Che differenza c’è tra giocare bene e bel gioco?


Esiste davvero una differenza tra le due espressioni? E se sì, riguarda solo gli aspetti estetici, o interessa la funzionalità di una squadra?


Dopo la tremenda contrapposizione tra risultatismo e Bel Giuoco (come se esistessero allenatori la cui finalità non fosse quella di ottenere risultati), è bene specificare quella tra giocare bene e Bel Giuoco, visto che quando ci si auspica un’evoluzione tattica della Juventus in molti tirano in ballo aspetti estetici che poco hanno a che vedere col senso del discorso.

Una squadra che gioca bene è, a mio avviso, una squadra che riesce a esprimere la propria filosofia, esaltando i propri punti di forza e riducendo le criticità. In poche parole, che sia efficace, ossia che crei tanto e conceda il meno possibile. La Juventus che arrivò in finale a Cardiff non era una formazione spettacolare, soprattutto nella fase offensiva: attaccava in maniera non certo elaborata o complessa, anzi insisteva su poche e specifiche soluzioni. Eppure, per quanto non fosse necessariamente gradevole da vedere, era nel complesso fortissima, con una difesa posizionale da far studiare nelle scuole calcio. 

Pure l’Atlético Madrid del 2016 o l’Italia di Conte non erano squadre forse divertenti, tuttavia si sono dimostrate eccezionali perché – in modo diverso –  abbinavano l’imperforabilità difensiva a una grande organizzazione in fase di possesso nelle diverse situazioni di gioco, pur senza avere un palleggio articolato o sofisticato come quello delle squadre di Guardiola. Erano squadre che giocavano ‘bene’. 

Quando si parla dei problemi dell’anno scorso, poco c’entra tirare in ballo il dibattito tra estetica e risultati, come non è neanche (solo) un discorso di offensivismo vs difensivismo: i problemi della Juventus hanno riguardato, semplicemente, il modo in cui si era messi in campo. Come detto più compiutamente tra podcast e approfondimenti, per mesi si è praticato un calcio colmo di difetti tattici (due su tutti, intimamente legati: il cross come unica arma offensiva e la quasi totale assenza di rifinitura interna). Un calcio che oltre a creare molto poco concedeva parecchio nelle ripartenze rivali. D’altronde, una squadra che attacca male è anche disposta peggio quando l’avversario recupera palla, come si è visto per esempio al Wanda, o in entrambe le gara contro l’Ajax. Si è quindi assistito a un ibrido poco efficiente in entrambe le fasi. Da qui si deve ripartire: a seconda della svolta che si farà, la miglior gestione del pallone sarà la conditio sine qua non della prossima Juventus, indipendentemente dalla squadra che sceglieremo di essere, se una che attacca in spazi larghi o una più di possesso. 

Sperare in una crescita che assecondi le caratteristiche della rosa e che, perché no, tragga anche ispirazione del calcio praticato dalle semifinaliste di Champions – tutte squadre che, in modo diverso, applicano diversi princìpi del gioco di posizione – non vuol dire ricercare l’estetica (che comunque male non fa per affermare il brand): vuol dire semplicemente mettere in pratica un calcio che è stato esplorato con successo tra i top club. In poche parole, un tipo di calcio che funziona.

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