Lo ammetto. Io sono uno di quelli che ha criticato la Juventus e Allegri negli ultimi mesi. Ci sono interventi e articoli che testimoniano il mio pensiero e sarei quindi sciocco, poco intelligente se andassi a riformulare la mia opinione relativa a quel periodo per via di questa straordinaria vittoria. Io, come la totalità del tifo bianconero, sono solamente contento, ed è dir poco, entusiasta della prestazione e del risultato nella magica serata di martedì 12 marzo. Lo sono a maggior ragione perché ho finalmente visto espresso nuovamente il potenziale incredibile di questa Juventus, ma lo sono anche perché Allegri si è nuovamente dimostrato un uomo pratico, intelligente, furbo; molte delle mie critiche rivolte nei suoi confronti in queste settimane nascevano proprio da questa considerazione: come è possibile che stia continuando su una strada che non sta portando la squadra a esprimersi al meglio? Per quale motivo non fa l’Allegri, quell’allenatore che è capace di sorprendere, trovando la migliore soluzione ai problemi?
Personalmente ho sempre avuto una grande considerazione della critica, di quella vera, che si poggia sulla analisi oggettiva della realtà costruendo su di essa le proprie argomentazioni. Col massimo rispetto di chi questa critica la subisce. Dopo la sconfitta dell’andata, invece, la dialettica interna al tifo e agli stessi opinionisti si è spesso radicalizzata in uno scontro che ha banalizzato la questione: da una parte chi non ha perso l’occasione per insultare Allegri e giocatori, dall’altra chi oggi parla di carro e giustificava scelte che si sono rivelate sbagliate. La critica, quella che secondo me abbiamo portato avanti noi, è quella che permette di inquadrare la realtà, cogliendo gli aspetti problematici per trovare una soluzione; lungi da me solamente pensare che si sia vinto grazie ai “critici”, perché è necessario avere piena consapevolezza del proprio peso, che è sostanzialmente nullo, e delle responsabilità che ricadono sui protagonisti.
Allegri ha fatto esattamente questo, criticando sé stesso e le sue scelte (e lo stesso vale per i giocatori), come ha ammesso con grande onestà e tranquillità nelle interviste di martedì sera. Senza l’analisi degli errori commessi da parte di Allegri e della squadra non ci sarebbe stata la prestazione che ha portato al 3-0, perché quella vista con l’Atletico Madrid può essere considerata un’evoluzione della Juventus autunnale più coerente con le idee stesse dell’allenatore.
Una delle mie considerazioni che ho portato avanti in questa settimana si basa su un principio molto facile da comprendere: il calcio è uno sport semplice e uno dei compiti principali di qualsiasi tecnico è quello di creare l’organizzazione e il contesto tecnico e tattico all’interno del quale i giocatori, sfruttati per le proprie caratteristiche, possono esaltarsi. La Juventus degli ultimi mesi aveva proseguito una direzione precisa: mezzali che si inseriscono, gioco meno palleggiato, bassa intensità, Cristiano Ronaldo più defilato, manovra verticale, Mandžukić come jolly da giocarsi in tutte le fasi. All’interno di questo contesto ci sono stati giocatori che non possono rendere al massimo e la dimostrazione arriva dalla sfida di Torino con l’Atletico: una squadra che muove velocemente la palla dietro, alza i terzini facendo ricevere loro in posizione più avanzata, Pjanić più libero di avanzare ed essere incisivo nella metà campo offensiva, Cristiano Ronaldo dentro l’area, palloni che spiovono dalle fasce per servire lui che è il miglior centravanti immaginabile al mondo, Bernardeschi che taglia da posizione esterna dentro il campo, Emre Can che porta il pallone stile giocatore rugby e sfrutta la sua devastante forza fisica, Matuidi in versione chewing gum. Una Juventus intensa, ad alto ritmo, aggressiva, che difende correndo in avanti. Questa squadra è meno forte nella fase di difesa posizionale, perché le caratteristiche stesse dei giocatori portano a una maggiore aggressività sull’uomo, e questo comporta un po’ di caos, e a una occupazione meno efficace dello spazio, mentre è devastante quando riesce a sfruttare la propria fisicità. C’è ancora da migliorare, secondo me. Va trovato un gioco interno più costante, sfruttando al meglio Dybala, alternandolo con Mario Mandžukić, come ci sarà da inserire, si spera, Douglas Costa, perché si possono limare difficoltà contro squadre che si difendono nella propria metà campo aumentando il numero di occasioni create, ma c’è soprattutto da continuare con quell’atteggiamento che il re della Champions, Cristiano Ronaldo, ha ben definito nelle interviste post partita. È una Juventus ritornata a giocare bene a calcio, capace di interpretare al meglio la partita, sfruttando le debolezze altrui all’interno di un piano gara coerente con l’organizzazione che porta all’esaltazione dei propri giocatori.
Oggi sulla nostra community Facebook un lettore domandava: “pensate ancora il ciclo di Allegri sia finito?”. Non esiste una risposta precisa. Allegri è un allenatore che dimostra anche di essere in grado di correggere i propri errori, molto bravo a preparare la seconda gara (mentre su quella secca e sull’andata spesso ci sono delle letture portate in ritardo), pragmatico e poco ideologico; negli ultimi mesi non stava sfruttando al meglio il potenziale della squadra e alcune scelte sono state sbagliate. Per sapere se il ciclo di un allenatore sia terminato o meno, però, bisogna vivere la realtà, noi possiamo giudicare dall’esterno e con l’Atletico si è vista una squadra più che viva. E questa è la risposta che tutti ci auguravamo e che ci aspettiamo di vedere nelle prossime partite di Champions.
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Dà consigli. "Trust the process". Da tanti anni si diverte a parlare e scrivere di Juventus.