di Davide Terruzzi
La Juventus disputa un buon tempo prima di crollare nettamente nella ripresa di fronte a un Real Madrid che si conferma meritatamente campione d’Europa
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]T[/mks_dropcap]ra i miti, questo è uno dei più tristi. Racconta di una storia d’amore e di morte, quella che unisce Orfeo ed Euridice. Il cantore magnifico che incanta tutti col suono della propria arpa, tanto da convincere i signori degli inferi a ricondurre la sua amata nel mondo dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra la precedesse e non si voltasse a guardarla fino a quando non fossero giunti alla luce del sole. Orfeo, presa così per mano la sua sposa, iniziò il viaggio, ma un sospetto lo invase pensando di condurre per mano un’ombra e non Euridice. Dimenticando così la promessa fatta, si voltò a guardarla, ma nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono sul suo volto, la moglie svanì e fu costretto ad assistere alla sua seconda morte.
Cosa c’entra con la Juventus? La sua storia con la Champions è di un grande amore che diventa un’ossessione, un sogno che muore e si trasforma in un incubo quando sembra che ci siano tutte le condizioni per diventare finalmente campioni d’Europa. La formazione d’Allegri si è presentata al grande ballo finale di Cardiff con la convinzione di potercela fare, di poter battere il Real Madrid; il primo tempo, ben controllato dai bianconeri, poteva solamente rafforzare la fiducia, ma gli spagnoli in quindici minuti hanno sciolto qualsiasi speranza e velleità di vittoria grazie a una notevole prova di forza e di superiorità.
Allegri ha schierato la formazione titolare dell’ultimo mese, quella in cui Barzagli prende il posto di Cuadrado negli undici di partenza. Rispetto alle previsioni, però, il tecnico livornese non passa alla difesa a 3, adottando quel 3-4-3 fluido che si era visto col Monaco, schierando la sua squadra col consueto 4-2-3-1; il difensore centrale viene quindi adattato come terzino destro con Dani Alves ala. Molti più dubbi invece provenivano dal fronte Real, tanto che fino alla consegna della distinta da parte di Zidane circolavano diverse ipotesi: l’allenatore francese, icona bianconera e simbolo del Real, doveva pesare le condizioni di Carvajal e Bale. Zizou si è confermato allenatore pratico, scegliendo di schierare la formazione in grado di offrire maggiori garanzie fisiche e tecniche: l’idolo di casa, il simbolo calcistico del Galles non sta bene e quindi s’accomoda in panchina, mentre il terzino destro titolare, sebbene acciaccato, è la soluzione migliore rispetto a Danilo o Nacho. Real quindi in campo col 4-3-1-2 dove Isco è il vertice alto del rombo di centrocampo alle spalle della consueta coppia Ronaldo e Benzema.
Si diceva di un primo tempo ben controllato da parte della Juventus. I bianconeri hanno approcciato correttamente la partita con buona intensità mentale e tecnica, sfruttando al meglio le debolezze intrinseche dello schieramento avversario. In fase di possesso, infatti, la squadra di Allegri ha spesso cercato lo sfondamento sulla sinistra, sfruttando le avanzate di Alex Sandro con Mandžukić sempre pronto ad alzarsi e giocare sulla linea di Higuain; il blando pressing del Real consentiva una buona circolazione del pallone con lo sviluppo della manovra offensiva sulla corsia mancina. Sulla destra, invece, i problemi erano maggiori per una serie di fattori: Barzagli è rimasto sempre bloccato, accompagnando mai l’azione, mentre Dybala, autore di una prestazione incolore, è stato poco dinamico non mettendosi nelle condizioni di poter trovare il giusto spazio, anche defilandosi, per rendersi utile alla manovra. La buona circolazione del pallone ha permesso il controllo della gara,sebbene sia mancata la precisione negli ultimi 20 metri con una mancanza di lucidità e di frenesia che non ha permesso alla Juventus di rendersi maggiormente pericolosa. Miralem Pjanić è stato un gigante, il migliore tra gli juventini, grazie a una presenza costante e un coinvolgimento totale nel gioco bianconero; il bosniaco è stato poi costretto a provare ad assorbire il contropiede del Real, lavorando spesso anche per un Khedira che attaccava l’area di rigore per vie centrali.
