di Andrea Lapegna
Il Derby della Mole finisce con un pari e le recriminazioni della Juventus per le troppe occasioni sciupate. Un punto che però avvicina ancor di più allo Scudetto.
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]V[/mks_dropcap]orrei chiedere, a tutti coloro che tifano Juventus vivendo a Torino, com’è il derby. Perché è innegabile che si tratta della rivalità meno sentita dalla platea di bianconeri non piemontesi: per me ad esempio che piemontese non sono, equivale a un’Udinese o a una Sampdoria. Vorrei chiedere anche come ci si sente a vedere la squadra snobbarlo in nome di un sacrosanto turnover. Perché quantomeno si dà un vantaggio all’avversario. Vorrei chiedere infine, allargando l’orizzonte a tutti i tifosi, se questo non è forse il derby meno sentito degli ultimi anni. Perché viene in un momento – come dire – in cui la nostra attenzione è altrove e perché anche l’attenzione degli “altri” è ormai alle vacanze estive (o al massimo al trespolo europeo).
Proiettati come siamo verso la fin(al)e della campagna europea, verso il sesto scudetto d’affilée, e verso la finale di Coppa Italia che potrebbe materializzarsi tra 10 giorni, il derby è più un impiccio che altro. Un apostrofo bianconero tra le parole semifinale e Monaco. Tanto che a catturare l’attenzione è piuttosto la domanda: “chi risparmierà Allegri per il ritorno di Champions?”. Le massicce turnazioni restituiscono ai pali dello Juventus Stadium Neto; in difesa Benatia a far coppia con Bonucci (Rugani ahinoi ha finito la stagione); poi Lichtsteiner e Asamoah sugli esterni bassi, Cuadrado e Sturaro su quelli alti; in mezzo Khedira e Rincón per rifornire Dybala e Mandžukić. Bilancio totale: in campo 5 degli 11 che verosimilmente affronteranno la truppa di Jardim nella semifinale di ritorno.
Gli “altri” invece non hanno più nulla da chiedere alla stagione. Salvi da un pezzo, mai vicini alle posizioni europee, devono solo assecondare le volontà di pubblico e presidente per portare a casa la pagnotta. Mihajlović nella seconda parte di stagione ha alternato un 4-3-3 classico ad un più estroso 4-2-3-1. Ed è quest’ultimo modulo prescelto, per specchiarsi nella formazione dei migliori. Hart; Molinaro, Moretti, Rossettini, Zappacosta; Baselli, Acquah; Boyé, Ljajić, Falque; Belotti.
La formazione del Toro in realtà assume i contorni del 4-4-2 quando ad avere la palla è la formazione avversaria. Boyé e Iago Falque si allineano al centrocampo, mentro Ljajić stringe la propria posizione alla destra di Belotti. È la trasformazione da 4-2-3-1 al 4-4-2 che Allegri ci ha insegnato in inverno, e il Torino la sta applicando senza apparente difficoltà.
Il pressing dei granata non è portato alla costruzione bassa della Juventus. In effetti, è solo il primo possesso ad essere attaccato, non l’intera costruzione dell’azione. Quando la difesa, all’inizio anche con l’aiuto di Neto, consolida il possesso, il Torino preferisce disporsi con il 4-4-2 dalle linee strette piuttosto che obbligare la linea bassa a difendere in avanti col rischio di allungare le maglie e la squadra tutta. La formazione non si abbassa, ma sceglie uscite mirate sugli uomini se la Juve dovesse avere velleità di passaggi al centro. Così, Iago Falque si prende cura di Asamoah e Boyé di Lichtsteiner, per il più classico dei trigger.
La Juve ha spesso tentato la soluzione del lancio a scavalcare il centrocampo avversario per risalire il campo ma la precisione ha sovente lasciato spazio al caso. La distribuzione di palloni dalla difesa in generale ha peccato di superficialità, esponendo così i giocatori a errori tecnici grossolani. Bonucci ad esempio ha completato solo 31 passaggi su 41 nel primo tempo (76%), sbagliando quasi tutti quelli a lungo raggio. Percentuali non da lui.
La formazione di Allegri ha invece saputo alternare fasi di attesa a fasi di aggressione anche violenta. Spesso i 4 davanti, con l’aiuto di Khedira, si sono spalmati sulla struttura del Torino per invogliarli a buttare il pallone o peggio a commettere errori.
