di Andrea Lapegna
Una vittoria convincente in quel di Bologna. Ottimi segnali in vista dello scontro con la Roma.
[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]B[/mks_dropcap]ologna e Juventus arrivano all’appuntamento in condizione diversa. Donadoni sta conducendo il Bologna ad una salvezza tranquilla, ma nel mese di dicembre non ha ancora vinto, e la sua stagione è stata macchiata dall’eliminazione in Coppa Italia troppo presto e per mano del modesto Cittadella. Allegri invece sta portando la Juve allo stato di forma desiderato, pur non senza qualche patema imprevisto, ma viene da due prestazioni ottime nel doppio scontro diretto con Napoli e Inter, che solo per caso hanno fruttato 4 punti invece che 6.
Per il pomeriggio di gala della stagione, Donadoni si affida ai meccanismi ormai oliati del suo 4-3-3: Mirante; Mbaye, González, Helander, Masina; Poli, Pulgar, Donash; Verdi, Destro, Onkwonkwo. Allegri invece prosegue quell’idea di Juventus al risparmio, conscio che dosare le energie dei suoi uomini sarà l’unica opzione per arrivare al massimo nel momento clou della stagione. Così, Szczęsny rileva ancora l’infortunato Buffon. In difesa confermatissimo l’MVP di novembre Medhi Benatia, con Barzagli accanto al marocchino (visto che anche Chiellini è indisponible). Alex Sandro e De Sciglio riprendono il proprio posto sugli esterni bassi. A centrocampo nuova chance per lo strano trio Khedira-Pjanić-Matuidi, e davanti spazio al tridente Costa-Higuaín-Mandžukić. Seconda panchina consecutiva per Dybala.
Il copione della partita prevede che sia la squadra ospite a cercare il possesso del pallone. Il 4-3-3 offre più opzioni a corto raggio, e specialmente Pjanić ha potuto essere coinvolto con costanza e precisione nelle prime fasi della manovra. D’altra parte, è anche vero la pressione del Bologna è stata troppo sporadica e basica per impensierire il giro palla basso della Juventus. Destro si alzava a rincorrere il pallone ogni qualvolta questo si muoveva tra Barzagli e Benatia, ma il fatto che fosse il solo a portare una pressione proattiva ne ha certamente limitato l’efficacia. Altri elementi del Bologna si posizionano più a coprire le linee di passaggio o a cercare di stare vicino al proprio uomo (in particolare la soluzione di Pulgar altissimo su Pjanić) pensando così più a distruggere che non a recuperare effettivamente la palla.
L’interpretazione del centrocampo a tre ha dato qualche grattacapo alla costruzione bassa. Come abbiamo imparato, Khedira e Matuidi scappano spesso in avanti, e se questo da un lato aiuta a tenere bassa la difesa avversaria, senza un’adeguata coordinazione si rischia di avere un giro palla improduttivo. Inizialmente, infatti, Costa e Mandžukić non allargavano il campo sufficientemente da offrire porti sicuri per i centrali, mentre l’aggressività sui palloni in verticale delle mezzali bolognesi ha castrato ogni velleità di gioco diretto. La manovra della Juve dovrà trovare altri sbocchi (emblematico Allegri che gridava con costanza alle due ali di rimanere, almeno nelle prime fasi della manovra, “aperte”).
Quando invece la Juventus riesce a portare palla negli ultimi trenta metri, le soluzioni non mancano. Con i movimenti anomali e convergenti di Mandžukić, si libera sempre molto spazio per le sovrapposizioni esterne del terzino. Se con l’Inter questo era mancato, Alex Sandro al Dall’Ara è sembrato particolarmente ispirato, sia per arrivare sul fondo che per ricevere il cambio di gioco (o direttamente per proporlo). In questa situazione, la Juventus si è ritrovata ad attaccare spesso con una linea avanzata formata da 4 giocatori: lo stesso Alex Sandro, Mandžukić, Higuaín e Costa. Dall’altra parte del campo, il brasiliano si è spesso ritrovato a dover accendere la squadra da solo, sopratutto perché De Sciglio era timido nelle sovrapposizioni. Le sensazioni di pericolosità sono venute quasi esclusivamente dopo che il brasiliano aveva saltato il diretto avversario (9 dribbling riusciti su 11 tentati). Con questa gara statica e stanca, era quasi scontato che la scintilla dovesse arrivare da un’individualità
Esempio pratico
Il primo tempo è però innegabilmente in crescita. Sciolta l’ansia da primo gol, la Juventus si distende sia metaforicamente che fisicamente sul campo. La schermatura di Pulgar è sempre meno efficace ed attenta, e in ogni caso la Juventus trova il modo di aggirarla. Palla in fascia, senza degna opposizione da parte delle ali bolognesi, subito da Higuaín che può venire incontro ad aiutare la manovra come ama e sa fare. L’argentino può così liberamente scaricare al proprio playmaker pallini fronte alla porta in superfici avanzate del terreno di gioco. Da una di queste circostanze, Pjanić regala una palla delle sue che Mandžukić, inseritosi con un movimento perfetto nello spazio creatosi proprio dopo la discesa di Higuaín, non sbaglia.