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La buona prestazione del primo tempo è legata anche all’organizzazione senza palla. La Juventus ha pressato bene con un pressing offensivo collettivo: i due esterni alti uscivano alti sui terzini, mentre i due interni chiudevano gli appoggi centrali. La squadra d’Allegri dirottava il gioco del Real sulla corsia laterale costringendo gli uomini di Zidane a cercare dei cambi di campo improvvisati sui quali l’ala sul lato debole si faceva trovare pronto intercettando i passaggi. Quando il Real Madrid consolidava il proprio possesso, i bianconeri s’abbassavano nella propria trequarti sistemandosi col consueto 4-4-2 ponendo attenzione a mantenersi compatta sia orizzontalmente che verticalmente. La Juventus è stata meno efficace nella transizione. Per due motivi: la mancata precisione negli ultimi metri, figlia anche di una frenesia nel cercare velocemente la porta, non consentiva ai bianconeri di essere ben schierati nel momento in cui si perdeva palla; il Real così si trovava in superiorità e poteva uscire attaccando in campo aperto. La seconda ragione è un’aggressività non eccessiva da parte dei difensori, più preoccupati nel proteggere la profondità che pronti ad avanzare per portare marcature e coperture preventive più marcatamente offensive prendendo qualche rischio.
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Il Real Madrid, invece, non ha disputato un buon primo tempo. Il pressing è stato poco efficace, la costruzione del gioco più basata al mantenimento del possesso senza prendersi rischi. Probabilmente l’intenzione di Zidane era quella di non accelerare i ritmi per poi alzarli nella ripresa, senza forzare le giocate una volta col pallone tra i piedi, provando a rendersi pericolosi in contropiede o attaccando ribaltando velocemente l’azione con movimenti alle spalle di Barzagli. La posizione piatta dei tre di centrocampo ha garantito il consolidamento sicuro del possesso, ma non garantiva la presenza di giocatori alle spalle dei mediani bianconeri; Isco così era l’unico giocatore che si muoveva lungo il campo seguendo il pallone.
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Il Real, come sempre, trova il gol nel momento in cui è in difficoltà: la velocità con la quale viene ribaltata l’azione è da manuale, così come i movimenti di Carvajal e di Ronaldo. La Juventus è stata brava a restare calma, senza scomporsi. La buona prestazione nei minuti iniziali, colpendo le debolezze del rombo avversario, ha probabilmente dato tranquillità e fiducia alla squadra: il gol di Mandžukić, azione tecnicamente d’applausi nel corso del quale la palla non cade mai a terra, si sviluppa sulla sinistra dopo un’apertura in diagonale da parte di Bonucci.
Gli ultimi minuti del primo tempo vedono il Real prendere il controllo della gara. Il possesso resta troppo orizzontale, con una manovra a U, ma è stato il momento in cui la squadra di Zidane ha preso ulteriore fiducia nei propri mezzi. Come sempre succede, l’inizio di secondo tempo è stato notevolmente più aggressivo. In molti si sono interrogati chiedendosi cosa sia successo durante l’intervallo ai giocatori della Juventus, ma la risposta più probabile è niente. Il Real è uscito nettamente meglio, decidendo finalmente di spingere il piede sull’acceleratore. L’allenatore francese ha sicuramente sistemato due aspetti leggendo bene l’andamento della partita. Isco si è mosso meno centralmente e più sulla sinistra in una zona di campo in cui si trovava anche Ronaldo; Barzagli nel ruolo di terzino è stato individuato come l’anello debole, continuando ad attaccare lo spazio alle sue spalle con movimenti in profondità, bombardandolo inoltre di continui uno contro uno a difesa schierata. L’altra mossa tocca il centrocampo con la posizione dei tre di centrocampo che non è più piatta sulla stessa linea: Casemiro viene semplicemente superato e spesso s’alza alla spalle della linea mediana avversaria, mentre Kroos domina tecnicamente e tatticamente la partita facendosi trovare ovunque. Lui è il regista, con Modrić che si muove più sul centro destra.
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A una maggiore scaglionamento in campo, si unisce un pressing decisamente più alto, aggressivo che non permette alla Juventus di ragionare. Zidane abbandona il rombo e passa a un centrocampo a 4 con Isco sulla sinistra e il croato sulla destra con i due mediani che lavorano sfalsati: Kroos s’alza e va a chiudere sul mediano bianconero più vicino alla palla, protetto alla spalle da Casemiro. La fisicità del centrocampista tedesco è essenziale nel pressing, così come quella della coppia centrale difensiva permette di controllare un isolato Higuain: l’argentino viene sempre portato lontano dalla porta, rendendolo così di fatto non pericoloso.
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La Juventus non riesce a trovare nessuna contromossa: è semplicemente il Real che controlla a piacimento la partita e inizia a tirare con buona facilità. È il momento in cui la squadra d’Allegri perde la Champions: non riesce più a tenere palla, non accompagna l’azione nei pochi contropiede possibili, non si difende in maniera lucida e aggressiva come di consueto, esce mentalmente dalla partita non riuscendo in nessun modo (tatticamente, fisicamente, psicologicamente, tecnicamente) a tenere testa al Real dimostrandosi incapace di soffrire. Il gol di Casemiro è episodico, però è la concretizzazione di un dominio indiscutibile.