Inizialmente, le fasi di gioco sono poco delineate, e sono dettate più dall’aspetto situazionale che non dal piano tattico della gara. Quando la Juve riesce a superare la prima linea – anche attraverso dei lanci lunghi – scattano le marcature a uomo e la struttura posizionale del Toro si spalma su quella della Juventus. In questo scacchiere, l’impressione è che la chiave per aprire la difesa granata sia la creazione di superiorità numerica. Superata la prima linea, e con le marcature a uomo nell’ultimo terzo di campo, anche un solo dribbling riuscito può minare lo schieramento avversario e far saltare il banco.
Nonostante questo aspetto, la Juventus ha trovato in modo diverso parecchie occasioni per passare in vantaggio, con Sturaro, Benatia e Mandžukić. Degli errori di posizionamento di Moretti e Rossettini hanno lasciato ai bianconeri le ultime due occasioni, ma nonostante la buona mole di occasioni prodotte, la scarsa precisione ha influito anche sulla concretizzazione negli ultimi metri.
Fin qui, un primo tempo come tutto sommato ne abbiamo visti parecchi, in cui nella ripresa è lecito attendersi che la maggiore caratura facesse girare l’incontro dalla nostra parte. La ripresa è stata completamente diversa. Il gol del vantaggio del Toro è stato quanto di più vicino al detto “nel calcio contano gli episodi”. Asamoah, goffo e sfortunato, procura una punizione evitabile. Alla prima conclusione, Ljajić non perdona.
Dopo l’ingenuo rosso di Acquah, la Juventus ha invece perso le redini della partita. In casa e sopra di un uomo ci si aspetterebbe di vedere la squadra ricompattarsi, prendere l’iniziativa, cercare di aprire gli avversari, e soprattutto far girare la palla a terra in maniera veloce. Tutto questo non è successo, vuoi per una bassa qualità d’esecuzione, vuoi per la buona partita difensiva del Torino. Il Torino in effetti si è difeso bene, serrando i ranghi e passando ad un umile 4-4-1 con Ljajić abbassato in fascia sinistra. I granata hanno stretto le linee, arroccandosi ai propri trenta metri cercando di negare la profondità alla Juventus.
Allegri è stato allora costretto a rifugiarsi nei suoi uomini migliori (in serie: Higuaín, Pjanić e Alex Sandro) per sbloccare la partita, ma il copione non è cambiato. Gli errori decisionali e tecnici hanno continuato a comprimere la verve dei bianconeri per tutta la ripresa. La fascia destra è stata una palude in cui sia Cuadrado che Lichtsteiner hanno offerto prestazioni eufemisticamente sottotono. Se al colombiano in particolare si chiedeva di accendere la fascia con i dribbling, fa effetto notare come gliene sia riuscito uno soltanto in tutti i 90 minuti. Asamoah dall’altra parte ha associato una scarsa attitudine propositiva a scelte di gioco fuori dai canoni della partita.
Ciononostante, la Juventus è riuscita a creare occasioni di qualità, mettendo in condizione gi propri avanti di battere a rete più volte lungo il match (a testimonianza comunque delle diverse categoei di differenza tra le formazioni). Le occasioni limpide sono difficili da elencare proprio perché impressionanti: Sturaro, Benatia, Bonucci (x2), Dybala, Mandžukić (x2), Khedira, Higuaín. C’è una qualche legge non scritta nel calcio, una sorta di quarto principio della dinamica che recita: più si commettono errori in una partita, più questa sarà decisa dagli episodi. C’è una correlazione di proporzionalità diretta, che in termini più profani potrebbe diventare: “più sei scemo, più la paghi”. Quando si sbaglia così tanto, sotto porta e non, è molto più facile lasciare che la partita diventi episodica e siano le singole situazioni a determinarne l’esito. Poi, ci ha pensato la giocata del campione – uno a caso – a dare alla Juve un punto che comunque ai punti le va stretto, eccome.
In buona sostanza: basta un punto a Roma per prendersi il sesto scudetto consecutivo. Ma, alla luce della partita di ieri, la mia domanda iniziale è mutata. Vorrei chiedere agli juventini di Torino se e quanto saranno sfottuti i torinisti. Perché io non avrei neanche il tempo di farlo, dato che martedì c’è il Monaco. Ma forse la bellezza di un tifo variegato ed eterogeneo come il nostro è proprio questa: poter chiedere cosa significa la rivalità più longeva della squadra ai propri tifosi.