La Juventus si qualifica alla finale di Coppa Italia con il minimo sindacale e dopo un primo, ottimo, terzo di gara, tira i remi in barca.
La Juventus non riesce ad avere la meglio di un Milan ampiamente rimaneggiato e in 10 dal 17’, ma ha offerto comunque delle indicazioni significative circa lo stato della squadra. Dal modulo scelto, all’interpretazione dei singoli, al contributo dei subentranti, la prima partita ha tracciato la strada.
Il tridente
Sarri sceglie un tridente senza un vero centravanti per la sua squadra, una soluzione nuova nelle direttive tattiche e che però ha funzionato a metà. L’idea di Sarri era probabilmente far cominciare la squadra, in fase di costruzione, con Costa e Ronaldo a sinistra, e Dybala libero di calcare la traccia diagonale da destra al centro per ricevere alle spalle del centrocampo milanista; in un secondo momento, e con la palla negli ultimi 30 metri, il portoghese si sarebbe accentrato per occupare la casella di prima punta, facendo rinculare la linea difensiva avversaria ed aprendo spazi sull’out sinistro per Costa. Senza un vero centravanti, la Juventus ha effettivamente tolto riferimenti di marcatura a Kjær e Romagnoli, e ha costretto sia Bennacer che i due terzini a gestire difficili situazioni di inferiorità posizionale, grazie soprattutto al contributo dei terzini.
Tuttavia, due ordini di problemi hanno impedito alla Juventus di trarre maggior vantaggio da questa strategia. Il primo, è stato l’assenza di inserimenti senza palla da parte delle mezz’ali Matuidi e Bentancur. Con più spazi al centro, con gli attaccanti che tirano via i marcatori, e con la palla che circolava spesso dal mezzo spazio all’out di sinistra, la letargìa degli smarcamenti profondi ha di fatto attutito gli effetti positivi del tridente. Il secondo nodo è stato il contributo di Ronaldo in fase di non possesso, tanto che il numero 7 – in posizione di attaccante centrale senza palla – è sembrato insofferente ad operare un pressing armonioso con il resto dei compagni; senza recupero palla in alto, una squadra che gioca su registri corti come la nostra ha difficoltà ad attaccare un blocco basso. Questa difficoltà è stata particolarmente evidente dopo l’espulsione di Rebić, quando la mancanza di idee ha portato spesso la squadra a cercare Costa, sperando che creasse superiorità numerica sulla fascia.
Le catene
La Juventus ha comunque offerto un’ottima prova nella prima mezz’ora, quando un giro palla efficace e rapido ha messo in difficoltà un Milan spaesato. Particolarmente apprezzabili (e benefici per la manovra) sono stati gli apporti dei due terzini. Alex Sandro e Danilo hanno dato prova di grande intelligenza tattica, andando entrambi a compensare i movimenti degli attaccanti davanti a sé. Matuidi e Bentancur ne bilanciavano i movimenti ora allargandosi sull’esterno, ora coprendo i loro scatti in profondità.
Da quando Sarri siede sulla panchina bianconera, le catene laterali hanno subito diversi cambiamenti, sia negli uomini che nelle maniere di interpretare le differenti situazioni di gioco. Peccato che poi, con il passare dei minuti, Alex Sandro e soprattutto Danilo abbiano scelto un’attitudine più prudente e più conservativa, che ha contribuito alla stagnazione del secondo tempo.
I cambi
I cambi sono stati, senza mezze misure, deleteri. Le prime tre sostituzioni (Bernardeschi, Khedira e Rabiot) hanno fortemente sbilanciato la squadra, come ha candidamente ammesso Sarri. I due centrocampisti sono entrati malissimo in partita sia mentalmente che fisicamente, e sulla falsa riga delle prestazioni prima della sosta hanno determinato uno sfilacciamento delle maglie con scelte discutibili ed esecuzioni sbagliate. Le spaziature del centrocampo, corte e geometriche, sono andate perse e la squadra si è esposta ad un paio di ripartenze sicuramente evitabili. Sarri dovrà gestire meglio questi frangenti, sia nella scelta degli uomini, sia nel momento dell’ingresso in campo. La possibilità di effettuare cinque sostituzioni è, per l’appunto, una possibilità, non un dovere; specialmente se poi chi entra mette a dura prova il concetto di “panchina lunga”.
Se il calo della ripresa può essere facilmente spiegato con la precaria condizione atletica, l’atteggiamento quasi rinunciatario è sembrato più mentale che altro. Un problema forse di applicazione, che però sopravviene dopo un’ottima prima fase di partita. In ogni caso, occorre ripartire dai primi 30 minuti ma tenere a mente i successivi 60, perché tra 4 giorni c’è già una finale da giocare