Chi ha iniziato a seguire il calcio femminile da pochi anni, non ha avuto il privilegio di vedere giocare alcuni dei talenti della generazione passata. Queste donne hanno tracciato, grazie alla loro passione e agli immensi sacrifici fatti per rimanere ai massimi livelli, una strada che le calciatrici del presente hanno l’onere e l’onore di portare avanti.
Laura Giuliani nasce a Milano il 5 giugno del 1993 e diventa portiere quasi per caso come ha raccontato lei stessa: “ero la più alta di tutti, non correvo perché non mi piaceva correre, non sapevo ancora dare un calcio al pallone”.
Il futuro portiere bianconero compie i primi passi a 6 anni giocando sul campo di cemento dell’oratorio della Sacra Famiglia a Novate Milanese con i suoi amici, per poi iscriversi nella scuola calcio a Bollate, la S.S. La Benvenuta, dove rimane fino a 16 anni quando la nota il Como 2000, squadra storica femminile con alle spalle tanti campionati di serie A.
Qui Laura ci mette solo un anno per conquistare la titolarità in serie A2, subendo la prima grande delusione della propria carriera: nello spareggio per raggiungere la massima serie contro il Milan, subisce il gol decisivo al 94’. Una sconfitta sul campo che brucia e che solo parzialmente verrà “compensata” nella stessa estate dal ripescaggio del Como nella massima serie.
Il primo ed unico campionato della serie A italiana che gioca con una maglia diversa da quella della Juventus, appena maggiorenne, le permette di entrare nel giro della nazionale italiana incominciando dall’U19 (13 presenze) e di attirare su di sè le attenzioni di alcune squadre italiane ed estere.
Con una scelta di vita molto coraggiosa, coerente con la sua forte personalità, decide di trasferirsi in Germania con il suo fidanzato Cristian Cottarelli, a Gütersloh, città della Renania settentrionale – Vestfalia, nell’omonima squadra che disputa il massimo campionato. In terra tedesca, con fortune altalenanti, Laura gioca poi per 2 stagioni all’Herforder (29 presenze) conquistando anche una promozione nella Bundesliga femminile e altre 2 stagioni fra Colonia e Friburgo mettendo a referto solo 13 presenze totali.
La vita in Germania è difficile ma contribuisce a farla crescere sia come persona sia come portiere e per rimanere in una patria non sua, Laura deve fare ulteriori sacrifici lavorando come panettiera, uno dei pochi mestieri che le permette di continuare ad allenarsi e giocare.
Tutte le sveglie all’alba e la lontananza da casa, vengono ripagate nell’estate del 2017 quando riceve la chiamata della Juventus: “ Abbiamo un progetto molto ambizioso e vogliamo che tu ne faccia parte”.
La decisione è facile ed il suo futuro si tinge di bianconero.
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Estate 2017, visite mediche alla Juve
Ma se in Germania fatica a trovare continuità, le chiamate della nazionale maggiore arrivano frequentemente e ben presto conquista la maglia da titolare.
Nel novembre del 2014, a 22 anni, gioca da titolare la partita più importante della nazionale dell’ultimo decennio ma, al Bentegodi di Verona, una giovane Vivianne Miedema distrugge il sogno delle azzurre di qualificarsi nuovamente al mondiale da cui mancano dal 1999.
Nell’estate del 2017 in cui arriva la chiamata della Juve, è la numero 1 azzurra della nazionale di Antonio Cabrini che a sorpresa non si qualifica per gli ottavi agli Europei uscendo dal torneo già ai gironi.
Le rivincite sono però dietro l’angolo e le delusioni hanno permesso a Laura di essere quella che è oggi: una donna decisa, sicura di sè e con una gran voglia di lavorare e migliorarsi.
Una donna che proprio quest’anno al successo nel calcio, ha aggiunto la laurea triennale in scienze motorie presso l’Uni del San Raffaele, sempre insieme al suo Christian che la segue ovunque.
Alla Juve è indiscussa protagonista già al primo anno, dall’esordio sul campo del Mozzanica alla vittoria all’ultimo rigore contro il Brescia che vale il primo scudetto bianconero.
Quello spareggio scudetto Laura non doveva neanche giocarlo perché una settimana prima si era rotta il menisco ma invece scende in campo, con il ginocchio fasciato e stringendo i denti. E para anche un calcio di rigore.
Quel ginocchio le costa il trionfo di Firenze contro il Portogallo dove la nuova nazionale di Milena Bertolini stacca il pass per il mondiale francese dell’anno successivo e quella serata di Verona di 4 anni prima, può essere messa definitivamente nella scatola dei ricordi.
