enormemente inferiore alla Juventus, riescano a mettere in atto un’uscita palla estremamente efficace e di qualità (penso ad esempio al Foggia di De Zerbi o allo Spezia di Italiano).
“Se al primo errore metto pressione ai giocatori, non posso chiedergli di giocare. Bisogna accettare l’errore, è questo lo snodo per far sì che si giochi sempre la palla. Io voglio una squadra che giochi, ma senza avere le ballerine ai piedi”. Roberto De Zerbi
Un cambiamento irreversibile?
Questa trasformazione del gioco ad oggi sembra un processo inarrestabile e, in questo contesto, la costruzione dal basso pare possa ragionevolmente continuare ad avere sempre più un ruolo da attrice protagonista.
Però, come spesso è accaduto in passato, le rivoluzioni non bussano alla porta e i cambiamenti sono difficilmente ipotizzabili prima che avvengano. Quello che oggi è certo è che questa evoluzione degli atleti/calciatori continuerà e, magari, combinata a nuove situazioni di gioco – penso ad esempio al passaggio da 3 a 5 sostituzioni, un cambiamento che nei prossimi anni potrebbe dare un contributo notevole all’ulteriore trasformazione del gioco – muterà il calcio in qualcosa di difficilmente ipotizzabile oggi, magari uno sport fatto sempre più di transizioni continue dove sarà più fruttuoso regalare la palla all’avversario per poterla attaccare immediatamente, piuttosto che controllarla.
Quello che è certo è che nel calcio odierno tutti gli allenatori del mondo, anche coloro i quali vengono definiti difensivisti, ritengono primario avere una fase di possesso articolata e strutturata. Forse dovremmo interrogarci maggiormente sulla sua utilità piuttosto che chiedere continuamente di calciare la palla in tribuna.