di Andrea Lapegna
Troppa Juve per l’Olympiacos: i bianconeri si qualificano agli ottavi di Champions League senza troppi patemi
I gironi di Champions League regalano, specialmente all’ultima giornata, sfide dal sapore molto diverso per le squadre coinvolte. L’Olympiacos sta vivendo stagione poco felice. Un solo punto in 5 partite di Champions, peraltro arrivato in maniera inaspettata con il Barcellona, e secondo in Superleague ad un punto dai cugini dell’AEK – dopo aver già compiuto il primo avvicendamento in panchina. La partita per loro aveva poco da dire, ma l’ultimo match in Europa è un’occasione per i tifosi per dimostrare il proprio dissenso. La Juventus, dal canto suo, non ha la qualificazione a rischio, ma semmai l’incognita di potersi complicare la vita in caso di risultati clamorosi a Barcellona. Insomma, l’occasione giusta per far vedere di che pasta son fatti i vice-campioni, anche per dare un mini-segnale alla massima competizione europea.
Per questo, Allegri sceglie il 4-2-3-1 d’ordinanza, cambiando quei pochi interpreti la cui presenza o meno non pregiudica il sistema di gioco, né tantomeno la filosofia. Szczęsny e la mediana Khedira-Matuidi sono le novità più importanti. O forse, altrettanto importante è dare continuità a Douglas Costa, schierato largo a sinistra con Cuadrado a destra.
Come nel match di andata, l’Olympiacos sceglie un 4-3-3 talmente accorto che sa di 4-1-4-1. La formazione ellenica è pensata per mettere sabbia negli ingranaggi bianconeri, puntando a disseminare il campo di duelli individuali in cui far affogare le ambizioni della Juventus. Un ruolo centrale è rivestito da Panagiotis Tachtsidis, vecchia conoscenza del calcio italiano.
Il piano gara dei greci prevede grande intensità nei primi minuti di gioco. Paradigmatici proprio i primi istanti, in cui la formazione di casa è venuta a pressare il portatore juventino sino al portiere. L’approccio alla partita è molto fisico: il pressing è accompagnato da tackle al limite del regolamento, la corsa degli uomini si ferma solo sull’avversario, con lo scopo di mettere in evidenza eventuali problemi individuali. D’altronde è pur vero che la Juve non schiera i migliori palleggiatori né in difesa né in centrocampo.
I trigger della pressione sono molteplici, come il passaggio al terzino, o tra centrali, o anche all’indietro. Quando Barzagli porta palla, infatti, non esce nessuno. Il contraltare di questa strategia è che quando la Juventus riesce a superare la prima pressione senza rallentare i ritmi di gioco, trova la squadra avversaria insostenibilmente lunga. Buon esempio di queste situazioni è la prima occasione del match, il tiro di Dybala scacciato via da Proto.
Dal canto suo la Juventus non sembra avere fretta. Alterna la paziente (per quanto consentito) costruzione bassa e le accelerazioni verticali, a fasi di difesa posizionale ordinata e concentrata. Per giunta, l’Olympiacos non ha particolari sistemi per far risalire il pallone, e ricorre spesso e volentieri al lancio lungo verso la prima punta, al fine di attaccare poi le seconde palle. Nella prima frazione di gioco la partita vive di ritmi abbastanza alti.
Un’ulteriore zona grigia del piano dell’Olympiacos è rappresentata dalle situazioni di gioco in cui la prima pressione non ha portato i propri frutti. Il blocco del 5-4-1 è stretto tra la volontà di potenza del pressing e l’imperativo categorico di negare la profondità alle frecce bianconere. Con poca efficacia, dato che sia Costa che Cuadrado hanno potuto effettuare tagli profondissimi dietro la linea difensiva, fino ad arrivare sula fascia opposta. Inoltre, per quanto ci sia turnover, le qualità dei bianconeri rimangono assolutamente superiori a quelle degli avversari. Queste due considerazioni sono entrambe presenti nel gol del vantaggio della Juventus: il movimento di Alex Sandro è perfetto, ancorché scolastico. Elabdellaoui è un complice forte, perché prima lascia tre metri tra sé e l’avversario, poi legge in ritardo sia la finta del brasiliano che il lancio di Matuidi (su cui comunque è in ritardo la copertura dell’ala). Alex Sandro è già sul fondo, e Cuadrado può depositare in rete, sfruttando anche la scompaginazione della difesa greca provocata dalla percussione del compagno.
Ma anche in altre posizioni gli scambi sono più proficui. Menzione speciale in questa fase di gioco per Mattia De Sciglio, prodigatosi in sovrapposizioni interne da applausi (per Allegri) e in ottime chiusure difensive. Dialoga bene con il proprio punto di riferimento in avanti (Cuadrado), con quello interno (Khedira) e anche con gli altri difensori in uscita dal pressing, prendendosi persino qualche rischio. Segno che c’è sia fiducia che concentrazione.
La partita viaggia infatti su binari emotivi, prima ancora che tattici. Ma sono i binari che vuole la Juve. Qualsiasi situazione è imputabile alla vena bianconera: quando vuole accelera dà l’impressione di poter far gol a piacimento, quando si rilassa gli avversari possono mettere il naso fuori (com’è successo quando ci hanno ricordato che bel portiere è Szczęsny).
Il secondo tempo comincia all’insegna di una miriade di errori tecnici, da entrambe le parti. Questo provoca cattive spaziatura, repentine accelerazioni nel ritmo partita e altrettanto improvvise frustrazioni delle velleità delle due squadra. Posso dire senza paura d’essere smentito che non sembrava quasi una partita di Champions League. La serie di passaggi a vuoto della Juventus, prima mentali e poi tecnici, ha dato nuova linfa alla manovra biancorossa. D’altra parte il recupero palla ha beneficiato degli errori dei giocatori bianconeri, proiettando l’azione dei greci in porzioni avanzate del campo in maniera del tutto estemporanea e gratuita.
Il cambio di Dybala (opaco) per Pjanić è stato più di un accorgimento tattico. Ha permesso alla squadra di avere un centrocampista in più, e anche di esercitare più controllo sul pallone. Il che ha definitivamente spento gli ardori degli avversari. Sul finale, il gol di Bernardeschi – cercato, quasi che Allegri gli avesse detto di provarci dalla media-lunga distanza – ha suggellato il punteggio sullo 0-2 finale. Il gol è da attribuirsi alla lunghezza insostenibile della squadra greca, e alle capacità del 33 bianconero.
Come è stato detto nell’ultimo podcast, ci si attendeva acché la Juventus vincesse in scioltezza, pur con un significativo turnover, ma l’importante è che la vittoria arrivasse “senza psicodrammi”. Così è stato, anche se effettivamente la Juventus ha rischiato più di quanto fosse lecito aspettarsi. È difficile descrivere perché, ma in redazione abbiamo tutti avuto la sensazione che la partita era in pugno (sì, anche sulla traversa dell’Olympiacos). Non sono in grado di spiegare le ragioni, ma è come se la squadra sapesse di vincerla: anche se si fosse preso gol, era assolutamente plausibile farne un altro subito dopo. Non chiedetemi spiegazioni razionali per quest’ultima frase, non ne ho. La qualità più impressionante di Allegri – e di conseguenza della squadra – è l’impeccabile gestione psicologica e di partite importanti e giocatori.