Il mondiale francese è poi evento conosciuto. Laura Giuliani non vince il titolo di miglior portiere ma è sicuramente uno di quelli che si è messo più in evidenza. Solo 4 i gol subiti in 5 partite, due da calcio di rigore e due dalla fortissima Olanda nei quarti di finale ma spiccano le sue prestazioni di livello assoluto, condite da parate fenomenali come quella in Italia Brasile che dice di no al tacco di Debihna.
Ma che portiere è Laura Giuliani?
Dotata di ottimo senso di posizione fra i pali, ha un grande istinto che la porta spesso a compiere interventi prodigiosi. Un istinto che la aiuta anche nei calci di rigore e negli uno contro uno con gli attaccanti avversari che riesce molte volte ad ipnotizzare.
In questi ultimi 3 anni, da quando è arrivata alla Juventus ed ha iniziato a lavorare con il preparatore dei portieri bianconero Giuseppe Mammoliti, Laura è migliorata moltissimo nei suoi due veri talloni d’Achille ovvero le uscite alte ed il gioco con i piedi.
Gli erroracci che commetteva con preoccupante frequenza, si sono mano a mano ridotti al minimo mentre è diventata un ottimo appoggio per le sue compagne in fase di costruzione se non pressata eccessivamente.
Attualmente Laura Giuliani è considerata, a giusto merito, nei 10 portieri più forti al mondo (9 ° classificata della IFFHS world’s best goalkeeper 2019) ma ha dalla sua l’età e la volontà di migliorare ancora le sue prestazioni: per se, per la Juve e per la nazionale italiana.
Legata alla Juventus per questioni di tifo è anche uno straordinario portiere del calcio femminile italiano del passato: Carla Brunozzi.
Grande tifosa bianconera, l’ex numero 1 della Nazionale non può che trovare in Gianluigi Buffon l’idolo nonché il portiere di riferimento: “è quasi mio coetaneo, ma nonostante l’età sta dimostrando di essere ancora un portiere di grandissimo livello. Rimane uno dei più forti e a lui ho sempre guardato con enorme ammirazione.”
Ma che tipo di portiere era, invece, Carla Brunozzi? Tra i pali le sue maggiori qualità sono state l’esplosività e la reattività, ma anche grande senso della posizione e capacità di guidare il reparto arretrato con personalità e autorevolezza. I (pochi) punti deboli sono, come nel caso di Laura Giuliani e di tanti portieri nostrani, rappresentati invece dalle uscite alte: “Ho dovuto lavorare parecchio su questo e l’ho potuto fare purtroppo solo verso la fine della carriera, quando ho avuto la possibilità di lavorare con dei preparatori professionisti, e non persone adattate al ruolo come era stato per la maggior parte del tempo in cui ho giocato”.
Questo è un aspetto su cui vale la pena soffermarsi, soprattutto quando si commentano o paragonano le prestazioni dei calciatori uomini a quelle delle calciatrici: è da infatti pochissimo tempo che le nostre ragazze hanno la possibilità di allenarsi con uno staff tecnico preparato e dedicato. Chi, come Carla, non ha avuto questa opportunità, ha dovuto formarsi da autodidatta, raggiungendo, nonostante tutto, un livello di prestazione altissimo. Ed è anche per questo che la sua storia merita di essere raccontata.
Carla Brunozzi nasce il 20 aprile 1976, a Torricella Sicura, un piccolo paese in provincia di Teramo. La sua passione per il calcio si manifesta sin da bambina ed è così che, all’età di 10 anni ed in un contesto culturale tutt’altro che all’avanguardia, indossa per la prima volta gli scarpini con i tacchetti. “Una bambina che gioca a pallone non era ben vista, soprattutto dalla parte più anziana del paese”, racconta. Ma per frenare la sua voglia di giocare serve ben altro: “nonostante questo sono andata avanti, perché la passione era più forte delle critiche”.
La sua prima esperienza, come quella di qualunque bambina che si approcciasse al calcio fino a pochi anni fa, è nella squadra maschile del paese.
Perché in porta? Perché, racconta, accade spesso che nelle squadre i portieri scarseggino, tutti vogliono fare gli attaccanti, tutti vogliono fare gol. E quindi a Carla, la nuova arrivata, viene affidato questo ruolo. “Messa in porta ho scoperto la grande passione per questo ruolo un po’ pazzo. Da ragazzina ero abbastanza spericolata, mi piaceva buttarmi sulle gambe degli avversari mentre calciavano, mi piaceva tuffarmi. Quindi era il ruolo che faceva per me”.
Continua l’esperienza con i ragazzi del paese fino al passaggio nella prima squadra femminile di Teramo, la Teramo Stazione, all’età di 14 anni e fino alla maggiore età: è in questo periodo che fa il suo esordio in Serie C. In seguito avviene il passaggio e l’esordio anche in Serie A: Carla viene infatti acquistata dalla Lazio del Presidente Franco Anzidei, che giocava all’epoca allo stadio Flaminio, uno scenario di tutto rispetto.
