L’eliminazione col Porto segna la fine di un triennio? Probabilmente sì. Le difficoltà sono tante, ma serve concentrarsi su una soluzione alla volta, partendo dalla realtà dei conti che spingeranno a prendere decisioni forti, senza dimenticarsi di una attualità che porta obbligatoriamente a centrare la prossima qualificazione in Champions.
Domenica pomeriggio ho visto un film su Disney+. The Martian.
Il protagonista, interpretato da Matt Damon, è un astronauta che per una serie di vicende si ritrova a dover sopravvivere da solo su Marte; una volta ritornato sulla Terra, nella scena finale racconta come ha affrontato questa situazione, concentrandosi cioè su un problema alla volta, trovare la soluzione e passare al problema successivo.
La Juventus ha diversi problemi. Li conosciamo. Terzo anno consecutivo con eliminazione in casa partendo da favoriti, monte ingaggi in costante aumento, fatturato che è fermo, rosso in bilancio. Certamente la pandemia non ha supportato, ma il progetto bianconero dell’ultimo triennio, iniziato con l’acquisto di Cristiano Ronaldo, non ha dato i risultati sperati e già ci ha costretti a lanciare aumento capitale ed emissioni di bond.
Concentriamoci su un problema alla volta. Partiamo dal campo. Ancora una volta, nella partita più delicata della stagione, la Juventus si ritrova a giocare di nervi, utilizzando Cuadrado come principale fonte di gioco, abusando dei cross. Partendo dalla lucida analisi di Andrea Lapegna, non posso non ripetermi questa domanda: questa squadra è adatta a quello che vuole Pirlo? A me sembra che noi pensiamo troppo, vogliamo gestire e palleggiare senza avere queste qualità e giocatori per farlo, abbiamo la preoccupazione di occupare gli spazi senza usarli come punti di partenza per attaccarli.
Non abbiamo grosse certezze di campo: siamo partiti dall’università quando ci servivano e ci servono cose semplici. L’Italia di Mancini, forgiata attorno sui principi cui si ispira Andrea Pirlo, è brava e forte anche perché ha Jorginho-Verratti-Barella e ha il lusso di poter tenere a disposizione Pellegrini e Locatelli, giocatori con qualità e caratteristiche superiori ai nostri. Noi siamo fatti per giocare in maniera diretta, cercare le fasce, creare lì superiorità e iniziative anche personali. L’aver disputato – come già successo tante volte nel corso degli ultimi anni (a prescindere dagli allenatori) – una gara in cui non si è in grado di stabilire il contesto, subendo l’emotività della stessa, è una colpa; la Juventus che sbanda clamorosamente dopo il primo gol e che si rialza solo dopo la scintilla di Chiesa è una squadra fragile, in balia dei venti e dei momenti della partita stessa.
Come ha giustamente sottolineato Davide Rovati, questa Juventus manifesta le consuete difficoltà nell’applicazione con una abbondante dose di sufficienza mischiata a pigrizia. In parte, secondo me, dipende proprio dalle carenze tecniche e tattiche del collettivo, ma non possiamo non soffermarci sui singoli stessi.
Prendiamo Federico Chiesa, per esempio. Lui è il prototipo del giocatore da Juventus, una forte personalità unita a spiccate qualità. In campo ci vanno anche i singoli e devono essere loro, accompagnati dall’organizzazione del collettivo e dalla leadership dell’allenatore, ad applicarsi con costanza. Giocare in una grande squadra implica questo: personalità, carattere, qualità. Non possiamo dipendere da giocatori che nel corso di una stagione si deprimono e si perdono a inseguire i propri fantasmi. Avremmo dovuto prendere Barella, per esempio, e non Ramsey, perché è con ragazzi come i primi che si pongono basi per avere qualità, forza caratteriale, applicazione e intensità.
Chiesa e De Ligt, oltre a Cuadrado, sono stati i giocatori che ci hanno messo la faccia. E può essere un buon segnale. Non ci può che essere eterna gratitudine per chi ha scritto in questi anni la storia di questo ciclo meraviglioso – e come detto diverse volte abbiamo avuto la fortuna di viverlo -, ma abbiamo la necessità di formare e investire nuove leadership, tecniche ed emotive, e i due ragazzi menzionati sopra sono certamente coloro che possono e devono già oggi avere questo ruolo.
Un problema è Pirlo? Non lo so, per me è più limite. Ne abbiamo discusso nei giorni immediatamente la sua nomina: la scelta della società è stata azzardato, un rischio non calcolato. Pirlo è un giovane allenatore alla prima esperienza catapultato nel momento più complicato alla guida di una squadra che deve vincere. Ha certamente buoni studi, ottime intenzioni, ma finora ha peccato secondo me di un eccesso di teoria, come un giovane e brillante universitario che deve imparare la pratica. Va benissimo il calcio offensivo, ma poi bisogna saper declinare le proprie idee sulla base delle caratteristiche dei giocatori che si ha e adattarsi agli avversari. Che senso ha questo insistere con il 4-4-2 senza palla? Che senso ha la costruzione 3+2 e derivati se abbiamo una circolazione lenta? Secondo me la squadra andava aiutata, partendo da concetti molto più semplici, senza deviare dalla rotta di quello che si vuole fare. Per questo, quando si parlava di infortuni e assenza, io ho parlato spesso di organizzazione: non può essere giustificata con n alibi la mancanza di triangolazioni, i movimenti senza palla, la ricerca del terzo uomo.
Si è visto con la Lazio quanto questa squadra può far male quando è in grado di creare superiorità sugli esterni: perché ieri si è ritornati al consueto sistema che non sta funzionando? Perché non si è intervenuti facendo combinare Rabiot e Chiesa sulla sinistra e Cuadrado-Kulusevski sulla destra?
E passiamo alla società. La Juventus siede sul tavolo delle grandi d’Europa dal 2015: si è confermata nel 2016, ha brillato nel 2017, ha avuto un sussulto nel 2018. Si è investito molto, ci si è indebitati, col risultato di un fatturato non esploso, costi eccessivamente alti. In questi ultimi anni abbiamo bruciato soldi, giocatori e allenatori. Abbiamo lanciato ora, anche per necessità, un nuovo corso basato sull’acquisto di ragazzi giovani. Abbiamo pensato che bastasse un allenatore più in linea con la tradizione, conosciuto e stimato da presidente, dirigenti e giocatori, per proporre il calcio che non si è riuscito a vedere l’anno scorso.
Probabilmente saremo costretti a fare delle rinunce in sede di mercato per alleggerire il nostro peso e rilanciarci immediatamente. Non penso che sia la migliore idea ripartire da chi ha responsabilità nelle scelte prese negli ultimi anni, mentre in casa Juventus abbiamo un esempio di ottima gestione rappresentata dalle Women che potrebbe e dovrebbe essere trasportato. Che calcio vogliamo fare? Quali tipo di ragazzi e calciatori servono? Qual è il nostro progetto tecnico? Cosa ci impone il bilancio?
Il sistema di deleghe funziona se le deleghe sono vere e chi ha responsabilità delle decisioni le può prendere. Un CEO sportivo autonomo – che paga con il posto se sbaglia – che segue il piano fissato dal CdA, nomina un allenatore e sceglie i giocatori. Il “si è sempre fatto così” sarà sempre per me la causa dei problemi.
Un problema alla volta, una soluzione alla volta, dicevamo. Quelle a lungo respiro spettano ad Andrea Agnelli, quelle nell’immediato ad Andrea Pirlo. Abbiamo una qualificazione in Champions che rappresenta un imperativo da centrare.
Fino alla fine forza Juventus, sempre