Sarà stato evidente anche all’occhio meno esperto, ma nelle ultime uscite Pirlo ha progressivamente apportato dei piccoli correttivi al 3-2-5 d’arrembaggio con cui aveva cominciato la stagione. Questi picchetti, nei primi mesi, per un allenatore nuovo (in tutto e per tutto) e per una squadra senza preparazione estiva sono assolutamente normali e anzi “benvenuti” se riescono poi a portare migliorie al gioco senza scendere a compromessi sui principi cardine. E in effetti, qualcosa di diverso si era visto già con Lazio, Ferencváros e Spezia, e ancor di più nella ripresa dopo la sosta nazionali contro il Cagliari. La partita, portata a casa senza alcun patema grazie alla doppietta di Ronaldo, è sembrata il summum in cui gli spettatori capiscono il filo conduttore della performance di un artista.
De Ligt
È difficile cominciare questo articolo senza menzionare il cambiamento più radicale all’interno della struttura della Juventus. Avere De Ligt è fondamentale per la maniera con cui la squadra difende e ancor di più per la maniera con cui la squadra attacca. L’olandese, da centrale, è capace di tenere alta la difesa, osare un’uscita sull’uomo anziché giocare verso la propria porta, e ordina la propria linea come forse solo il suo compagno di nazionale al Liverpool sa fare al mondo. Saldare i reparti e suturare quello spazio in cui gli avversari hanno spesso sguazzato quest’anno è stato fondamentale nel soffocare le ripartenze del Cagliari, che su quello spazio aveva verosimilmente preparato la partita.
Questo permette a tutta la squadra di beneficiare di un baricentro più alto, una struttura mediamente più corta e più prona al recupero palla. Lo si vede soprattutto dalla sua postura, che come al solito è rivelatrice delle intenzioni di un giocatore.
Ovviamente però, non è solo merito di De Ligt: anche un Demiral a suo agio con un raggio d’azione più avanzato e in buona serata ha contribuito al raggiungimento di una squadra più alta e più corta nelle fasi immediatamente successive alla perdita del pallone. Danilo, al solito autore di una partita molto intelligente con il pallone, e molto ordinata senza, è stato messo nelle condizioni di svolgere il suo ruolo senza doversi preoccupare di difendere avversari in campo aperto.
Recupero palla
In effetti, a cascata, questo atteggiamento più ambizioso ha permesso alla squadra di impegnare seriamente la non complessa uscita palla del Cagliari. La squadra di Di Francesco apriva il gioco concordando o le mezzali o Simeone, ma un’ottima densità in zona palla ha permesso alla Juventus di recuperare il pallone in zone avanzate del campo, soffocando quindi le azioni avversarie. Per una mezz’ora scarsa del primo tempo, la squadra di Pirlo ha messo le tende nella metà campo avversaria, grazia alla difesa che accorciava e all’accompagnamento di Rabiot e Arthur, coperti adeguatamente dai tre dietro.
Sempre più asimmetrici
Il sistema di Pirlo sta evolvendo. Se nelle prime uscite era facile notare come l’ultima linea fosse composta da 5 giocatori in linea e in posizione apparentemente statiche, ad oggi questa stessa linea è molto più una linea a 4 che altro. Questo perché Pirlo e il suo staff hanno probabilmente preso atto che i trequartisti non ricevevano palla nei mezzi spazi con ritmo sufficientemente alto e (complice l’infortunio di Ramsey) il suo sistema si sta ritrovando sempre di più in quel 4-4-2 che la Juve ha sempre adottato senza palla, e questo anche in possesso. Contro il Cagliari, l’ultima linea della Juventus era composta da Bernardeschi, Ronaldo, Morata e Kulusevski, con Cuadrado leggermente dietro lo svedese ad orientare la struttura della Juventus. Il colombiano, in effetti, non era più l’esterno alto a destra che soleva essere all’inizio: nell’ultima partita è stato una via di mezzo tra un terzino molto alto e una mezz’ala molto larga, con i compiti che sono quasi quelli di un fluidificante.
Tra l’altro, vale la pena anche notare l’asimmetria tra i due esterni alti. Bernardeschi era stato istruito a pestare la linea laterale, ed si è sempre fatto trovare largo a ricevere i cambi di campo. Al contrario, Kulusevski entrava spesso e volentieri dentro il campo, sia in ricezione che per giocare il pallone su tracce interne.
Questi accorgimenti fanno parte di un naturale processo adattativo dell’allenatore alla squadra e viceversa. Di sicuro, i progressi vanno tarati sulla prestazione onestamente pessima degli avversari, tra l’impalpabile e il remissivo. Tuttavia è incoraggiante veder tasselli del puzzle andare nella direzione che l’allenatore ha predicato sin dall’inizio: è un bel segnale sia per la disponibilità di chi scende in campo, sia per l’intelligenza dell’allenatore stesso.