Un derby giocato male

La Juventus sta scendendo in campo talmente spesso da farci compagnia praticamente a qualsiasi ora del giorno. Questo con il derby è il quarto incontro in 12 giorni dalla ripresa dopo la sosta: una scorpacciata di calcio che però sta dando i suoi frutti nefasti in termini di infortuni. Con le nuove defezioni di Chiellini e Demiral (più Morata squalificato) Pirlo deve cambiare ancora la sua formazione e si vede costretto a schierare l’ennesimo undici diverso. 

Contro il Torino di Giampaolo, autore finora di un campionato che definire sottotono è un eufemismo, Pirlo sceglie di puntare su Chiesa e Cuadrado sugli esterni, con Kuluševski e Dybala a sovraccaricare la traccia sul centro destra. Giampaolo continua invece con il 3-5-2: un po’ per mettersi uomo a uomo sugli esterni, un po’ perché questo modulo ha offerto qualche buona prestazione dalla partita con l’Inter. 

I moduli della Juve ultimamente sono così barocchi che nemmeno il social media team riesce a star dietro ai cambiamenti. Gli esterni hanno poi giocato invertiti.

Difficoltà in costruzione

La Juventus era chiamata a dar continuità alla buona vittoria di Champions League, cercando di accorciare un po’ la classifica in campionato. La squadra di Pirlo, a cui il Toro lasciava più che volentieri il pallone, cominciava la manovra con una costruzione ora a 3, ora a 4, a seconda della posizione di Cuadrado. Il colombiano era anche la valvola di sfogo preferita dell’uscita palla, dato che Belotti e Zaza si preoccupavano di mettere in ombra i due mediani (con l’aiuto della mezzala lato opposto). Il giro palla però così è troppo lento e prevedibile, e il Torino non ha difficoltà a scivolare sulla propria sinistra.

Una prima linea a quattro, invece, riduceva ancora di più le opzioni, dato che Cuadrado si trovava a ricevere troppo basso. Ogni qualvolta la Juventus arrivava ai 50/40 metri con palla al colombiano, la manovra ristagnava. Il passo successivo infatti è sempre Kuluševski, ma lo svedese riceveva troppo spesso spalle alla porta e non è mai riuscito a liberarsi della marcatura di Rincón. Kuluševski è un po’ l’emblema della prevedibilità della manovra: troppo stretto per creare superiorità numerica, non è in grado di smarcarsi internamente e non può giocare fronte alla porta – un contesto in cui invece a Parma fece benissimo. 

Cuadrado è tornato da De Ligt ben 25 volte

Il lato destro

La Juventus è solita caricare il lato dove l’esterno scenderà a fare il terzino, perché è da quel lato che Pirlo schiera il “falso trequartista”. Era successo contro la Dinamo a sinistra (con la catena Alex Sandro – Ramsey – Ronaldo) ed è successo contro il Torino a destra con Cuadrado, Kuluševski e Dybala. I movimenti di questi ultimi due avevano destato più di una perplessità quando erano stati schierati insieme, avendo dato impressione di ridondanza; il colombiano era spesso chiamato ad agire da bilanciere, cosa che peraltro fa spesso.

Stavolta Dybala ha agito da vera e propria prima punta, almeno per la mezz’ora di entrambi i tempi. L’argentino è stato molto meno coinvolto nel gioco, ed ha lasciato le ricezioni nel mezzo spazio a Kuluševski. Di contro però, con la squadra che faticava a muovere palla e avversari con la giusta velocità, ha sofferto molto la staticità dell’attacco posizionale bianconero, che ha dunque favorito la marcatura, fisica, di N’Koulou. 

Pressing? Quale pressing?

L’evoluzione di questa squadra ha portato Pirlo a rinunciare alla prima pressione, che era invece stata promossa inizialmente come uno dei principi cardine del suo gioco. Contro il Torino abbiamo assistito allo svilimento di questo strumento, con un’interpretazione che ha rasentato l’ingiustificabile.

