La scelta della Juventus di affidare squadra ad Andrea Pirlo ha sorpreso (eufemismo) tutta la redazione di AterAlbus. Non ce l’aspettavamo, perché abbiamo sempre e solo parlato di campo, di ciò che si vedeva sul terreno di gioco, di ciò che si diceva davanti alle telecamere. Abbiamo sempre e solo affrontato la parentesi Sarri come un progetto, e quindi tenendo conto dei tempi necessari (anche alla Juve, mica è diversa dalle altre realtà) per svilupparlo. Abbiamo sempre considerato questa stagione molto difficile, sia per motivi “sportivi” che per motivi extra-campo che ancora oggi condizionano le nostre vite.
Quello di ieri, per me, è stato un bel bagno di umiltà e un ripasso di Juventinità, del concetto di Juventinità di Andrea Agnelli e alcuni giocatori. Vi spiego perché.
Umiltà perché alla fine sono emersi prepotenti tutti i limiti, che già conoscevamo, di una valutazione analitica del calcio. Si possono fare mille grafici, raccogliere mille dati, parlare di tattica e di movimenti in campo, di errori individuali, di meccanismi, di uscita dal pressing, di baricentro e cose simili. E ritengo ancora sia corretto analizzare il calcio così, non avendo altri elementi a disposizione.
Però poi, alla fine, trattandosi comunque della gestione non solo sportiva di un gruppo di lavoro, ma anche umana, ci sono una serie di situazioni e di rapporti che si vengono a creare che finiscono per rendere più o meno “vivibile” il clima nel “segreto” degli spogliatoi e del campo di allenamento.
Quelli non si possono analizzare dall’esterno.
Si può scommettere, ipotizzare, fantasticare, ci si può rifare a insiderate, a speculazioni, a malignità, a difese d’ufficio razionali. Ma sono cose “di spogliatoio”, che riguardano le persone coinvolte e il gruppo.
Quando l’anno scorso Andrea Agnelli diceva, salutando Allegri, che solo “il capo”, ovvero chi è al vertice della piramide decisionale, è l’unico che ha tutti i pezzi del puzzle per poter vedere chiaramente il “quadro” della situazione e poter quindi prendere la decisione migliore, scrissi che si trattava di una frase molto vera, anche vista la mia esperienza lavorativa (non sono milionario e non dirigo aziende milionarie: ovviamente, dividete per 1000, ma i principi sono gli stessi).
Anche oggi, quel principio non solo si è dimostrato vero, ma deve essere quello che ci deve guidare, almeno su AterAlbus, almeno oggi. Tutto ciò che avveniva “dietro le quinte” a noi era ignoto, mentre a chi è preposto a prendere delle decisioni no. Tutto ciò che è successo, i dialoghi con i giocatori, i compromessi, le promesse, le ambizioni, le delusioni, le gioie, le liti, le pressioni, sono “loro”.
Questo vuol dire che la Società sia infallibile e che essere aziendalisti per forza sia l’unico modo di vivere il calcio e di analizzare le cose?
No, e vi prego di non vederci questo. Sarà come sempre il campo a essere il giudice supremo e continueremo a giudicare quello che vedremo in campo, senza fare sconti particolari seppur considerando, anche per Pirlo, come serva “tempo” per iniziare un progetto nuovo, consci anche che la sua inesperienza avrà un peso nelle considerazioni che andremo a fare.
Ma parlavo prima anche di “lezione di Juventinità”. Perché? Perché nell’anno in cui probabilmente mi (e ci? Redazionale) sarei “accontentato” della vittoria di uno Scudetto molto difficile, per le varie ragioni che conosciamo, di una finale di Coppa Italia (seppur persa ai rigori) e di un percorso in Champions rovinato dall’andata con il Lione persa in maniera inaccettabile e dal ritorno giocato a 6 mesi di distanza in cui non siamo riusciti a fare i 3 gol necessari (con Higuain e Ramsey “fuori forma”, con Olivieri e con sua Maestà Ronaldo in campo). Eravamo disposti a considerarla una stagione di transizione, vista anche la qualità non eccelsa (eufemismo) di alcuni reparti della rosa, l’età media vergognosa (fatto questo rilevato anche da Andrea Agnelli), le condizioni fisiche inaccettabili di alcuni giocatori (sempre rotti o impalpabili in campo), credevamo potesse essere comunque l’inizio di un progetto, poiché ad avercene di transizioni “da Campioni d’Italia”.
Eppure no, non è questa l’idea di Juve di Andrea Agnelli e non è stata evidentemente questa la sua analisi. Non è una stagione “sufficiente” nemmeno per Cristiano Ronaldo, per Paulo Dybala e per Douglas Costa hanno alzato l’asticella di un paio di metri ancora. L’obiettivo era e “deve tornare ad essere “ vincere la Champions, scrivono. Niente scuse o transizioni, niente apprendistati e niente progetti. Non con Ronaldo e sotto la guida di Agnelli.
Un’ambizione e una necessità che superano anche le nostre analisi e che settano l’asticella, per Andrea Pirlo, ad un’altezza da vertigini.
Non possiamo fare altro, perciò, che “adeguarci” agli obiettivi dichiarati e, pur con tutte le attenuanti e le comprensioni del caso, risettarli anche noi per la prossima stagione.
Sarà un compito affascinante, ma al tempo stesso molto difficile per tutto lo staff, per il direttore sportivo (chiunque sarà) e per Pirlo. Auguriamo a tutti un buon lavoro e ci auguriamo che lo spogliatoio, di nuovo compatto attorno al proprio allenatore, non abbia più scuse, freni e attenuanti per raggiungere finalmente gli obiettivi che una Società chiamata Juventus deve perseguire e raggiungere.