Perché bisogna criticare gli errori degli uomini, quindi degli arbitri, senza bocciare il Var.
di Davide Terruzzi
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]C[/mks_dropcap]rotone, Milano e Roma. L’ultimo turno di campionato è stato denso di decisioni arbitrali e critiche al Var, diverse delle quali hanno evidenziato parecchia confusione sull’argomento, responsabilità anche dei media che hanno trasmesso un messaggio distorto, cioè che ci sarebbe stata l’introduzione della moviola in campo. Una rapida lettura al protocollo VAR, stilato e realizzato dalla IFAB, giunto all’ottava versione, permette immediatamente di comprendere come è stata concepito questo esperimento: “minimum interference – maximum benefit” è infatti il motto, cioè gli interventi devono avvenire solamente in alcune circostanze definite, sulle quali è utile poi ritornare, con l’obiettivo di non interrompere eccessivamente l’andamento della partita. Ora è lecito soffermarsi un attimo sull’IFAB, l’unico organismo, autonomo e indipendente dalla FIFA, che ha storicamente il potere di modificare le regole del calcio. The International Football Association Board ha stilato il protocollo d’utilizzo del Var ed è l’unico che può modificarlo: nessuna Lega, nessuna Federazione al mondo, può infatti decidere d’apportare cambiamenti alle regole d’ingaggio. Quindi, anche volendo, il nuovo presidente della FIGC non potrebbe svegliarsi un giorno e proporre al Consiglio Federale e al mondo arbitrale un cambio. Inoltre, il Var è un esperimento stabilito nelle sue linee attuali, giova ricordare provvisorie, i cui risultati verranno analizzati e discussi in uno dei prossimi General meeting dell’Ifab: in quella occasione si potrebbe decidere di abbandonare l’esperimento, farla entrare subito nelle regole del gioco, apportare cambiamenti all’attuale protocollo.
A noi, però, interessa più semplicemente quello che avviene nel nostro campionato. Prendiamo Crotone-Napoli: il tocco di Mertens è netto, volontario. Perché allora non è stato dato il rigore? Per l’arbitro è complicato vedere l’intervento col braccio, perché semplicemente l’impatto col pallone avviene con la parte nascosta alla vista del direttore di gara. Chi invece non ha nessun problema a capire quello che è capitato è il Var, nell’occasione Doveri. La responsabilità di quanto accaduto è semplicemente sua, perché non può non intervenire di fronte a quello che è un chiaro errore da parte del direttore di gara. Perché non è intervenuto? Lo sbaglio è umano, non della tecnologia. Sono gli uomini a utilizzare questo strumento, sono loro che interpretano: il Var non è un essere alieno giunto da qualche pianeta superiore, non è una potenza supernaturale, ma è sempre un arbitro che continua a seguire le proprie logiche, a sbagliare perché scarso. Invece, quanto accaduto a Milano e Roma è la perfetta dimostrazione della fondamentale utilità del Var: gli assistenti di fronte al monitor intervengono per correggere degli errori certi degli arbitri e senza il loro intervento la Roma avrebbe vinto con un gol non regolare e la Lazio si sarebbe vista assegnare un rigore che non c’era.