La Juventus non è più in gara. Se dopo il gol di Ronaldo la sensazione era quella di una squadra in grado di poter vincere, dopo il nuovo vantaggio del Real il linguaggio del corpo e l’andamento della Finale suggeriscono solamente una conclusione: game over. I bianconeri risentono terribilmente il colpo tanto da prendere subito il terzo gol. Il Real Madrid, da grandissima squadra qual è, sa quando deve affondare e questo è uno di quelli: il dominio tecnico-tattico-mentale è talmente evidente che non può non essere sfruttato. Il terzo gol, il secondo di CR7, è il manifesto di una squadra psicologicamente fuori giri, senza più fiducia e a terra moralmente. Il match tra Juventus e Real Madrid è definitivamente terminato anche se mancano 30 minuti: d’agonia per gli uomini d’Allegri, di festa per quelli di Zidane. Il cambio Cuadrado-Barzagli è tardivo, ma ormai la Finale è diventata un garbage time unico: i bianconeri non ci credono, i blancos non affondano. Il gol del 4-1 finale giunge a babbo morto.
Le conclusioni sono più complesse a questo giro. Non esiste un divario tra la Juventus e il Real Madrid, ma una differenza sostanziale sì. E comprende diversi argomenti. Il primo riguarda la fiducia complessiva: la Juve ha fallito nel momento in cui doveva restare dentro la gara. Non ha saputo soffrire. Non è riuscita a trovare delle soluzioni alternative, tattiche e tecniche. ll Real è una squadra abituata a vincere ovunque, è davvero consapevole delle proprie qualità, si fida dei propri eccezionali mezzi, conscia di poter segnare in qualsiasi momento della partita. La Juventus è svanita nel momento in cui si doveva dimostrare forte. Possibile che tale incapacità di reggere l’urto sia legato anche a motivi psicologici (il panico “la perdiamo “), ma questo è un fattore che può e deve essere preso in considerazione solamente da chi vive il gruppo ogni giorno e conosce a memoria la situazione. Probabilmente Allegri poteva passare alla difesa a 5, così come rafforzare il centrocampo, una volta visto l’andamento dei primi 10 minuti. La differenza attuale tra Juve e Real passa inevitabilmente tra Cristiano Ronaldo e Dybala: il primo è un vincente, decisivo nel momento in cui serve; il secondo è un grandissimo giocatore, giovane, con notevoli margini di miglioramento, non ancora pronto per essere tra i top mondiali. Ha sentito incredibilmente la partita, semplicemente sbagliandola. Lo stesso si può dire della formazione d’Allegri. Da dove si riparte? Dal continuo rinforzamento della rosa, puntando sempre più su giocatori di qualità e di personalità: la panchina bianconera non offre soluzioni adeguate ai massimi livelli, mentre Zidane si può permette il lusso di mandare in tribuna James Rodriguez. Per prendere però fiducia assoluta nei propri mezzi serve non solo alzare la qualità globale, ma stare stabilmente ai vertici livelli, trovandosi sempre a giocare quelle partite. Il CR7 che nel 2009 perse con il ManU la finale col Barça di Guardiola non è quello dominatore d’adesso; lo stesso Real, come il Bayern, hanno costruito nel giro d’anni, passando anche per sconfitte e finali non raggiunte, rose di assoluta qualità. Bisogna abituarsi a giocare queste partite, migliorandosi nel tempo, offrendo ad Allegri maggiori possibilità di ricambio durante la stagione con numero più alto di giocatori offensivi in grado di cambiare l’andamento delle partite. La differenza principale a livello tecnico e tattico, tolto il dominio di Ronaldo, va trovata a centrocampo: la Juventus ha migliorato tutti gli altri reparti, ma non è all’altezza dei top europei in quel settore, specialmente con quello di Zidane dove Kroos e Modrić sono semplicemente maestosi e padroni del gioco, sempre capaci di trovare la migliore posizione per mantenere il possesso e far avanzare il pallone. Un Pjanić mostruoso è l’esempio dei giocatori che servono. Zidane invece si conferma allenatore capace: non solo è un ottimo gestore in grado di infondere certezze e tranquillità, ma è molto abile a leggere le partite. Non sarà un ideologo, un filosofo, non vincerà il premio della critica, ma in un anno e mezzo ha vinto due Champions e una Liga. Semplicemente vincente. Come Cristiano Ronaldo.