di Davide Terruzzi
La Juventus spegne i sogni di remuntada di un intenso Barcellona grazie a una sapiente organizzazione difensiva che esalta le qualità dei singoli.
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]J[/mks_dropcap]uve is not Psg. Con questa convinzione e consapevolezza i giocatori della Juventus si sono recati a Barcellona per disputare la gara di ritorno dei quarti di finale. Il tre a zero dell’andata rappresentava un vantaggio solido, ma i blaugrana sono una formazione che nella propria storia è riuscita a ribaltare punteggi nettamente sfavorevoli ed è reduce da una delle remuntade più epiche nella storia del calcio. Se di fronte non avesse una squadra dal talento tecnico puro e inimitabile, la Juventus avrebbe potuto vivere una classica partita di routine in cui il compito principale sarebbe stato gestire tranquillamente il risultato; trovandosi però di fronte il Barcellona, e memore di quanto successo poco più di un mese fa col Psg, la formazione d’Allegri ha vissuto questo ritorno con l’ambizione di centrare il risultato tornando a casa con il pass per le semifinali. Una settimana non rappresenta nemmeno un arco di tempo sufficiente per cambiare, o rovesciare, il quadro tattico ed emotivo di una sfida; Luis Enrique ha provato a gonfiare il mito blaugrana delle remuntade sollecitando l’orgoglio dei propri giocatori, mentre Allegri ha presentato questa sfida come una gara da vincere giocando con lucidità e fiducia nelle proprie qualità. I due tecnici hanno quindi potuto apportare solamente degli adeguamenti; il tecnico asturiano presenta una formazione più razionale e logica per uno scontro ai massimi livelli, abbandonando il 3-4-3 a diamante e sposando nuovamente il 4-3-3: Jordi Alba viene schierato sulla sinistra, Busquets riprende il suo posto di muro e frangiflutti, Rakitić ritorna come interno di destra del centrocampo dietro alla MSN. La Juventus non cambia: il modulo e la formazione titolare sono questi, rappresentano una garanzia assoluta per Allegri.
Il tecnico bianconero è consapevole della necessità di un inizio aggressivo da parte dei suoi giocatori. La squadra juventina approccia la partita con un pressing alto teso a rallentare e ostacolare la manovra bassa del Barcellona, ma nasconde anche un messaggio psicologico agli avversari: “noi non abbiamo paura”. L’organizzazione collettiva della Juve in fase di pressing prevede un meccanismo in cui copertura degli spazi e marcature con relative scalate si sposano per imporre aggressività sul campo impedendo agli avversari giocate agevoli e ricezioni libere con le quali poi puntare la difesa. Contro un Barcellona che si sistema di partenza con un 4-3-3, i due attaccanti juventini si sistemano sulla coppia Umtiti-Piqué, mentre i due esterni sono pronti a uscire sui terzini: l’uomo in più a centrocampo viene assorbito grazie alle scalate in avanti da parte di uno dei centrali (spesso Chiellini) pronto a uscire su Rakitić.
Sopra e sotto, il pressing alto nei primi minuti della Juventus con un orientamento aggressivo sugli uomini.
Una volta superato il pressing, la Juventus si ordina nel proprio 4-4-1-1 sistemando l’altezza della difesa sulla propria trequarti prestando attenzione a non abbassarsi eccessivamente. Il castello difensivo della formazione d’Allegri, come nella gara d’andata, permette alla formazione di mantenere una granitica compattezza con le distanze tra i reparti minime; centrocampo e difesa lavorano assieme, con l’aiuto delle due punte, costruendo un blocco che prova ad allontanare dall’area di Buffon gli avversari. La coppia di mediani è chiamata a molteplici compiti: Pjanić e Khedira devono mantenersi stretti tra di loro e vicini alla difesa lavorando sulle linee di passaggio impedendo giocate in verticale e in diagonale. I due lavorano come una barriera che non si deve mai alzare, unendo al dispendioso compito tattico uno altrettanto arduo in pressione sugli uomini. Nella loro zona, quella centrale, infatti si trovano a muovere Messi e Iniesta, diventati da anni i veri registi del Barcellona: aiutati dai compagni di reparto, il loro compito è stato quello di chiudere i due fuoriclasse blaugrana accompagnando loro in zone meno pericolose.
L’organizzazione della Juventus senza palla. A tratti è più facile trovare un ago in un pagliaio che spazio tra le linee bianconere.
