di Andrea Lapegna
La Juventus inciampa sull’Atalanta. I bergamaschi hanno il merito di mettere a nudo alcuni cali di concentrazione dei bianconeri, che si fanno soffiare i tre punti all’ultimo.
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]F[/mks_dropcap]orse non ce ne rendiamo conto, perché la gioia del doppio confronto col Barcellona è ancora negli occhi, il sorteggio di Nyon ci regala ancora un sorriso, e magari siamo immersi nelle nostre vite. Forse non ce ne rendiamo conto, ma mercoledì c’è il Monaco in semifinale di Champions.
Il calendario ci riserva la sfida con l’Atalanta prima della trasferta nel Principato, e il derby tra andata e ritorno. Fermo restando che è impossibile – e comunque sconsigliato – fare rotazioni in entrambe le sfide di campionato, se fossi l’allenatore dove schiererei il maggior numero di titolari? Anche in considerazione del fatto che giocare di venerdì offre un giorno di riposo in più, Allegri sceglie di provare la formazione-tipo (o quasi) già contro l’Atalanta. E fa bene, nel senso che già nel podcast avevamo pronosticato un massiccio turnover contro il Torino: perché è la partita di mezzo, perché al di là del colore è la sfida meno impegnativa, e perché il Toro picchierà.
Allegri schiera dal primo minuto il 4-2-3-1 ormai canonico. E gli undici ad interpretarlo sono quelli che possiamo considerare come titolari: Buffon; Dani Alves, Bonucci, Chiellini, Alex Sandro; Pjanić, Khedira; Cuadrado, Dybala, Mandžukić; Higuaín. Gasperini invece rinuncia sia a Petagna che a Kessié, quest’ultimo non al meglio. Al loro posto ci sono Gómez in qualità di falso nueve e Hateboer e Kurtić ad agire alle sue spalle. La formazione bergamasca sembra dunque un 3-4-3 con gli avanti molto stretti in fase di possesso, quasi un 3-4-2-1.
In coerenza con la propria filosofia, Gasperini attua delle marcature a uomo a tutto campo (o quasi) e chiede ai suoi giocatori di seguire i diretti avversari. Consapevole di una diffusa inferiorità tecnica, l’allenatore orobico cerca la svolta chiedendo ai suoi di metterla sull’atletismo e sulla corsa. Ne esce un inizio di partita molto spezzettato, come normale che sia se il campo disegna undici dieci duelli individuali.
L’Atalanta non forza il pressing sulla circolazione bassa della Juventus. Sa che se dovesse fallire la prima pressione la squadra si ritroverebbe troppo lunga e “spezzata”. Per questo, il pressing è attuato solo in zone del campo più basse, oppure quando è la Juve ad aver appena conquistato palla, attuando una transizione negativa violenta. In fase di palleggio basso bianconero, Gasperini preferisce dunque disporre i suoi con un 5-4-1 che abbassa Hateboer e Kurtić sulla linea dei centrocampisti, con Spinazzola e Conti a ridurre l’ampiezza del campo.
Nelle squadre che marcano a uomo a tutto campo è difficile individuare le linee, ma qui il 5-4-1 dell’Atalanta si vede chiaramente: “merito” della strategia d’attesa. Qui dopo uno sterile palleggio basso tra i quattro difensori, Bonucci sceglie la soluzione lunga per Mandžukić
Se in un primo momento la Juventus è sembrata incline a consolidare il possesso e ad abbassare i ritmi di gioco con un fraseggio basso, le uscite coraggiose di centrali e mediani nerazzurri invogliavano a giocare in verticale. Il fatto è che l’intensità con cui Masiello e Toloi uscivano in pressione (o in anticipo), ha ridotto e di molto lo spazio per ragionare. Questo ha inevitabilmente portato i nostri a forzare l’azione preferendo soluzioni poco ovvie, facendo ricadere così il successo della giocata più sul caso che non sulla tecnica, la cui influenza sulla partita è stata ridotta dai ritmi imposti dagli orobici.