Centrale-esterno-Higuaín-Pjanić libero. Qualcosa di deve anche agli spazi enormi lasciati dalle sbandate marcature bolognesi, ma questo è il percorso tracciato da Allegri, e con questo tipo di combinazioni si dovrà insistere.
Da qui in poi è un monologo. La Juventus prende le misure dell’avversario, lo scaglionamento in campo è migliore (sia come disposizione secca sul terreno di gioco, che come posizionamento e distanze tra compagni), si cerca e si trova spesso il giro palla di prima, e ad un ritmo molto più elevato. Come in un circolo virtuoso, la serie di ragnatele createsi in campo con i passaggi rapidi, corti e precisi, rinforza la struttura posizionale della Juventus e installa dubbi in quella avversaria.
Il secondo tempo non è che un prolungamento del primo. Il primo quarto d’ora è utile soprattutto a capire che Donadoni non è riuscito a trovare le giuste contromisure nell’intervallo. La Juventus attacca propositiva, la circolazione di palla è scevra da particolari sovrastrutture tattiche: spontanea, incentrata sulle affinità e associazioni tecniche, e per questo più efficace. La differenza nel palleggio le hanno fatte le catene laterali, finalmente coinvolte dall’inizio alla fine, con combinazioni corte, passaggi sull’uomo e nello spazio.
C’è tempo anche per il primo gol in Italia di Blaise Matuidi. Già dopo pochi minuti del secondo tempo, il centrocampo rossoblù non ha più benzina per coprire il terreno alle proprie spalle dalle scorribande dei due ormai-trequartisti Matuidi e Khedira. Pulgar, cui era stato affidato un ruolo-chiave, è stato una disfatta per il Bologna, perché il giovane cileno non ha saputo adempiere al gran lavoro di corsa e attenzione che gli aveva chiesto il suo allenatore. Così, è rimasto intrappolato altissimo, senza schermare il numero 5 bianconero, libero di ricevere ben al di là della linea di metà campo. Il Bologna tra primo e secondo tempo è rimasto costantemente con troppi uomini sopra palla, vanificando in questa maniera banali fasi di difesa posizionale con blocco basso.
Una partita che esalta il collettivo non è luogo per la celebrazione dei singoli. Ma siccome a tirar fuori prestazioni maiuscole sono giocatori considerati gregari un po’ ovunque (anche su questi lidi), mi si concederà un’eccezione alla regola. De Sciglio ha confermato la crescita costante di cui aveva palesato i primi sintomi nelle scorse settimane. Sicuro nelle chiusure, puntuale nella proposizione, il suo contributo è stato prezioso soprattutto per l’uscita del pallone una qualità che non spiccava troppo prima di essere inserito nei meccanismi della Juventus. Sta uscendo fuori il potenziale mostrato nel primo Milan di Allegri, e la sua crescita passa necessariamente dall’abbandono della camicia di forza mentale che l’aveva avviluppato a Milanello . Sulla stessa corsia, Douglas Costa ha fatto venire il mal di testa a Masina, e anche Alex Sandro ha dato segnali incoraggianti dqll’altra parte. Menzioni d’onore anche per Matuidi (nessuno o quasi si sarebbe aspettato questo impatto e questa qualità). E, banalmente, per Benatia: le uscite sono il piatto forte della casa, e se la condizione fisica rimarrà questa, abbiamo di che gioire.