A questa immensa mole di lavoro si aggiunge quello che è richiesto con la palla: Pjanić ha nettamente brillato al Camp Nou mostrando una sapiente capacità di controllare tempo, spazio e corpo nonostante il pressing del Barcellona. Il bosniaco è stato il faro del centrocampo, il giocatore che doveva capire quando rallentare provando il palleggio o accelerare innescando il contropiede.
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Nel video, i meccanismi di pressing delle due squadre e le diverse manovre offensive.
Le ripartenze sono state ovviamente l’arma migliore a disposizione della Juventus per provare a segnare. Allegri ha impostato la partita con un meccanismo efficace per superare le ondate di pressing avversario, simili sempre a continue e violente transizioni negative grazie alle quali tutti i giocatori del Barcellona (Messi più del solito partecipe in questa fase) accorciano circondando il possessore e chiudendo gli appoggi. Il tentativo bianconero è stato quello di innescare il contropiede al termine di combinazioni tra le punte, scarico su un centrocampista e giocata in verticale, o aperture, sulla destra dove Cuadrado ha rappresentato l’ideale sfogo per attaccare in campo aperto; per riuscirci il contributo tecnico delle due punte era fondamentale, ma la coppia composta da Piqué e Umtiti ha funzionato abbastanza bene con una efficace aggressività sugli uomini per impedire loro comode ricezioni spalle alla porta. La Juventus è riuscita così a rendersi pericolosa, anche a inizio gara, nonostante una fase offensiva in cui la lucidità non è sempre stata ottimale: l’impressione è che questa squadra fatichi più degli scorsi anni – per le qualità diverse dei giocatori – nelle transizioni sul lungo mentre sia molto più efficace in quelle su distanza più ridotte.
L’adeguamento tattico di Luis Enrique ha contribuito a evitare errori visti a Torino, quando il tecnico asturiano aveva progettato un sistema che esponeva la squadra a squilibri violenti sulla fascia di destra. Il 4-3-3 offensivo si è trasformato in un 4-4-2 senza palla che aveva due principali meriti: consentiva a Messi di risparmiarsi parzialmente in fase di non possesso, con Rakitić che s’allargava sulla destra; in più presentava un aspetto a specchio rispetto il posizionamento della Juventus. Il campo così si poteva riempire di continui duelli individuali: con un pressing sempre fortemente orientato sull’uomo, essere schierati come gli avversari aiuta.
Lo schieramento tattico del Barcellona senza palla.
Messi è stato riportato al centro; partendo da una teorica posizione di partenza da esterno destro nel tridente offensivo, il fuoriclasse argentino è stato libero di trovare la collocazione preferita, cercando di trovare l’ossigeno nascosto all’interno del castello bianconero. Messi così si è trovato spesso a ricevere pallone più lontano dall’area della Juventus, partendo sulla trequarti dove con le sue progressioni o combinazioni nello stretto con i compagni riusciva a prendere velocità sfruttando anche la sua superiore intelligenza tattica. Ancora una volta, è stato l’argentino a creare i pericoli maggiori per Buffon; specialmente quando è riuscito a combinare con Iniesta. Il genio spagnolo ha risentito in positivo della presenza di un terzino di spinta come Jordi Alba: la sua continua spinta ha costretto Cuadrado a seguirlo, lasciando più spazio a Iniesta abile a ricevere palla come a buttarsi negli spazi. Neymar invece è sempre rimasto molto largo a sinistra, ben controllato da Dani Alves: il terzino brasiliano, come a Torino, restava un po’ più aperto per seguire il suo compagno di nazionale. Sulla destra, invece, Luis Enrique ha provato a riproporre una soluzione tipica della formazione che vinse a Berlino, tenendo però più defilato Rakitić con Sergi Roberto che entrava dentro il campo.