Un atteggiamento coraggioso che è ben esemplificato dagli intercetti riusciti in mezzo al campo (22 a 12 per l’Atalanta): Toloi, Caldara e Masiello da soli ne contano 10. Notare la disposizione molto omogenea per il campo degli intercetti andati a buon fine. La cartina tornasole è – anche – il numero di palloni persi dai nostri quattro attaccanti: ben 25.
Le marcature individuali hanno tolto fiato ai nostri giocatori di maggior talento, che hanno provato giocate poco comuni per la Juventus. Il momento qui sotto è esemplificativo: Dybala deve venire a giocare sul centro-destra e Masiello lo segue ben fuori dalla sua naturale zona di competenza. Higuaín, che legge il gioco come pochi, capisce le intenzioni del compagno e fa un movimento ad attaccare proprio quella zona di campo lasciata vuota dall’uscita di Masiello. L’azione si concluderà poi con Cuadrado costretto in fallo laterale.
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Notare Buffon che invita alla calma già dopo soli 5 minuti di gioco.
La Juventus non ha neanche provato a velocizzare il giro palla per evitare la corsa dei bergamaschi. Un atteggiamento passivo che ha fatto storcere il naso a più di un tifoso, ma non casuale: Allegri è stato inquadrato più volte mentre invitava la squadra a ragionare e a non seguire gli avversari sullo sdrucciolevole terreno dei ritmi alti. Ciononostante, un elevato numero di imprecisioni tecniche ha fatto scattare un piccolo campanello d’allarme.
La passività nell’approccio è stata evidente nel primo gol regalato all’Atalanta. Bonucci in particolare si è reso protagonista di una doppia indecisione. La prima, sull’inserimento di Kurtić, sul quale Alves non è stato abbastanza lesto nel chiudere la linea di passaggio e Bonucci troppo lento a reagire. La seconda, temporeggiando su Gómez in area, ma concedendogli comunque un paio di metri per pennellare un cross che taglia fuori – tutti insieme – Buffon, Khedira e Alex Sandro.
L’atteggiamento del secondo tempo è invece ben diverso. La Juventus mette in campo una circolazione più convinta, e alza le posizioni sia di Pjanić che di Khedira: se lasciano liberi di centrali di ragionare, a cosa mi serve un uomo in più sulla linea della palla? La loro posizione ha poi costretto l’Atalanta a schiacciarsi, rendendo meno efficaci le uscite sul nostro portatore. Pjanić è ancora padrone del centrocampo, ma lo fa da posizione più avanzata e sempre con la fronte alla porta avversaria.
I gol del pareggio e del vantaggio bianconeri vengono proprio dalla sua visione di gioco e dal suo piede.
E dalla fantastica intelligenza calcistica di Dani Alves che interpreta in maniera unica sia il ruolo di terzino che quello di ala.
Se la fortuna aiuta gli audaci, la sfiga penalizza gli stolti.
Probabilmente la cosa migliore della partita l’ha detta Allegri: “una squadra come la Juve la gara deve chiuderla dopo averla ribaltata, così il rigore risultava ininfluente”. Al di là di questo, considerando la grande (grandissima) stagione dell’Atalanta, un punto strappato a Bergamo è un buon risultato per chiunque. I rimpianti della Juventus sono quelli di mal gestito il vantaggio a pochi istanti dal termine, non quelli di aver pareggiato lato sensu. E, come ha detto ancora Allegri, questo pareggio ha senz’altro il merito di togliere dalla squadra una peregrina sensazione di invincibilità che sarebbe stata deleteria per la partita di mercoledì.
È difficile pensare che questo stop possa pregiudicare la corsa al sesto scudetto consecutivo, tenendo a mente il nostro calendario e quello della Roma. Si poteva far meglio contro l’Atalanta? Certo, soprattutto dal punto di vista della testa. Ma portiamo a casa e passiamo oltre, ché mercoledì c’è la partita più importante dell’anno.