Il protocollo Var però non è esente da criticità, diverse migliorie sono necessarie. Pensiamo a quanto è successo in Sampdoria-Juventus, con un rigore non dato a Mandzukic e un gol non annullato ai padroni di casa, quando i VAR non sono intervenuti per correggere degli errori avvenuti sul campo. L’arbitro, Guida, nell’occasione del mancato fischio sul fallo all’attaccante croato ha visto l’azione, la sua visuale è libera, e ha valutato l’intervento in base al proprio merito: secondo l’attuale protocollo, i VAR non possono correggere una decisione presa dal direttore di gara invadendo la sua sfera di giudizio. L’errore, quindi, è di Guida, sua la la valutazione erronea di un episodio che ha visto correttamente. Ed è lo stesso successo in Sampdoria-Spal con un rigore concesso ai blucerchiati per un contatto veniale: l’arbitro, Pairetto, vede e decide di fischiare, i Var non possono intervenire. E perché intervengono correggendo l’errore dell’arbitro? Per tre motivi, nella pratica. L’arbitro ha commesso un errore colossale, sebbene ben posizionato, con visuale libera, e la sua decisione viene modificata; l’arbitro non è nelle condizioni migliori per prendere un fischio, interviene avendo la sensazione di un fallo (come spesso succede sui campi), i Var lo aiutano a prendere la decisione corretta; infine, anche se non verrà mai ammesso, chi siede davanti a un monitor è un arbitro d’esperienza e di forte personalità, un Orsato, chi è sul campo subisce l’influenza del Var e viene diretto all’esterno (prendiamo il caso di Atalanta-JuventusCome si può risolvere questo? Correggendo il protocollo nella parte in cui si parla di chiaro errore, specificando questa espressione: se l’arbitro prende una decisione molto dubbia, pur avendo potuto valutare l’azione, deve essere almeno richiamato per rivedere a bordo campo. Un altro limite è legato propriamente alla tecnologia: le immagini sono infatti in 2D, fino a quando non saranno tridimensionali non ci potrà mai essere l’assoluta certezza su situazioni al limite come quelle legate al fuorigioco. Tra le migliorie da apportare come non si può citare la possibilità da parte delle panchine di richiamare l’arbitro alla valutazione di un episodio? Pensate a quello che avrebbe potuto fare Zenga in Crotone-Napoli e avete la dimostrazione dell’utilità.
Non si può parlare però dell’uso del Var senza calarsi nella nostra realtà. Il mondo arbitrale italiano è opaco, non trasparente, soggetto a logiche politiche. Le decisioni sono prese anche per il proprio bene, quindi per compiacere all’opinione pubblica e al proprio mondo arbitrale; sbagliare a sfavore di una piccola non è lo stesso di farlo con una grande, concedere un fischio a favore della Juventus ti fa passare come coglione, sbattuto in prima pagina, punito dagli stessi vertici col designatore che ti mette in castigo, mentre se lo stesso errore viene fatto col Napoli (vale per Roma, Inter ecc) succede tradizionalmente poco o niente. A inizio stagione hanno fatto scuola con le partite della Juventus, ma l’uniformità è completamente mancata e continua a mancare. Il Var, che è una tecnologia, non potrà mai rappresentare un problema, ma gli esseri umani sì: se sei scarso e paraculo senza Var, lo resti col Var. È il mondo arbitrale che dovrebbe cambiare, perché quello di Crotone è proprio quello che non si dovrebbe verificare con l’introduzione del Var; Doveri, che ha clamorosamente fallito, dovrebbe essere fermato per un po’.
In troppe occasioni si sono visti episodi simili con valutazioni opposte e questo è un grande limite degli arbitri: l’uniformità dovrebbe essere la conseguenza dell’utilizzo di questo strumento, ma non si sta verificando spesso. Con l’introduzione dei Var il compito del designatore diventa ancora più complicato: non si può mettere un arbitro di scarsa personalità accoppiato a un VAR di forte carisma (si è visto a Bergamo dove ha arbitrato Orsato), o l’incontrario.
Quindi, viva il VAR, perché è uno strumento che permette di eliminare errori notevoli. Se questo non succede è principalmente per colpa degli arbitri, dei loro errori, delle loro decisioni e scelte. I vertici arbitrali non possono affermare che tutto sta andando bene, prendendo in giro le persone, ma lavorare sui propri fischietti per uniformare le proprie decisioni, evitando gli errori del passato, eliminando sbagli colossali come successo a Crotone. No, non si spegne il Var, sono sempre gli arbitri che decidono e stanno, come era prevedibile, continuando a decidere come facevano nel passato, seguendo le stesse logiche. Non è un problema di magia del calcio interrotta: meglio avere una decisione corretta che esultare subito per un gol non regolare. Nel mirino, quindi, devono esserci gli uomini: ci sono quelli bravi, quelli scarsi, quelli che non hanno coraggio. E le critiche devono essere rivolte a loro e a chi li comanda. Non alla tecnologia.