Tutto nasce da un grande equivoco.
Questo grande equivoco in tanti casi deriva da non conoscenza. O dal giudicare con categorie che non esistono più. In qualche caso anche dall’antipatia o dal gusto personale.
Quando tra domenica e lunedì mi sono ritrovato a leggere sul principale quotidiano italiano l’editoriale di Mario Sconcerti ho provato un brivido lungo la schiena, un brivido che non vola via, ma che resta e che ti accompagna durante la giornata. Lo stesso che si prova quando in televisione, su Sky, un giornalista definisce Higuain “ariete”; il medesimo che resta vedendo Padovan sempre su Sky pontificare (e povera Carolina Morace che di calcio giocato vuole parlare e ne sa).
Perché il giornalismo italiano sportivo di stampo calcistico mostra ignoranza?
Perché è un circolo auto referenziale in cui non ci sono spazio, visibilità, attenzione a tutti coloro che dimostrano competenze?
Prendiamo Sconcerti. Lui, come altri che hanno in antipatia Sarri (come altri che invece detestevano Allegri) continuano ad affermare come le recenti prestazioni siano esclusivamente figlie dell’atteggiamento dei singoli giocatori, di una presunta abdicazione dell’allenatore bianconero a favore del gruppo, specie dei senatori, che hanno preso in mano squadra e gioco.
In molti lo seguono. Tutto davvero nasce da un grosso equivoco. Un allenatore preparato, quale Sarri è, non crea una struttura che soffoca la libertà dei singoli, ma un collettivo che crea i presupposti per esaltare le loro qualità. Troppe volte si pensa alla squadra come un’orchestra che debba unicamente suonare lo spartito impostato dal direttore d’orchestra. Non è stato così con Sarri, non è stato nemmeno così con Guardiola: si crea un linguaggio comune, si delineano le posizioni che vanno occupate in campo, si definiscono giocate pre ordinate che rappresentano il canovaccio e non il copione, si inculcano principi di gioco condivisi all’interno dei quali viene concessa libertà ai singoli. Questo è quanto ha fatto il tecnico juventino anche ai tempi di Napoli, adattandosi alle diverse caratteristiche dei giocatori offensivi, passando dalle qualità differenti di Higuain e Mertens.
L’allenatore di campo prova, osserva, tenta, sperimenta, sempre all’interno delle proprie idee e del proprio meccanismo. Un esempio? Ricercare la soluzione per far coesistere Dybala e Cristiano Ronaldo, inserire le loro qualità all’interno di un collettivo che sia base e strumento per far brillare le loro qualità nel perimetro del proprio calcio. Non è stato affatto semplice, c’è stato bisogno di tempo, di sperimentazioni, di ascolto, di comprensione e di applicazione.
Per quale motivo rendono ora? Loro si sono calati dentro questo sistema, e Sarri è venuto incontro alle rispettive peculiarità, ma quando funziona l’organizzazione con la palla, la velocità di circolazione del pallone è più rapida ed efficace, il campo viene riempito meglio, si creano i presupposti per creare maggiori occasioni di gol. Poi ci sono i singoli ed è compito loro fare la differenza.
Non a caso, adesso, la Juventus sta segnando e tanto. E non perché Sarri sia abdicato ai singoli.
Allenatore di calcio Uefa B nel settore giovanile. Ex Juventibus, ora su AterAlbus per portare la sua esperienza soprattutto nelle discussioni di calcio giocato.