Anche il calcio femminile ha alzato bandiera bianca e ha chiuso anzitempo la sua stagione senza eleggere la sua regina. Fiorentina in champions con la Juve, Tavagnacco ed Orobica in B gli unici verdetti presi mentre giorno dopo giorno serpeggia nell’ambiente la delusione della mancata ripartenza e la sensazione di aver perso una grande occasione.
“…Siamo ad un bivio ma nei momenti di crisi ci sono anche grandi possibilità.”
Così parlava fino a poche settimane fa il nostro capitano Sara Gama che è tornata a farsi sentire, insieme a tutte le sue colleghe, con un comunicato dell’Associazione giocatori che di fatto ha anticipato di qualche ora l’interruzione definitiva di Serie A e Coppa Italia femminile 2019/2020. Uno stop per certi versi inatteso a fine maggio visto che (a parole) si è cercato di fare di tutto per portare a termine una stagione a cui mancavano sole 6 giornate e che porterà Juventus e Fiorentina a giocare la prossima Champions League (viola che hanno avuto la meglio sulle rossonere solo grazie alla differenza reti) con Tavagnacco e Orobica retrocesse in B (promesse dalla B invece San Marino e Napoli femminile).
A nulla sono valsi gli estremi tentativi della federazione di concludere il campionato utilizzando qualsiasi forma, anche facendosi carico dei costi del protocollo sanitario delle squadre coinvolgendole in mini tornei a playoff e playout per il secondo posto (valevole per la Champions) e per la retrocessione, eventualmente da giocare a Coverciano. A quel punto sono state le calciatrici all’unanimità che hanno detto stop perché o giocavano tutte oppure nessuna; e questo è stato un grande punto di unione, insieme alla richiesta di riforme urgenti mentre la spaccatura fra chi era favorevole a tornare in campo e chi no era ormai netta ed incolmabile.
E così la frittata è stata fatta.
La verità che sta emergendo negli ultimi giorni, anche per bocca della ct azzurra Milena Bertolini, è che forse la colpa più grande dell’interruzione è da attribuire alle società che, a differenza del recente passato (vedi indipendenza ottenuta dalla LND nell’estate 2018), hanno messo gli itneressi personali davanti al bene comune del movimento. Squadre che dietro hanno una società professionistica maschile ma che hanno fatto poco (o quasi nulla) per organizzare gli allenamenti, non richiamando le atlete straniere per tempo dall’estero e che si sarebbero trovare impreparate per una ripartenza (fissata a grandi linee a fine luglio) a differenza del campionato maschile.
Fanno eccezione la Juve (che sta proseguendo in ogni campo gli allenamenti fino a fine mese prima del rompete le righe) ed il Milan, guarda caso le due società che ci hanno rimesso pesantemente in questa situazione: uno scudetto per le bianconere e la prima partecipazione alla Champions League per le rossonere.
Una beffa ulteriore per le juventine che finora avevano dominato la Serie A, scontri diretti compresi, con un ruolino di marcia straordinario (14 su 16 gare giocate e due pareggi), miglior attacco e difesa del campionato, nove punti di vantaggio sulle due seconde che dovevano giocarsi lo scontro diretto alla ripresa per concludere la sedicesima giornata.
Siamo il paese in cui la maggior parte dei burocrati preferisce fare i Ponzio Pilato, e così capita che in Spagna, Inghilterra e Francia, Barcellona, Chelsea e Lione femminile festeggino la vittoria del campionato anche con le seconde a 1 o 2 punti, in Germania sono ripartite anche le donne mentre qui in Italia nel 2020/2021 nessuno potrà indossare il tricolore di Campione d’Italia.
Il coronavirus sta sconvolgendo il mondo ed il movimento calcistico femminile italiano rischia di pagare a caro prezzo questi “egoismi”. Il pensiero di tutti gli addetti ai lavori ed i tifosi è infatti sempre rivolto al passaggio al professionismo che si dimostra sempre più impellente ma che nei fatti è ancora poco di concreto. La situazione che si è creata ha evidenziato ancora di più il paradosso di queste atlete a cui viene chiesto un impegno totale nel loro sport (nei fatti sono più professionali loro di moltissimi calciatori dalla A alla C) ma che hanno anche gli stessi diritti o tutele di un giocatore di terza categoria.
Questo stop influirà sul passaggio al professionismo? Una domanda a cui oggi è difficile trovare risposta, quello che è certo è che non aiuterà le ragazze ad ottenere quello che meritano perché inevitabilmente porterà a spegnare i riflettori sul calcio femminile ancora per molte settimane e l’esposizione mediatica è troppo importante per il raggiungimento di questo traguardo. Se non si raggiungesse in tempi medio-brevi, il rischio è di perdere le nostre stelle, che andrebbero a cercarsi quella parità in altri paesi dove il percorso verso il professionismo si è concluso da tempo.
L’ulteriore paradosso è che per una volta il denaro è stato un fattore secondario a far pendere la bilancia sulla non ripartenza. I soldi infatti erano stati messi a disposizione dalla Figc con il fondo salva calcio (700.000 a disposizione delle società per finire la stagione) e la stessa federazione, come detto in precedenza, si era proposta anche di farsi carico in prima persona di gran parte della gestione sanitaria.
A rimetterci più di tutti, neanche a dirlo, sarà la nazionale che appena un anno fa iniziava in questi giorni, il suo favoloso cammino al mondiale e che un anno più tardi si ritroverà a settembre ad avere giocatrici senza ritmo partita, alcune senza allenamenti da oltre 6 mesi. Un handicap che rischia di diventare decisivo nella corsa alle qualificazione del campionato europeo quando affronteremo due match delicati contro Israele e Bosnia.
Dai momenti di crisi si aprono grandi opportunità e questa volta, probabilmente, il calcio femminile non le ha colte.