Il Toro non ha difficoltà ad aprire le maglie di questa prima linea ed infilare la squadra per vie centrali. Con i giocatori troppo distanti e una palla costantemente scoperta, è difficile non scappare all’indietro

Una linea a quattro era adibita al controllo dello spazio di fronte alla prima linea (a tre) del Toro: tuttavia, la passività della riaggressioni e soprattutto l’angolo di pressione impediva qualsiasi vero sbarramento: gli uomini erano troppo lontani tra di loro e si lasciavano “aprive” dal palleggio granata; chi si staccava lo faceva in ritardo e con un angolo troppo perpendicolare alla direttrice porta-porta per chiudere l’uscita agli avversari. 

La Juventus è andata in difficoltà sia nella costruzione sia nell’attaccare due linee molto basse come quelle del Torino, tanto che si è spesso rifugiata nella conduzione palla al piede di Chiesa come arma per guadagnare campo (una situazione di gioco che produrrà il corner da cui nasce il pareggio). Questa letargia nel giocare il pallone è ben evidente dall’attitudine dei giocatori, che si aspettano sempre qualcosa dal compagno senza mai propiziarne la giocata. In questo, le mancanze sono soprattutto di consegne tattiche, sicché la squadra non si è quasi mai resa pericolosa da situazioni di possesso consolidato.

In effetti, il sovraccarico del lato destro non ha permesso né una superiorità posizionale, né il cambio campo a sinistra per invadere dall’altra parte (una soluzione, peraltro, che la Juve non tenta più). La squadra è lunga e sfilacciata, e attaccando male difende anche male, esponendosi dunque a transizioni pericolose (e il Toro ne ha mandate al vento almeno un paio).

Attaccare male significa che l’unica opzione vicina è lo scarico all’esterno, ma poi? Attorno al portatore non c’è mai nessuno disponibile

Difficoltà

Soprattutto, sembra che i giocatori siano impauriti. Lo si vede nelle uscite appena accennate, lo si vede nelle giocate forzate, e lo si vede nel momento in cui i portatori hanno giocatori troppi lontani e scelgono sistematicamente l’opzione più comodo (che in genere è all’indietro). E quindi è normale rifugiarsi nei traversoni, pigri e scontati dalla trequarti.

Nel secondo tempo l’ingresso di Alex Sandro e il passaggio ad una linea a 4 più classica ha permesso alla Juventus di attaccare con più uomini l’area e di variare la proposta di gioco. È un crossing game insistito negli ultimi 10 minuti (più per mancanza di idee che per reale convinzione) che ha portato una insperata vittoria. Va detto che entrambi i gol sono il risultato di una pressione disorganica, ma anche di errori abbastanza grossolani da parte della linea del Torino (che comunque prendiamo, portiamo a casa, e ringraziamo). 

Le note positive sono la forza della disperazione, intangibile e inquantificabile, a cui ci siamo aggrappati per vincere questo derby. Ma anche che, ad esempio, non abbiano segnato solo gli attaccanti. Se vogliamo, possiamo citare anche il contributo di McKennie, uno che la palla di certo non se la aspetta sui piedi e che in fasi più eccitate della partita può dare tanto.

La vittoria, benedetta, non deve oscurare o far chiudere un occhio sui difetti mostrati in campo. A vedere il bicchiere mezzo vuoto, infatti, valgono tutti gli aspetti sottolineati qui sopra. Lo scaglionamento in campo è stato piatto, la manovra prevedibile, con giocatori che si aspettano sempre la giocata decisiva dal compagno e che non la provocano mai. Quando Pirlo parla di giocatori con personalità, chiede soprattutto coraggio nel giocare la palla: ma per tentare giocate coraggiose c’è bisogno di disponibilità, di  spaziature corrette e di giocatori con idee chiare. Tutte cose che sono sua competenza.

Quindi, e questa è opinione personale, il bicchiere è molto più che mezzo vuoto. 

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