Fa quindi la pendolare tra Teramo e Roma. In questa esperienza lo spazio per la giovanissima Brunozzi è naturalmente ridotto: gioca infatti solo in un paio di occasioni, con la squalifica del primo portiere Monica Di Bernardo. Al termine della stagione, va in prestito all’Autolelli Picenum in Serie B: “dovendo svolgere la maturità non potevo più permettermi di andare a Roma due volte a settimana, dovevo pensare allo studio”. Qui vince il Campionato della serie cadetta e guadagna quindi il passaggio di categoria in A.
L’anno successivo, viene acquistata dalla stessa Picenum. La società, neopromossa, nonostante qualche innesto importante, non ha particolari ambizioni, ma mantiene comunque la categoria.
Nella stagione 2000-2001 il cartellino di Brunozzi viene acquisito dall’Atletico Oristano, con cui si piazza a metà classifica. Ed è a partire da questa esperienza che arrivano le prime, meritate, chiamate dallo staff della Nazionale, di cui all’epoca è terzo portiere.
Anno nuovo, maglia nuova: nella stagione successiva avviene il passaggio alla Torres Sassari, dove rimarrà per 5 anni. Con la Torres non riesce a vincere lo Scudetto, ma porta comunque a casa una Italy Women’s Cup ed una Coppa Italia. Contemporaneamente, con l’addio al calcio di Giorgia Brenzan e sotto la guida del C.T. Carolina Morace, diventa il portiere titolare della Nazionale, con cui collezionerà, nel corso di tutta la sua carriera, ben 55 presenze.
Racconta, dell’esperienza in maglia azzurra, di aver coronato un sogno. “Purtroppo non sono arrivati i risultati, vuoi per organizzazione, vuoi per strutture, vuoi per il seguito che ancora mancava. Eravamo molto indietro rispetto alle altre Nazionali. Nonostante questo fu un’esperienza bellissima, che mi ha formata e fatta crescere. La delusione più grande fu l’Europeo in Inghilterra nel 2005: finimmo in un girone di qualificazione infernale con le fortissime Francia, Norvegia e Germania e purtroppo non riuscimmo a passare il turno. Erano nettamente superiori a noi”.
Dopo la Torres ed una parentesi biennale, che ricorda con affetto e soddisfazione, alla Vigor Senigallia, Carla Brunozzi veste la maglia del Bardolino Verona: “eravamo uno squadrone, rappresentavamo 7-8, un anno addirittura 9 undicesimi della Nazionale. Ho giocato con Patrizia Panico, Melania Gabbiadini, Valentina Boni, Alessia Tuttino, Venusia Paliotti, Viviana Schiavi… Il meglio.”
Qui arrivano le vittorie più belle e la bacheca di Carla Brunozzi si riempie di trofei: 3 Scudetti, 2 Coppe Italia e 2 Supercoppe conquistati.
La più grande gioia professionale in assoluto? “Siamo state l’unica squadra italiana nella storia a raggiungere una semifinale di Champions League. La partita che ancora ricordo con grande emozione è quella contro le danesi del Brøndby IF, eravamo ai quarti. Perdemmo in casa 1-0. Al ritorno, rimettemmo la gara in parità e chiudemmo i 90 minuti avanti 1-0 grazie ad un eurogol di Tuttino. Dopo i supplementari il risultato rimase invariato, quindi andammo ai rigori: ne parai due e andammo in semifinale.”
Nel turno successivo il sogno finì contro le fortissime tedesche del Francoforte di Ali Krieger: “fisicamente ci erano superiori, inoltre avevano un’esperienza internazionale molto importante”. Nonostante questo, l’emozione fu enorme. La gara in casa infatti si giocò in un Bentegodi stracolmo di tifosi gialloblù, ben 16mila persone, un numero mai visto prima, altro ricordo a cui Carla è particolarmente affezionata.
“Aver raggiunto un risultato così importante per l’intero movimento all’epoca fu una soddisfazione enorme. Oggi le cose sono completamente cambiate, e sono molto felice del seguito che la Nazionale sta avendo, dei risultati che ha ottenuto e dei bei Mondiali che ha disputato in Francia. Ma anche della visibilità che stanno avendo le ragazze e della vita da atlete che possono condurre oggi. La nostra realtà, purtroppo, all’epoca era ben diversa. Erano pochissime le società che potevano permettersi di fare campionati a certi livelli, infatti la lotta per il titolo era sempre riservata a tre, massimo quattro squadre”.
Perché…
“Un eroe non ha bisogno di un mantello ma solo di un paio di guanti.”
Ringraziamo Carla Brunozzi per la grande disponibilità ed il contributo diretto che ci ha fornito per la stesura di questo articolo.