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La capacità della Juventus di alternare vari scenari tattici all’interno della stessa partita ha messo in difficoltà un Barcellona che col passare dei minuti si è innervosito: le continue lamentele all’indirizzo dell’arbitro, così come l’episodio della mancata restituzione del pallone, sono stati tutti piccoli segnali di una squadra che perdeva fiducia nella possibilità di una remunatada e non trovava una soluzione per superare i bianconeri. L’inizio del secondo tempo prosegue così all’interno dello stesso contesto. La Juventus alternava un pressing ultra-offensivo a un posizionamento senza palla più basso, mantenendo sempre alta l’aggressività sugli uomini sposando questo atteggiamento a una compattezza tra i reparti che toglie il sole al Barcellona oscurando linee di passaggio e speranze. La squadra di Luis Enrique da anni ha abbandonato il calcio posizionale a favore di una manovra più diretta, ma resta una formazione in grado di passarsi il pallone con precisione e velocità con una qualità tecnica tra le migliori al mondo. Il Barcellona si è reso pericoloso sempre quando è stato Messi ad accendersi; Neymar è stato sì coinvolto, ha creato superiorità numerica con i suoi dribbling, ma di fatto non ha rappresentato un pericolo. L’abilità della Juventus di concedere quasi mai gli attacchi in campo aperto si unisce al sapiente controllo della profondità e al dominio all’interno dell’area di rigore: Bonucci e Chiellini sono stati magistrali nella lettura delle situazioni con chiusure e marcature che hanno sfiorato la perfezione.
Il Barça dopo il primo cambio di Luis Enrique.
Superata l’ora di gioco, Luis Enrique ha provato il tutto per tutto inserendo Paco Alcácer al posto di Rakitić. L’attaccante è stato chiamato a un duplice compito: nella fase offensiva doveva stringersi accanto a Suarez, mentre senza palla doveva abbassarsi sulla linea dei centrocampisti. Per cinque minuti il forcing del Barcellona si fa sentire, ma rappresenta l’ultima sfuriata. Il tecnico prova un’altra mossa, della disperazione, alzando Piqué sulla linea degli attaccanti: con la sostituzione tra Sergi Roberto e Mascherano, il Barça si sistema con una difesa a 2 (Umtiti e Mascherano), Alba largo a sinistra, Busquets davanti la difesa, Messi e Iniesta dietro le tre punte, Neymar largo a destra. Allegri risponde facilmente inserendo prima Barzagli al posto di Dybala, passando così al 5-4-1, poi finendo negli ultimi con una linea difensiva composta da 6 uomini con l’ingresso di Asamoah. Il Barcellona apre delle praterie che la Juventus non riesce a sfruttare; davanti attacca per contratto e con disperazione facendo però il gioco della squadra juventina.
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Il 5-4-1 dopo l’ingresso di Barzagli.
La formazione d’Allegri centra così il passaggio di turno. Non è un’impresa, ma un grandissima vittoria. Aver subito zero gol da quello che è considerato il miglior attacco al mondo è la realizzazione della solidità e della compattezza di una squadra che fa dell’unità e dell’organizzazione collettiva gli ingredienti per raggiungere il successo. Una Juventus attenta, agguerrita, precisa e puntuale. Fosse stata più lucida davanti e nel possesso palla (alcuni dei miglioramenti richiesti dal tecnico), la squadra sarebbe uscita con una vittoria, ma questi sono dettagli che perdono di consistenza di fronte all’intelligenza di questo gruppo. La Juventus è capace di giocare più partite all’interno della stessa alternando sapientemente vari registri tattici: il pressing alto, la difesa posizionale, la copertura degli spazi e le marcature sull’uomo, così come sa giocare in campo aperto o manovrare con pazienza. Non è mono dimensionale. Ed è una formazione che ha sempre più fiducia e consapevolezza nelle proprie qualità; il merito è soprattutto d’Allegri, allenatore che dal primo giorno in cui è sbarcato a Torino ha parlato dell’esigenza di essere stabilmente tra le grandi d’Europa. Questa Juventus, così rivoluzionata in due anni, è ora tra le grandissime. La crescita esponenziale di Pjanić in questo anno a Torino è uno dei biglietti da visita che l’allenatore livornese dovrebbe sempre portarsi dietro: da giocatore accolto con qualche scetticismo comprensibile (bravo ma leggero e sparisce nelle gare che contano) a perno intelligente del centrocampo. La maturità dei bianconeri dovrebbe cancellare le paure e le ansie dei propri tifosi, alcuni dei quali non hanno ancora fiducia in una squadra che può ancora migliorare in alcuni aspetti ma che sa giocare a calcio come poche altre con una impressionante e famelica voglia di vittorie. Si chiude così il ciclo europeo di Luis Enrique. La Juve non è il Psg; come successo anni fa col Bayern, la stagione scorsa con l’Atletico Madrid e nel 2010 con l’Inter, le rimonte non riescono con squadre alla pari, o fortemente organizzate. La sua squadra ha giocato con un’intensità violenta ma questo non è bastato a superare la Juventus. Il Barça dovrà ricostruire a centrocampo per aumentare l’efficacia del proprio palleggio.