La distanza tra Milan e Juventus nella finale di Coppa Italia e la diatriba del dopo-partita tra Allegri e Sconcerti.
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]I[/mks_dropcap]ndipendentemente dagli errori di Donnarumma, la finale di Coppa Italia ha certificato la distanza che ancora esiste fra il Milan di Gattuso e la Juventus, distanza fra l’altro evidente anche solo guardando ai punti (31) che separano le due squadre in classifica.
Dal punto di vista tattico è stata la solita Juve di Allegri: fluida nella fase offensiva, con Cuadrado esterno baso a garantire ampiezza destra e Douglas Costa pronto ad occupare il mezzo spazio sinistro partendo dalla fascia. Come visto già in occasione della partita vinta col Bologna, Allegri a confermato Asamoah basso a sinistra col doppio compito di consolidare la fase di costruzione bianconera e di proteggere il lato sinistro del campo dove stazionava Suso. Il ghanese è giocatore particolarmente abile nella fase di non possesso, non a caso l’allenatore toscano si affida alle sue letture difensive quando si trova costretto ad affrontare esterni determinanti per la fase offensiva della squadra rivale (come il napoletano Callejon).
Per quanto riguarda Cuadrado, la scelta del colombiano come terzino fluidificante permetteva a Dybala di fluttuare nel mezzo spazio destro, andando a costituire con Barzagli e lo stesso Cuadrado una catena di destra alla quale la Juventus si è spesso affidata per guadagnare campo in avanti.
Di contro, avere Cuadrado, Dybala e Khedira (che si allargava in fascia nel 4-4-2 con cui la Juve si disponeva in fase di non possesso palla) dalla stessa parte creava qualche difficoltà quando il Milan attaccava da quel lato di campo, sfruttando le combinazioni fra Calhanoglu e Bonaventura.
Inizialmente la partita è rimasta in equilibrio, con un Milan che si è presentato in campo con l’identità tattica impostata da Gattuso da quando è subentrato alla guida tecnica della squadra rossonera: linea difensiva bassa, compattezza centrale, ricerca di transizioni rapide e, in situazione di possesso palla, più soluzioni nella fase di costruzione bassa rispetto al canonico lancio verticale di Bonucci.
A rompere l’equilibrio ci ha pensato il gol di Benatia su calcio d’angolo, la prima delle tre reti subite dai rossoneri su palla inattiva. Le marcature predisposte da Gattuso sono state vanificate da una squadra come la Juventus, che è in grado di sfruttare a proprio vantaggio queste situazioni sia la fisicità che i movimenti dei suoi giocatori all’interno dell’area di rigore.
Nel secondo tempo la Juventus si è abbassata, difendendo posizionalmente ma Milan non è stato in grado di creare pericoli, riproponendo i soliti problemi nell’attaccare difese chiuse.
Fluidità offensiva, attenzione in fase di non possesso e qualità dei singoli hanno ancora una volta determinato il successo dei bianconeri. Per Allegri si tratta dell’ennesima conferma della validità della sua proposta di calcio. A tal proposito, l’allenatore juventino è stato (ancora una volta) protagonista di un di battibecco (stavolta con Mario Sconcerti) avente per tema la sua idea di calcio.
Il «sono cresciuto alla scuola di Galeone che mi ha insegnato a vedere le cose in modo semplice, a volte invece quando si parla di calcio sembra che bisogna mandare i razzi sulla Luna» fa il paio con «il calcio oggi è diventato troppo teoria, a basket hai 24 secondi e se non riesce lo schema dai la palla a quello più bravo. Nel calcio, invece, pensate che si vince con gli schemi: se fosse così Messi e Ronaldo non varrebbero così tanto» rivolto a Lele Adani a Sky nel dopo partita di Inter – Juve.
In realtà, se si analizzano attentamente le parole dell’allenatore bianconero, si comprende come Allegri non abbia fatto un’affermazione di appoggio alle sole capacità individuali dei singoli, in contrapposizione a coloro che presentano un calcio più schematico.
Piuttosto e la storia dell’Allegri allenatore lo conferma, il tecnico livornese ha voluto sottolineare come ad un gioco più fondato sugli schemi, vale a dire su giocate stereotipate provate in allenamento, prediliga un calcio basato su determinati principi di gioco al quale affidarsi sia in possesso che in non possesso palla, vale a dire le due fasi in cui si divide il gioco secondo la scuola di Coverciano.
È ovvio a queste diatribe Allegri sia giunto a causa del fastidito in lui generato dalle ripetute critiche mosse da stampa e tifosi al gioco della Juventus. Ora, al di là del comprensibile stato d’animo di un tecnico vincente che si sente in qualche modo defraudato dei frutti del proprio lavoro sulla base di critiche per certi versi astratte, è da sottolineare come l’idea di calcio di Allegri non corrisponda a quella minimalizzazione che gli è stata imputata.
Prima di tutto, la fase difensiva della Juventus è estremamente organizzata. E difendersi non è affatto più semplice che attaccare. Poi, la stessa fluidità della manovra offensiva bianconera, così come l’utilizzo di vari sistemi di gioco, presuppongono uno studio della squadra avversaria che va ben oltre il sistemarsi in campo e affidarsi alle iniziative die singoli. Lo stesso Allegri lo ha rimarcato proprio dopo la partita contro l’Inter quando ha spiegato che la squadra avrebbe dovuto sfruttare di più il due contro uno di Cuadrado e Alex Sandro contro Cancelo.
Infine, quello che chiede Allegri ai suoi giocatori, oltre alla pulizia tecnica, è la capacità di gestire i momenti di una partita, consapevole che all’interno di novanta minuti si giocano molte partite. Anche questa è una richiesta di tipo tattico, per niente incoerente con l’idea di fondo di Allegri per il quale, anche se farebbe meglio di altri, Mourinho non vincerebbe mai lo scudetto con l’Empoli.
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Classe 1978, prof. di storia e filosofia, scrive anche per Il Nuovo Calcio. È autore di diversi libri ed articoli di tattica, non necessariamente sulla Juventus. Match analyst certificato Sics. Lo trovate anche su lagabbiadiorrico.com